martedì 31 luglio 2018

I pittori del'Egitto

I PITTORI DELL’EGITTO

Gli artisti che decorarono le tombe dei faraoni avevano grandi abilità tecniche e un canone di bellezza proprio. 



Tomba di Tausert e Sethnakht. I dipinti che decorano le pareti di questa tomba reale della Valle rei Re (XIX-XX dinastia) sono tra i meglio conservati d’Egitto. Le scene della camera funeraria sono tratte dal libro delle porte; sui pilastri sono raffigurate varie divinità


Una delle prime cose che vengono in mente quando si parla di arte egizia sono le pitture dai colori vivaci che ricoprono le pareti delle tombe. Tuttavia, gli autori di questi capolavori, ammirati ancora oggi, all’epoca non venivano considerati artisti. Anzi, nell’antico Egitto le parole “arte” e “artista” non esistevano affatto ed era piuttosto raro che gli autori firmassero le proprie opere. Quelli che noi consideriamo artisti per gli egizi erano dei semplici artigiani, cui nel migliore dei casi veniva riconosciuto di esser “abili con le dita o con le mani”, A volte i pittori venivano chiamati “scribi di contorno” , un’espressione da cui trapela l’importanza che aveva il disegno nell’arte egizia, non solo all’interno della pittura ma anche della scultura e del bassorilievo. Nell’Egitto del faraone tutte le arti plastiche dovevano sottostare alle norme delle Case della Vita. Si trattava di centri didattici legati ai grandi templi e gestiti dai sacerdoti, dove venivano formati gli scribi – i cui segni grafici sono appunto disegni – e i professionisti d’ogni tipo, dai medici agli architetti. È interessante notare che i pittori apprendevano il mestiere dai padri e non nelle Case della Vita, anche se erano comunque obbligati a rispettare le regole di tali istituzioni. Gli scribi del contorno realizzavano opere di varia natura, dai bassorilievi sulle pareti dei templi alle sculture e ai sarcofagi di legno. Dipingevano anche migliaia di oggetti appartenenti alle così dette “arti minori”quali per esempio mobili o stele. Ciononostante, la loro attività principale era la pittura tombale. Sebbene spesso fossero imprecisamente considerati “decorativi”, i dipinti che compaiono sulle pareti delle cappelle funerarie o nei reconditi ambienti che ospitavano le mummie non avevano una finalità estetica. Rispondevano invece a una necessità più profonda, che andava oltre il tentativo di ricostruire gli spazi dov’era vissuto il defunto.

Tomba del faraone Seti. La tomba di Seti I nella Valle dei Re è una delle più belle d’Egitto. Le sue decorazioni dimostrano il grado di perfezione raggiunto dai pittori egizi durante la XIX dinastia.
Nelle foto sotto due affreschi della Tomba.

Particolare di Sopedet, dea della costellazione di Sirio



Particolare della dea Iside che allarga le ali a proteggere il re defunto.

Pittura, un’arte millenaria.
PREDINASTICO 3500-3200 A.C. Viene eretta a Ieracompoli la tomba 100, la prima con le pitture murali.
ANTICO REGNO  2686-2173 A.C.  Sulle pareti delle mastabe vengono raffigurate scene religiose e di vita quotidiana
MEDIO REGNO 2040-1786 A.C. Caratteristica di questo periodo è la pittura di sarcofagi e miniature.  
NUOVO REGNO 1552-1069 A.C. Le tombe tebane di re e nobili sono riccamente decorate con pitture murali.
EPOCA ROMANA I SEC. A. C. – I SEC. D.C. Le maschere funerarie di al-Fayyum sono adornate da ritratti naturalisti.


