martedì 31 luglio 2018

La Roma etrusca - l'origine del Campidoglio

LA ROMA ETRUSCA.
Nel VII secolo a.C. Roma iniziò la sua scalata a caput mundi con Tarquino Prisco, rampante imprenditore etrusco in cerca di fortuna.
Un ricco imprenditore etrusco, figlio di un greco e marito di una nobile, decise di lasciare la sua città, Tarquinia, per cercare fortuna nell’emergente Roma. È il sogno americano di allora: sfondare nella patria delle opportunità. E così accadde, col suo tesoro, e con un seguito di artigiani specializzati, si trasferisce nell’Urbe e diventa consigliere del re Anco Marzio. Fino a succedergli nel trono verso il 616 a.C. Inizia così, con la storia di successo di Tarquinio Prisco, la dinastia dei re etruschi che regnarono su Roma fino al 509 a.C.
Roma era una grande città latina, che fu capace di creare e plasmare un mondo a sé stante, assorbendo il meglio di quanto offrivano i vicini. E, tra questi, proprio gli Etruschi svolsero un ruolo fondamentale, nel bene e nel male. “Roma aveva una propria fisionomia ben consolidata, anche se parliamo di re etruschi, per la loro origine, sarebbe sbagliato dire che Roma fosse una città etrusca Tout court. Certamente i grandi centri urbani etruschi erano gli unici paragonabili con Roma in età arcaica: erano le sole realtà politiche autonome importanti con cui Roma si poteva confrontare e relazionare. Per questo gli scambi culturali erano continui, vivaci e molto fecondi”. Spiega Laura Michetti, docente di Etruscologia alla Sapienza di Roma. Fu però con la dinastia etrusca che Roma, divenuta una metropoli da 300 ettari e 40mila abitanti, un’enormità per l’epoca, raggiunse i rapporti più stretti con i suoi vicini settentrionali. Chi erano dunque gli Etruschi che contribuirono a fare grande Roma? 

Plastico della Roma dei Tarquini presso il museo della Civiltà Romana all'EUR.


Tarquinio Prisco


Re di Roma
In carica616 a.C. - 579 a.C.
PredecessoreAnco Marzio[1][2][3]
SuccessoreServio Tullio[4][5][6]
Nome completoLucio Tarquinio Prisco[7]
Morte579 a.C.
DinastiaTarquini
ConiugeTanaquilla[6]
FigliTarquinio il Superbo[8]
Arunte Tarquinio

Lucio Tarquinio Prisco (lat. Lucius Tarquinius Priscus; ... – 579 a.C.) originario di Tarquinia in Etruria,[8] è stato il quinto re di Roma[9] secondo la cronologia di Tito Livio, che regnò per trentotto anni (dal 616 al 579 a.C.)[7][10].

SFOGGIO DI POTERE. Tarquinio sul trono non ragionò da etrusco. Prese una città ancora grezza e la trasformò in una capitale. Fu lui ad avviare i lavori del Tempio Capitolino. Un passaggio importante, anche perché consacrava la triade Giove-Giunone-Minerva (di stampo etrusco) come la principale protettrice di Roma a scapito delle divinità più antiche. Per decorare il tempio chiamò i migliori artigiani etruschi dall’importante centro di Veio e, tra questi, l’archistar Vulca, per altro l’unico artista etrusco di cui conosciamo il nome (a parte il leggendario fabbro Mamurio Veturio, anche lui di Veio, e anche lui già all’opera a Roma sotto Numa Pompilio).
Proprio a Vulca fu affidato il compito di realizzare la “Quadriga dei Veienti”, rappresentazione in terracotta del carro di Giove e uno dei sette oggetti sacri che garantivano la forza dell’Urbe: dentro la sua fornace crebbe a dismisura, tanto che per estrarla, si dovette rompere la struttura. Profezia della grandezza di Roma? vedi anche articolo sotto: l’origine del Campidoglio.) La Quadriga andò a svettare dal tetto del tempio su Roma, tra le cui mura sarebbero poi stati conservati i Libri Sibillini (vedi sotto) la chiave di ogni importante decisione romana. Davanti al suo portone terminavano le processioni trionfali dei generali vittoriosi (ispirate agli analoghi trionfi etruschi), e i consoli con solenne sacrificio inauguravano il loro mandato.



