martedì 31 luglio 2018

Scipioni sotto accusa

SCIPIONI SOTTO ACCUSA
Due fratelli, abili condottieri e raffinati politici, furono rovinati dalle persecuzioni giudiziarie orchestrate dai loro avversari. A cominciare da Catone.

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Busto di Scipione dal Museo Puškin di Mosca
Nome originalePublius Cornelius Scipio Africanus
Nascita236 a.C.[1]
Roma
Morte183 a.C.
Liternum
ConiugeEmilia Paola Terzia
FigliPublio Cornelio Scipione,
Lucio Cornelio Scipione,
Cornelia Africana maggiore,
Cornelia Africana minore
GensCornelia
PadrePublio Cornelio Scipione
MadrePomponia
Edilità213 a.C.,[2] prima dell'età richiesta[3][4]
Consolato205 a.C.
194 a.C.
Proconsolato204203 e 202 a.C.
Princeps senatus199 - 183 a.C.
Ingrata patria, non avrai neanche le mie ossa”. Stando allo storico Valerio Massimo, fu questo l’amaro epitaffio che Scipione l’Africano volle far incidere sul proprio sepolcro. Il celeberrimo generale romano aveva deciso di abbandonare per sempre Roma e rifugiarsi in esilio nella sua villa campana di Liternum, dove sarebbe rimasto fino alla fine dei suoi giorni. Aveva i suoi buoni motivi per polemizzare con l’Urbe: per colpa di Roma lui e suo fratello Lucio erano usciti perdenti da due clamorosi casi giudiziari.

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Lucio Cornelio Scipione Asiatico (Roma238 a.C. – post 184 a.C.) è stato un politico e militare romano. Fratello di Publio Cornelio Scipione, del quale fu legato in Spagna nel 207 a.C. - 206 a.C.Sicilia (205 a.C.) e Africa (204 a.C. - 202 a.C.), fu pretore nel 193 a.C. e console nel 190 a.C
EROE DI GUERRA. Dopo la Seconda guerra punica (218-202 a.C.), Roma divenne padrona assoluta del Mediterraneo Occidentale. Il merito della vittoria sui Cartaginesi era dovuto in gran parte ai successi di un brillante console di appena 34 anni: Publio Cornelio Scipione. Nel 202 a.C. , sulla pianura di Zama, in Africa settentrionale, le sue legioni avevano trionfato sul temibile esercito di Annibale,impresa che gli era valsa l’appellativo di “Africano” e una fama senza uguali. Attorno alla sua figura si coagulò un nuovo partito politico, opposto alla fazione aristocratica e tradizionalista del giovane Marco Porcio Catone. Scipione e Catone non potevano essere più diversi. L’Africano, amante delle arti, voleva aprire l’Urbe alla ricercata cultura greca ellenistica, mentre Catone era ostile al mondo ellenico perché legato alla vecchia idea di una Roma contadina e conservatrice.

La battaglia di Zama fu l'ultima battaglia della seconda guerra punica e determinò il definitivo ridimensionamento diCartagine quale potenza militare e politica del Mar Mediterraneo. Fu combattuta il 19 ottobre 202 a.C. fra trupperomane e cartaginesi nella località di Zama.

                                                             Schema della battaglia

SCONTRO IN SENATO. “Non si trattava solo di uno scontro tra personalità, ma di visioni diverse del ruolo che la Repubblica avrebbe dovuto assumere nello scenario internazione. I tradizionalisti volevano che Roma approfittasse della propria superiorità militare per imporre il diretto dominio su Mediterraneo Orientale, mentre la fazione scipionica propendeva per una sorta d’imperialismo indiretto, fatto di una rete di protettorati vassalli dell’Urbe”, racconta Gastone Breccia, autore del libro Scipione l’Africano, l’invincibile che rese grande Roma (Salerno edizioni). Queste opposte visioni vennero presto ai ferri corti. C’erano infatti due partite da giocare: una riguardava il destino del regno di Macedonia, governato dall’ambizioso Filippo V; l’altra come protagonista Antioco III di Siria, monarca selucide deciso a espandersi nell’Oriente ellenistico. Catone e i suoi spingevano per la guerra contro Filippo, che alla fine arrivò.