LA MAGIA DELLE IMMAGINI. Per poter sopravvivere all’aldilà il ka – l’essenza vitale del morto – aveva bisogno di nutrirsi. A questo scopo i familiari e i sacerdoti funerari depositavano nella cappella della tomba offerte alimentari. Ma cosa sarebbe successo una volta che anche la famiglia del defunto si fosse estinta? Secondo i testi sacri, in questo caso il ka sarebbe stato costreto ad alimentarsi dei suoi stessi escrementi prima di scomparire definitivamente. Per scongiurare tale eventualità gli egizi ricorrevano alla magia (heka) della pittura e dei bassorilievi: era sufficiente rappresentare un oggetto perché questo diventasse reale. Tuttavia per una vita eterna non sarebbe bastata la rappresentazione di una tavola imbandita, perché il cibo si sarebbe rapidamente esaurito: era necessario raffigurare tutto il processo di produzione alimentare. Così, a partire dall’Antico regno divenne abituale dipingere il ciclo completo del frumento: la semina, la mietitura, la trebbiatura, fino allo stoccaggio nei silos. Lo stesso avveniva con la caccia e la pesca, in modo che al ka del defunto non mancassero fonti di sostentamento.
Anche un’altra peculiarità dell’arte egizia: il gran numero di opere incompiute era connessa all’universo magico. Si riteneva infatti che fosse sufficiente abbozzare una scena: a completarla ci avrebbe pensato la magia. Per gli antichi egizi la vita era continuità, e un’opera conclusa era un’opera morta. Invece, i lavori incompiuti indicavano che ci sarebbe stato un domani per ultimarli e simboleggiavano quindi la speranza di un tempo a venire.

SECOLI DI EVOLUZIONE. Nei tremila anni di storia dell’Egitto la tecnica e lo stile pittorici rimasero fondamentalmente gli stessi. Dai rudimentali tentativi effettuati nel corso della prima dinastia fino all’Antico regno non si registrarono cambiamenti apprezzabili. L’iniziale schematicità della pittura tornerà brevemente nel Medio regno, per poi lasciare nuovamente spazio al moderato realismo che dominerà tutte le rappresentazioni pittoriche di tombe e sarcofagi del Nuovo regno e delle successive fasi della civiltà egizia. Fu proprio nel corso del Nuovo regno che la pittura raggiunse il suo apice. Di particolare interesse per quanto riguarda quell’epoca sono i luoghi di sepoltura degli operai che costruirono le tombe reali, situati nella necropoli del loro villaggio, Deir-el-Medina. Molti di questi lavoratori dipinsero le proprie tombe di giallo, perché tale era il colore che si utilizzava anche nelle sale dei sarcofagi reali. Il giallo era infatti connesso all’incorruttibilità e all’eternità: era il colore dell’oro, la materia di cui erano fatti i corpi degli déi. Gli abitanti di Deir-el-Medina dovevano essersi detti che se quel colore andava bene per i faraoni, sarebbe andato bene anche per loro. Con Amenofi III l’arte raggiunse un livello tecnico mai visto prima, ma la sua stessa precisione ne pregiudicò la capacità espressiva. Si ebbe un cambiamento con il suo successore, il figlio Akhenaton, promotore di un nuovo stile artistico che rappresentò una ventata di aria fresca in un’arte dominata da un eccessivi accademismo. Le foreste di papiri e le spighe di grano, che fino ad allora aveva obbedito alle leggi immutabili del parallelismo e della simmetria, adesso ondeggiavano sinuose al vento.
Alla morte di Akhenaton e della moglie Neferiti, l’arte ramesside – quella dei primi faraoni della XIX dinastia, fondata da Ramses I – seppe conservare la delicatezza che aveva ereditato dal periodo precedente. In ogni modo con questa tappa si concluse l’età dell’oro della pittura egizia; tutto quanto venne dopo non fu che un simulacro dei passati splendori. Né la pittura saita, né quella tolemaica e, meno ancora, quella di epoca romana, avrebbero ritrovato la sensibilità che, salvo sporadiche eccezioni, aveva caratterizzato i periodi precedenti.

SCENE DELL’ALDILA’ PER NEFERTARI
Fu "grande sposa reale" di Ramesse II detto il Grande, faraone della XIX dinastia[3]. È una delle regine meglio conosciute della storia egizia, nonché una delle più potenti, con un'influenza comparabile a quella di Ahmose Nefertari[4]HatshepsutTiy[5]Nefertiti e Cleopatra VII, pur non avendo regnato in modo autonomo[6]. È anche nota l'educazione eccezionale che le fu impartita: era in grado sia di leggere che scrivere i geroglifici egizi (abilità piuttosto rara per l'epoca). Mise le sue conoscenze a servizio della diplomazia, mantenendo una corrispondenza con gli altri sovrani del suo tempo[7].
La sua raffinatissima tomba, classificata come QV66, è tra le più grandi e spettacolari della Valle delle Regine[8][9]. Inoltre Ramesse costruì un tempio per lei nel complesso monumentale di Abu Simbel, il cosiddetto "Tempio minore"[10][11].






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