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Dice la mitologia che Sibilla fosse il nome della prima sacerdotessa di Apollo, un’indovina troiana che rivelava agli uomini le profezie del dio trascrivendole sulle foglie delle piante. Data la sua grande fama, quel nome fu dato poi a tutte le profetesse vergini che ora colavano in trance, ispirate dalla divinità. L’autore romano Marco Terenzio Varrone (116 a.C) ne ricorda dieci sparse in tutto il mondo antico: in Grecia, in Africa, in Asia Minore, e in Italia. Una in particolare era quella della città di Cuma, in Campania. Si diceva che nel VI secolo a.C. si fosse presentata al re di Roma, Tarquinio il Superbo, per vendergli nove libri di oracoli.
PAROLE INFUOCATE. Ogni volta che il sovrano rifiutava la sua offerta, lei ne bruciava tre: infine Tarquinio acquistò gli ultimi tre libri sibillini e li depose nel tempio di Giove Capitolino, perché fossero consultati in caso di disgrazie, prodigi o fatti straordinari. Nell’83 a.C. andarono distrutti in un incendio.


Durante gli scavi delle fondamenta del tempio, fu trovata una testa integra (forse quella del condottiero etrusco Aulo Vibenna) che fu interpretata come presagio del fatto che Roma sarebbe stata Caput mundi. E ci s’imbatté anche nell’altare del dio Terminus, protettore dei confini, l’unica divinità, si racconta, che non aveva accettato di lasciare il posto, in quel luogo sacro, all’unico signore degli dei, Giove: per molti, un chiaro indizio che le frontiere di Roma sarebbero state eterne. Insomma tutto trasudava di natali etruschi. Persino le insegne della monarchia furono create a somiglianza di quelle etrusche: il trono e lo scettro d’avorio, il fascio littorio.

La Cloaca Massima dell'antica Roma è una delle più antiche condotte fognarie. Il nome, Cloaca Maxima in latino, significa letteralmente "la fogna più grande".
Fu costruita alla fine del VI secolo a.C. al tempo degli ultimi re di Roma; in particolare il re che ne ufficializzò la costruzione fu Tarquinio Prisco.[1] La Cloaca Massima usufruiva dell'esperienza sviluppata dall'ingegneria etrusca, con l'utilizzo dell'arco a volta che la rendeva più stabile e duratura nel tempo. Fu una delle prime grandi opere diurbanizzazione. Aveva origine nella Suburra e, attraverso l'Argileto, il Foro, il Velabro, il Foro Boario, si scaricava nel Tevere nei pressi di Ponte Emilio.[2]

Probabilmente è la più antica fogna ancora funzionante al mondo da oltre 2000 anni.