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Antioco il Grande (in greco anticoἈντίoχoς ΜέγαςAntíochos Mégas241 a.C. circa[1] – 3 luglio 187 a.C.[2]), chiamato nella storiografia moderna Antioco III, è stato un sovrano seleucide, figlio di Seleuco II Callinico, che governò dal 222 a.C. fino alla sua morte.

DI NUOVO IN CAMPO. Le ostilità iniziarono nel 200 a.C., e tre anni dopo il console Tito Quinzio Flaminio (vicino alla fazione conservatrice) sconfisse le truppe macedoni a Cinocefale. In quel frangente Scipione restò lontano dai campi di battaglia, guadagnandosi la carica di censore il titolo di Princeps senatus, che identificava il senatore più importante. Si rifece vivo con decisione nel 194 a.C., salendo per la seconda volta al consolato. “Nel frattempo, si addensavano nubi di un nuovo conflitto: Antioco III aveva occupato varie città dell’Asia Minore, oltre alla Tracia e aveva dato asilo ad Annibale,esule da Cartigene”, racconta Breccia. Resosi conto dell’inevitabilità della guerra, scoppiata quando Antioco invase la Grecia nel 192 a.C.,  il vincitore di Zama prese in mano la situazione. All’inizio le operazioni furono condotte da Manio Acilio Glabione, ma poi entrò in campo lo stesso Publio, nel ruolo di legatus di Lucio Cornelio Scipione, suo fratello minore (salito al consolato nel 190 a.C.). L’esito fu scontato: neutralizzata la flotta siriana, le legioni schiacciarono Antioco nella battaglia di Magnesia e Lucio poté fregiarsi del titolo di “Asiatico” , anche se il merito del successo era in realtà del fratello.

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Mappa degli scontri tra Romani ed Antioco III degli anni 192-189 a.C. compresa la battaglia di Magnesia

Da Catilina al tramonto della Repubblica.
Chiuso il capitolo Scipione, più di un secolo dopo, Roma fu sconvolta da una congiura che ne mise in pericolo le istituzioni repubblicane. A ordirla, Lucio Sergio Catilina, ambizioso aristocratico noto per l’appoggio a Silla (dittatore dall’82 all’81 a.C.). Già titolare di varie cariche, Catilina provò a farsi eleggere console con un programma favorevole alla plebe e sgradito all’aristocrazia.
NON ELETTO. Nel 64 a. C. però fu battuto da Marco Tullio Cicerone. Ci riprovò l’anno seguente e venne ancora una volta sconfitto. Decise allora di passare alle maniere forti e di sovvertire l’ordine repubblicano con una rivolta armata. I suoi piani furono sventati dal solito Cicerone, che pronunciò contro di lui più orazioni (le Catilinarie) accusandolo di fronte al senato e al popolo.
Dichiarato nemico pubblico, Catilina fuggì verso Fiesole, dove lo attendevano i suoi fedelissimi (morirà in battaglia nel 62 a.C.). la sua congiura fu il preludio di un conflitto sociale che sarebbe sfociato in lunghe guerre civili e nel tramonto della Repubblica.

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Marco Porcio Catone (in latinoMarcus Porcius Cato; nelle epigrafi M·PORCIVS·M·F·CATOTusculum234 a.C. circa – Roma149 a.C.) è stato un politicogenerale e scrittore romano, chiamato anche Catone il Censore (Cato Censor), Catone il Sapiente (Cato Sapiens), Catone l'Antico (Cato Priscus), Catone il Vecchio per aver superato di molto l'età media massima di vita allora a Roma o Catone il Maggiore (Cato Maior) per distinguerlo dal pronipote Catone l'Uticense.
https://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Porcio_Catonehttps://it.wikipedia.org/wiki/Publio_Cornelio_Scipione