Modellino del Circo Massimo
Il Circo Massimo è un antico circo romano, dedicato alle corse di cavalli, costruito a Roma. Situato nella valle tra ilPalatino e l'Aventino, è ricordato come sede di giochi sin dagli inizi della storia della città: nella valle sarebbe avvenuto il mitico episodio del ratto delle Sabine, in occasione dei giochi indetti da Romolo in onore del dio Consus. Di certo l'ampio spazio pianeggiante e la sua prossimità all'approdo del Tevere dove dall'antichità più remota si svolgevano gli scambi commerciali, fecero sì che il luogo costituisse fin dalla fondazione della città lo spazio elettivo in cui condurre attività di mercato e di scambi con altre popolazioni, e – di conseguenza – anche le connesse attività rituali (si pensi all'Ara massima di Ercole) e di socializzazione, come giochi e gare.
Con i suoi 600 metri di lunghezza e 140 di larghezza, è considerata la più grande struttura per spettacoli costruita dall'uomo.[1][2]
                                                  https://it.wikipedia.org/wiki/Circo_Massimo
RADICI NASCOSTE. Fu sempre Tarquinio Prisco ad avviare la costruzione della Cloaca massima e del Circo Massimo, definendo l’urbanistica della città, così come avvenne con la cerchia delle mura completata poi dal suo successore, Servio Tullio, il quale estese l’area urbana includendo definitivamente nell’abitato i Sette Colli. Servio, il più amato dei re di Roma, è considerato anche lui parte della dinastia etrusca: secondo lo storico Tito Livio, salì al trono con l’appoggio di Tanaquilla (la moglie di Tarquinio Prisco, che aveva avuto un ruolo fondamentale anche nella scalata a Roma del marito). A Servio è attribuita la divisione della società in classi di reddito, una rivoluzione sociale e militare, essendo la leva reclutata fra quelle classi. Ma alla storia ufficiale di una tranquilla linea di successione Tarquinio-Servio-Tarquinio (all’interno della quale recentemente l’archeologo Andrea Carandini ha ipotizzato che Servio potesse essere il figlio illegittimo o segreto di Tarquinio Prisco) si contrappone una versione meno pacifica. Testimone d’eccezione l’imperatore Claudio (10 a.C.-54 a.C.). Il sovrano, etruscologo per passione, in un celebre discorso identifica Sergio con il mitico Mastarna, il quale sarebbe stato un comandante militare nella brigata dei fratelli Celio e Aulo Vibenna, originari di Vulci, ma attivi per proprio conto in una situazione transnazionale. Guerreggiando per il Lazio Settentrionale, i tre compari si scontrarono anche con un gruppo rivale di cui faceva parte tale Gneo Tarquinio Romano: un conflitto fra Etruschi per il potere su Roma. Città dove si sarebbero diretti i resti del loro esercito, per accamparsi sul Celio, che prese il nome dal primo leader, ormai scomparso. Nell’Urbe, Aulo e Mastarna sarebbero entrati in conflitto e il primo avrebbe avuto la peggio: come abbiamo visto, proprio sua sarebbe stata la testa che, ritrovata su colle, assegnò il nome al Campidoglio: Caput Aulii. Mastarna, invece, prendendo il nome di Servio Tullio sarebbe stato il sesto re di Roma, grazie a quelle armi etrusche. Le sue figlie sposarono i figli (o nipoti) di Tarquinio Prisco, ma non fu una storia a lieto fine: la minore delle due, detta la scellerata, uccise marito e sorella e sposò il cognato Lucio, l’unico abbastanza spietato da soddisfarla. Così quel Lucio Tarquinio salì al trono diventando noto come il Superbo. A lui (a volte confuso con l’omonimo predecessore) è attribuito un altro momento chiave della storia di Roma. Acquistò a un prezzo esorbitante i Libri sibillini dopo che l’anziana Sibilla di Cuma ne aveva bruciati sei su nove. Da allora all’interpretazione dei Libri fu affidata ogni decisione cruciale. Le sibille appartengono alla tradizione greca, ma in tema di divinazione gli Etruschi furono sempre riconosciuti come maestri.

Servio Tullio, incisione di Frans Huys.
Re di Roma
In carica578 a.C. - 539 a.C.
PredecessoreTarquinio Prisco[1][2]
SuccessoreTarquinio il Superbo[3][4][5]
Morte539 a.C.
Casa realere etruschi
FigliTullia Maggiore e
Tullia Minore
Servio Tullio (... – Roma539 a.C.) è stato il sesto re di Roma,[6] secondo la tradizione regnò dal 578 a.C. al 539 a.C., per 44 anni.[7] La tradizione a partire dall'imperatore Claudio lo identifica anche col magister populi etruscoMacstarna (o Mastarna)[8].
                                                           https://it.wikipedia.org/wiki/Servio_Tullio


INVASIONE. A quel punto a Roma c’era più di un etrusco. “Una presenza stanziale etrusca a Roma è accertata e incontestabile. A fianco del Foro sorgeva il Vicus Tuscus, il quartiere abitato dagli Etruschi, probamente in prevalenza artigiani e mercanti. Inoltre i recentissimi scavi archeologici di Clementina Panella hanno portato alla luce diverse iscrizioni etruzhe del VI-V secolo a.C. nelle curiae veteres, cuore politico di Roma. Il che, a fronte anche delle poche iscrizioni latine coeve, dimostra un ruolo da parte degli Etruschi anche in aree non periferiche né semplicemente commerciali dell’Urbe; zone in cui si prendevano decisioni e forse si gestiva il potere” spiega Laura Michetti. D’altro canto, quando il Superbo venne cacciato dalla rivolta dei romani che non sopportavano più le angherie del re, non si trattò affatto di una lotta etnica, di Latini contro Etruschi: tra i congiurati aristocratici molti erano della stessa cultura di Tarquinio, a partire dal celebre Bruto che del re era un parente. Roma non era stata etrusca, ma allo stesso tempo anche quando cacciò i re etruschi non smise di attingere alla cultura del raffinato popolo che le abitava così vicino.       

Tarquinio il Superbo.
Re di Roma
In carica535 a.C. - 509 a.C.
PredecessoreServio Tullio[1][2][3]
Successorefine regno[4]
Nome completoLucio Tarquinio
NascitaRoma
MorteRoma, 495 a.C.
DinastiaTarquini
PadreTarquinio Prisco[5][6]
ConiugiTullia Maggiore[5]
Tullia Minore
FigliTito TarquinioArrunte TarquinioSesto Tarquinio

                                                         
Lucio Tarquinio (... – 495 a.C.), meglio conosciuto come Tarquinio il Superbo a causa dei suoi costumi, fu il settimo e ultimo re di Roma[6][7].
Della dinastia etrusca dei Tarquini,[4] Tarquinio regnò dal 535 a.C. al 509 a.C., anno in cui fu messo al bando da Roma.                                           
                                            https://it.wikipedia.org/wiki/Tarquinio_il_Superbo


Veio, l’eterna rivale.


Fondata nel IX secolo a.C., Veio fu probabilmente la più grande e popolosa città etrusca, storica rivale di Roma in età arcaica, nonostante i proficui e reciproci scambi commerciali e culturali. La rivalità riguardava le saline alla foce del Tevere, i Septem Pagi (sette villaggi che controllavano una fetta importante di territorio), i guadi sul fiume e i rapporti con Fedene, altra antagonista di Roma. Le guerre cominciarono già sotto Romolo, e le fonti ne citano altre sotto Tullio Ostilio, Anco Marzio, forse Tarquinio Prisco e Servio Tullio: un totale di 14 conflitti in un paio di secoli.
AMBITA. Dopo la cacciata dei re etruschi e la situazione non cambiò: le due città continuarono a scontrarsi (come in occasione della strage dei 300 Fabi sul fiume Cremera) fino a quando, al termine di una guerra di dieci anni, l’allora dittatore romano Furio Camillo conquistò e distrusse Veio (396 a.C.) che non si riprese più. Ma dopo l’invasione dei Galli (380 a.C.9 i Romani discussero se trasferirsi proprio lì. Un amore-odio durato secoli.
Articolo in gran parte di Aldo Bacci pubblicato su Focus Storia n. 140 altri testi e immagini da Wikipedia
L’ORIGINE DEL CAMPIDOGLIO.
La dimora di Giove.
Su uno dei sette colli di Roma sorgeva un maestoso tempio dedicato a Giove. Impreziosito dalle offerte di romani e stranieri, il santuario fu scenario di avvenimenti politici di grande rilievo.
Il monte Capitolino ha da sempre rivestito un posto privilegiato nella città di Roma. Con i suoi 47 metri di altezza sul livello del mare era il punto più alto dell’urbe e si trovava strategicamente tra la valle del foro e il Tevere. Inoltre, si presentava come un bastione inespugnabile grazie ai pendii quasi verticali e alla cima (arx), dalla quale era separato mediante una leggera depressione, l’asylum. Non sorprende affatto, dunque, che il Campidoglio sia diventato la sede di alcuni tra i più importanti templi di Roma. Oggi sappiamo che il colle era abitato sin dai secoli XIV e XII a.C., ovvero nell’età del bronzo. Un’antica tradizione attribuiva al dio Saturno, figlio i Urano, la creazione di un insediamento, ancora prima della fondazione di Roma a cura di Romolo e Remo. Una leggenda tramandata da Tito Livio racconta che i primi romani costruirono una rocca in cima al monte. Secondo questa tradizione, durante la guerra contro i Sabini, Tarpeie, vergine vestale e figlia del comandante della cittadella, accettò la ricompensa offerta da re sabino Tito Tazio e aprì le porte della fortezza ai soldati nemici. Una volta entrati, la punirono invece di premiarla, e la ricoprirono di monili d’oro e pesanti scudi fino a ucciderla, “sia per dare l’idea che la cittadella sia stata conquistata più con la forza che con qualsiasi altro mezzo, sia per fornire un esempio in modo che più nessun delatore potesse contare sulla parola data, racconta lo storico romano. Al di là della leggenda, è noto che Tarpeia è il nome della divinità tutelare del colle, conosciuto originariamente come monte Tarpeo.
Il toponimo si conservò tuttavia soltanto per indicare la rupe situata ai piedi dell’arx, da cui erano fatte precipitare le persone che erano condannate a morte per omicidio o tradimento.