TRATTATIVE SOSPETTE. A una breve tregua seguì un periodo di trattative terminatosi con la pace di Apamea (188 a.C.), favorevole a Roma “Fu in tale situazione che il partito di Catone mise sotto accusa Scipione e i suoi fedelissimi. Il primo a essere attaccato fu Glabrione, chiamato in giudizio dai tribuni della plebe per essersi indebitamente appropriato di una parte del bottino mentre era in Grecia. Catone aveva servito agli ordini di Glabiorne in quella campagna, ma fu proprio lui a presentarsi come principale testimone d’accusa, costringendolo a ritirare la candidatura a censore”, precisa Breccia. Nel 187 a.C. fu la volta di Lucio Cornelio. I tribuni chiesero, infatti, al fratello dell’Africano di rendere conto al Senato dei 500 talenti d’argento ricevuti da Antioco durante le trattative, utilizzati ufficialmente per pagare le legioni. Era un’inchiesta legittima, anche se ostile, facilmente superabile presentando i libri contabili. Nessuno si aspettava che di lì a breve la situazione sarebbe degenerata. 

RESA DEI CONTI. Indignato per la sorte del fratello, Publio intervenne con un gesto plateale. Lo storico Polibio racconta che “quando gli fu portato il libro, tenendolo dinanzi a sé lo strappò sotto gli occhi di tutti, e disse a chi gli aveva chiesto conto di andare a cercare in quei pezzi”. La scenata mise a tacere le accuse (Lucio se la cavò con una multa, che tra l’altro non dovette alla fine pagare), ma rafforzò i suoi nemici. “Stracciando i libri contabili, Publio cancellò la possibilità di verificare la condotta del fratello, forse perché sapeva che c’era qualcosa di compromettente davvero, anche se non grave”, precisa l’esperto.  Fu l’inizio della fine: da quel momento gli attacchi politici e giudiziari agli Scipioni s’intensificarono, nonostante il tentativo di Lucio di recuperare la popolarità perduta finanziando alcuni giochi pubblici. Dopo un aspro confronto politico, nel 184 a.C. i conservatori misero in scena la resa dei conti contro lo stesso Africano, ancora una volta tramite un tribuno della plebe, Marco Nevio, il quale gli intimò di comparire di fronte al popolo per rispondere di tradimento.
Per giustificare il gravissimo capo d’imputazione, i conservatori sfruttarono alcuni episodi della campagna siriana. In primo luogo il rilascio senza riscatto del figlio adolescente dell’Africano, Lucio, preso in ostaggio da Antioco. Poi una missiva sospetta con cui Scipione suggeriva al sovrano di attendere la sua presenza prima di ingaggiare battaglia. “Publio non aveva commesso alcun crimine, tanto più che alla liberazione del figlio non seguì nessun favore per Antioco. L’unica cosa che gli era rimproverata era un atteggiamento troppo cordiale nei confronti del re di Siria, mentre il suggerimento di aspettare prima della battaglia mirava a evitare di infierire contro un nemico il cui destino era già segnato”, precisa ancora l’esperto.

USCITA DI SCENA. Scipione era in un vicolo cieco: la sua carriera politica era definitivamente compromessa. Decise quindi di uscire dalla scena con un nuovo colpo di teatro. Il giorno fissato per la comparsa di fronte ai tribuni cadeva proprio nell’anniversario della vittoria di Zama, e approfittando dell’occasione si presentò al popolo vestito elegantemente. Invece di rispondere alle accuse, trascinò con sé i presenti al tempio di Giove Capitolino, in Campidoglio, per celebrare la storica ricorrenza, seguito da una folla numerosa. “In quel momento, come avvenuto più volte in passato, avrebbe potuto sfruttare la sua popolarità per imporsi come uomo forte, stravolgendo la costituzione della Repubblica, ma preferì non scatenare un conflitto civile, giacché profondamente rispettoso delle istituzioni”, termina Breccia. L’udienza non si tenne mai, ma il vincitore di Annibale si ritirò in esilio volontario, amareggiato per l’immeritata persecuzione di cui era stato vittima. Neutralizzato il partito scipionico, i conservatori non ritennero necessario infierire. Publio morì a Liternum poco tempo dopo (183 a.C.), a 52 anni. La sua esperienza in politica era stata breve e tormentata, ma il suo contributo alla gloria dell’Urbe rimase per sempre nella memoria dei Romani.

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