   La ricostruzione in 3d del tempio di Giove





Il tempio millenario di Giove.
616 a.C. il monte Capitolino diventa il centro religioso di Roma e il luogo scelto per la costruzione del primo tempio consacrato a Giove.
509 a.C. Dopo il “golpe” contro Tarquinio il Superbo, ultimo re di Roma, il console Marco Orazio Pulvillo inaugura un tempio sulla cima del Campidoglio.
83 a.C. Il tempio di Giove Capitolino è completamente raso al suolo da un incendio. Silla inizia la costruzione di un nuovo santuario.
69 d.C. Nell’anno dei quattro imperatori il tempio di Giove e altri edifici del Campidoglio sono distrutti da un incendio.
78 d.C. Domiziano intraprende la costruzione di un nuovo e maestoso tempio sulla cima del Campidoglio e sarà quello definitivo.
455 d.C. Il re vandalo Genserico saccheggia Roma per due settimane. Distrugge i santuari del Campidoglio, tra i quali il tempio di Giove.



ricostruzione del Campidoglio


i sette colli di Roma

IL MAESTOSO TEMPIO DI GIOVE. Con l’arrivo degli etruschi a Roma, nel 616 a.C., il monte Tarpeo iniziò a trasformarsi nel centro religioso della città, luogo scelto dai sovrani per ostentare il proprio potere. Fu costruito sul colle il primo tempio dell’urbe, consacrato alla triade capitolina, costituita da Giove Ottimo Massimo, dalla sposa Giunone e dalla figlia Minerva. Nella Storia di Roma Tito Livio narra che il primo re etrusco della città, Tarquinio Prisco, si era impegnato con un votum sacro a erigere il tempio se fosse tornato vittorioso dalla guerra contro i sabini, come poi accadde. I lavori di costruzione iniziarono effettivamente con Tarquinio Prisco, ma fu il figlio Tarquinio il Superbo a portare a termine l’edificio in seguito alla prematura morte del padre. Pertanto “dopo aver fatto venire operai da tutta l’Etruria, attinse non solo ai fondi di stato stanziati per questo progetto, ma ricorse anche alla manodopera della plebe”. Infatti, i tributi degli alleati e il bottino conquistato nella città di Suesso Pometia bastarono appena a pagarne le fondamenta.
Il comportamento dispotico  di Tarquino il Superbo e la violenza sulla patrizia Lucrezia per opera di uno dei suoi figli accelerarono la fine della monarchia etrusca nel 509 a.C., quando il tempio del Campidoglio non era ancora stato inaugurato. La consacrazione del santuario toccò quindi alla massima autorità della nuova repubblica, in altre parole a due consoli, Publio Valerio Publicola e Marco Orazio Pulvillo. Secondo il racconto di Tito Livio alla fine la sorte toccò a Orazio Pulvillo, mentre Valerio fu costretto andare in guerra contro la città di Veio. A quel punto, secondo quando narra sempre Tito Livio, gli amici di Valerio cercarono invano di posticipare la consacrazione del tempio fino al suo ritorno dalla guerra e interruppero l’atto della consacrazione dando a Orazio una notizia falsa, in altre parole che aveva perso il figlio e che “il padre di un morto non era nelle condizioni di consacrare un tempio”. Il tentativo non servì a nulla, poiché Orazio, senza verificare la notizia, si limitò a dare ordine di seppellire il cadavere, e contemplò l’invocazione grazie alla quale l’edificio diventava sacro (sacrum) e dunque inviolabile


IL CAMPIDOGLIO ALL’EPOCA DEI RE ETRUSCHI.
Intorno al 600 a.C. le antiche capanne costruite dai primi abitanti del monte Capitolino furono sostituite da edifici a carattere civile e religioso. È risaputo che nella prima metà del VI secolo a.C. esisteva anche una zona residenziale, che fu poi distrutta per costruire le fondamenta del tempio capitolino. I lavori iniziarono probabilmente prima, già sotto il regno di Tarquinio Prisco, ma fu poi il figlio Tarquinio il Superbo a dar la spinta decisiva per la costruzione del grande tempio dedicato a Giove, orientato verso il toro. A sud-est del colle si scorgeva una zona dedicata al culto di una divinità autoctona, conosciuta con il nome di Mater Matuta.


IL CAMPIDOGLIO IMPERIALE.

La Roma del IV secolo era dominata dall’alto del monte Capitolino. Si univa all’Arx dove si trovava la zecca della città, dentro o vicino al tempio di Giunone Moneta, attraverso il tabularium, edificio di epoca repubblicana utilizzato come archivio ufficiale dello stato romano. Con il tabularium fu monumentalizzato l’asylum, la depressione che separava le due colline. Ai suoi piedi si estendeva il foro civile, ampliato in epoca imperiale con i fori di Cesare, Augusto, Vespasiano, Nerva e Traiano


GLI DEI E IL TESORO DI STATO. Il primo tempio fu edificato in un ampio spazio ricavato su una delle due cime del colle, quella che riceveva il nome di Capitolium. Nella cuspide fu innalzata una quadriga in terracotta, opera dell’artista etrusco Vulca di Veio. Plinio il Vecchio narra i presagi che accompagnarono la creazione della scultura. Quando gli artigiani di Veio introdussero il carrello nel forno, la statua crebbe invece di rimpicciolirsi e dovettero rompere il forno per tirarla fuori. L’avvenimento fu interpretato come un segno del potere del popolo cui era destinato il gruppo scultorio.  Nel 296 a.C. la statua originale in terracotta fu sostituita da una copia identica realizzata in bronzo, offerta dai fratelli Gneo e Quinto Ogulnio. Il tempio capitolino non fu soltanto un centro religioso per i cittadini romani, ma rappresentò anche uno scenario di legittimazione politica, colmo di simboli allusivi alla difesa dello stato. Giove era considerato dio dei giuramenti, per cui nel suo santuario veniva conservati gli atti e i trattati diplomatici, iscritti su tavole di bronzo. Il tesoro di emergenza della repubblica, riservato ai momenti critici, era nascosto sotto il trono di Giove, così come i Libri sibillini, un compendio di profezie in greco che la Sibilla Cumana aveva venduto al re Tarquino (secondo Varrone  a Tarquino Prisco, secondo Plinio a Taquinio il Superbo). Inoltre il tempio diventò un deposito di opere d’arte, portate in offerta dagli stati vassalli di Roma e dai cittadini come atto di devozione agli dei., tra cui Marte, Iuventas (Giovinezza) e Termine. Il culto di quest’ultima divinità impose un’apertura sul tetto del tempio perché i riti in suo onore dovevano realizzarsi a cielo aperto.


Il tempio di Giove con la quadriglia in bronzo.

Il tempio della capitale del mondo.
Il console Marco Orazio Pulvillo inaugurò il tempio il 13 settembre del 509 a.C. Secondo Lucio Anneo Floro: “Quando scavarono le fondamenta, con grande sorpresa trovarono un teschio umano; tutti cedettero che questo favorevole prodigio presagisse che Roma sarebbe divenuta la sede dell’impero e la capitale del mondo”.

Poiché tutte le offerte consacrate a Giove erano proprietà degli dei, quando le vecchie venivano spostate per fare spazio alle nuove dovevano essere depositate in buche o grotte sotterranee (favissae), scavate all’interno del recinto sacro. Alcune di queste offerte sono state rinvenute dagli archeologi moderni. Davanti al tempio Capitolino si celebravano numerosi avvenimenti politici. Le assemblee più solenni del senato avevano luogo sulla scalinata.
Particolarmente significativa era la cerimonia dell’investitura dei due consoli che reggevano il destino della repubblica per un anno. Tutto si celebrava alle calende di gennaio (il primo giorno del mese). La notte precedente gli auguri consultavano gli auspici precettivi sulle scale del tempio. Il giorno successivo i nuovi capi di stato assumevano i segni del potere ed entravano nel santuario, seguiti da magistrati e sacerdoti, per formulare i voti davanti all’immagine di Giove.
Analogamente, in periodo di guerra, i consoli organizzavano sotto il loggiato del tempio la leva militare e indicavano ai magistrati e ai rappresentanti dei Paesi alleati il numero di uomini con cui contribuire. Riunite le truppe, prima di lasciare Roma e di partire verso il campo di battaglia, il console formulava i voti sacri per assicurarsi la protezione degli dei della triade. Al termine del mandato i consoli venivano immortalati in statue commemorative poste nella piazza capitolina, accanto alle figure di grandi protagonisti della storia politica di Roma.



LE PROVVIDENZIALI OCHE DEL CAMPIDOGLIO.
Tito Livio narra che intorno al 390 a.C. i galli assediarono Roma, in quel momento sprovvista di un’adeguata difesa.  Poiché l’assedio stava lasciando la città senza viveri, i romani, assetati e affamati si assediarono nel Campidoglio. A un certo punto erano così disperati che pensarono di mangiarsi le oche della dea Giunone, animali consacrati alla divinità da secoli e che vivevano liberi sul monte divino, vigilati da un guardiano. Alla fine desistessero. Una notte i galli cercarono di entrare in Capidoglio per cogliere di sorpresa i romani, ma le oche li sentirono e con il loro starnazzare e svolazzare svegliarono la sentinella Marco Manlio. In questo modo i romani riuscirono a respingere i loro nemici. Da quel momento  il tempio di Giunone che si erge sull’arx nei pressi del Campidoglio prese anche il nome di Moneta, che significa ammonitrice, dal richiamo delle oche sacre che salvò Roma.
. Dopo qualche giorno, tuttavia, costretti dalla fame, i coraggiosi difensori del Campidoglio dovettero venire a patti coi Galli. Furono patti severi: Roma doveva pagare la propria libertà con l'oro, molto oro e pesato con le bilance truccate dei Galli, sulle quali Brenno gettò la propria spada, gridando con ira:"Guai ai vinti! Pesate anche questa!" Comunque non tutto era perduto. Questa estrema tenacia dei difensori del Campidoglio diede il tempo necessario a Furio Camillo, valoroso generale romano, di radunare i soldati dispersi dall'invasione di Brenno. A tappe forzate, Furio Camillo riuscì a giungere come una furia sulla piazza, si arrestò di fronte a Brenno, gridando : <<Non auro, sed ferro, recuperanda est patria>> (non con l'oro, ma con il ferro, si riscatta la patria).  Fu il segno della riscossa. Rianimati, i Romani ripresero la lotta e i Galli furono cacciati dalla città con ingenti perdite. Pur quasi totalmente distrutta, la città era salva. Fu ricostruita più bella per volere di Camillo, chiamato per questo "secondo fondatore di Roma".

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DIVORATO DALLE FIAMME. Il tempio etrusco del Campidoglio subì svariati restauri e cambiamenti. Il primo di questi avvenne nell’83  a.C., quando il santuario venne devastato totalmente da un terribile incendio che distrusse anche l’oro del tesoro pubblico e tutti gli oggetto artistici custoditi all’interno. Del tempio si salvarono soltanto i depositi votivi sotterranei, con centinaia di vasi di imitazione corinzia e statuette in terracotta policromata. Datate tra il VII e il VI secolo a.C., le statuette furono ritrovate tra il 1925 e il 1927. Il dittatore Lucio Cornelio Silla intraprese immediatamente la costruzione di un nuovo edificio, cui furono aggiunte alcune colonne corinzie del tempio ateniese di Zeus Olimpio. Alla sua morte continuò l’incarico il console Quinto Lutazio Catulo, menzionato in un’iscrizione della facciata del temo come “addetto alla restaurazione del Campidoglio” (Curator restituendi Capitolii). Successivamente l’imperatore Augusto ordinò di ricostruire il tesoro di Giove e donò al santuario una grande quantità di oro, di perle e di pietre preziose, in un atto che doveva garantire la protezione della divinità all’impero appena instaurato.

Il santuario dedicato alla triade capitolina.

                                                  
Il tempio dedicato alla triade capitolina, in cima al Campidoglio, venne costruito con una concezione architettonica più etrusca che greca. L’edificio che misurava circa 60  per 55 metri, poggiava su un alto basamento che si prolungava fino alla facciata principale mediante una scalinata. La pianta era quadrata e relativamente bassa. Il tempio si componeva di tre file di colonne nella parte frontale e una fila per ogni lato e non c’erano colonne sul retro. L’ingresso si trovava nella parte anteriore, mentre l’interno era stato costruito con materiali più sontuosi. Invece di una cella destinata a una sola divinità (della quale si conservava in quel luogo una statua), il santuario era dotato di una cella tripla, secondo la tradizione etrusca, con tre grandi cappelle separate da mura.


All’interno erano custodite le statue della triade (Giove, Giunone, Minerva) realizzate in terracotta dipinta. Nel 65 a.C. la statua di Giove fu sostituita da una statua crisoelefantina  (ovvero oro e avorio), opera dell’ateniese Apollonio, che per la sua realizzazione aveva preso come modello la statua di Zeus a Olimpia.
La statua di Giove si mostrava sul trono e incoronata. Indossava la tunica palmata, ricamata in oro e ornata con foglie di palma.
Quella di Minerva era come l’Atena greca, la dea della guerra e della sapienza. Nela statua realizzata in terracotta dipinta, era raffigurata armata e in piedi.
La statua di Giunone, la sposa di Giove era la dea del matrimonio e della maternità. La statua la ritraeva sul trono, proprio come Giove.  

IL TEMPIO PERDUTO. All’epoca era iniziata l’urbanizzazione dei versanti del Campidoglio. Non solo i membri dell’élite comprarono terreni per costruire lussuose residenze priva, ma fecero anche affari con la costruzione di grandi blocchi di appartamenti in affitto, ovvero le celebri insule. Gli scavi archeologici realizzati intorno al 1930 portarono alla luce una insula di mattoni e cemento, alta cinque piani, che arrivò ad accogliere circa 380 inquilini. Il piano inferiore degli edifici era occupato da una serie di tabernae, negozi di vario genere, provvisti di un soppalco che serviva come abitazione per gli impiegati, mentre negli altri piano erano distribuiti gli appartamenti in affitto.
Il tempio Capitolino bruciò nuovamente durante i tumulti del 69 d.C., che portarono al potere Vespasiano, il fondatore della dinastia Flavia. Le cronache raccontano che i sostenitori del suo nemico, Vitellio, assediarono il monte Capitolino, dove si erano trincerati i difensori di Vespasiano. Nel pieno dello scontro scoppiò un incendio devastante, che ras al suolo il Campo Marzio e raggiunse la cima del Campidoglio. Domiziano, figlio minore di Vespasiano trovò rifugio nel vicino tempio orientale di Serapide, da cui fu costretto a uscire travestito da sacerdote di Iside, con la testa completamente rasata. In quell’occasione Domiziano non avrebbe potuto immaginare che sarebbe stato proprio lui nel 78 d.C., a innalzare il tempio definitivo in onore della triade capitolina.
Il Campidoglio consacrato do Domiziano rimase in piedi fino al 455 d.C., anno in cui il re vandalo Genserico saccheggiò Roma nel corso d due interminabili settimane. I pochi ruderi rimasti furono utilizzati secoli dopo in una delle ricostruzioni della basilica di San Pietro.
Da allora e sino alla fine del XIX secolo si perse l’ubicazione esatta del tempio Capitolino. Non si riusciva neppure a identificare con certezza ciascuna delle duce cime dell’antico monte Tarpeo. Il dubbio venne finalmente chiarito intorno al 1860, quando i lavori di restauro di palazzo Caffarelli portarono alla luce le fondamenta dell’immensa piattaforma su cui era stato eretto il Campidoglio romano e che attualmente si possono contemplare in situ nei Musei Capitolini di Roma. 

IL TRIONFO DI SENTIRSI GIOVE PER UN GIORNO. Il generale a cui il senato concedeva un trionfo aveva il diritto di mostrarsi per un giorno intero come immagine viva del dio supremo del pantheon romano. Il generale in questione prendeva gli attributi divini e. impugnato lo scettro in una mano e il ramoscello d’alloro nell’altra, saliva su un carro trainato da quattro cavalli bianchi. In testa a un fastoso corte in cui sfilavano musicisti, soldati, animali destinati al sacrificio e tutto il bottino di guerra compresi i prigionieri, percorreva la città fino a giungere di fronte al Campidoglio. Dopo aver percorso la scalinata a piedi offriva a Giove la corona d’alloro e pagava il tributo alla divinità immediatamente prima di ripartire per il campo di battaglia.




Vaso d’argento facente parte del tesoro di Boscoreale , dove è raffigurata una scienza di trionfo il generale vittorioso, uno schiavo sostiene una corona di alloro e gli sussurra: ricordati che devi morire. Musée du Louvre.

Articolo in gran parte di Elena Castillo filologa e ricercatrice di archeologia pubblicato su Storica di aprile 2018 altri testi e immagini da Wikipedia

















  

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