martedì 31 luglio 2018

Pompeo Magno: storia di una disfatta

Storia di una disfatta.

POMPEO MAGNO.

Membro di una ricca famiglia del Piceno, Pompeo raggiunse presto la fama grazie alle sue vittorie militari. Ma uscì sconfitto dallo scontro con Cesare, di cui in precedenza era stato alleato.

Nel 61 a.C. si svolse a Roma una delle processioni trionfali più fastose della storia della città. Il protagonista era un generale di 47 anni, di bella presenza, portamento maestoso e, soprattutto baciato dalla fortuna, o almeno così sembrava allora. Era già al suo terzo trionfo, a coronamento di una carriera memorabile che alcuni anni prima gli era valsa l’appellativo di Magnus, il grande. Avrebbe scritto in seguito Plutarco: “Anche altri in passato avevano ottenuto tre trionfi. Ma lui, avendo trionfato per la prima volta sull’Africa, la seconda sull’Europa, e infine, sull’Asia, sembrava in qualche modo aver sottomesso il mondo intero”. Quella di Pompeo è la storia dell’ascesa di un homo novus fino ai vertici del potere. La sua famiglia non apparteneva, infatti, ai lignaggi più nobili e antichi dell’Urbe. I Pompeo erano originari del Piceno ed erano entrati nell’ordine senatoriale grazie ai servigi militari prestati alla repubblica. I romani autentici non apprezzavano le loro origini galliche e guardavano con sospetto quelle capigliature bionde, non comune nella Roma del tempo.
 Pompey the Great, Augustean copy of a 70-60 BC original, Venice Museo Archeologico Nazionale (22205132751).jpg

Busto di Gneo Pompeo Magno (copia augustea da un originale del 70-60 a.C.; Museo archeologico nazionale di Venezia).
Gneo Pompeo Magno (in latinoGnaeus Pompeius Magnus[1]Picenum29 settembre 106 a.C. – Pelusio28 settembre 48 a.C.) è stato un militare e politico romano, prima alleato e poi avversario di Gaio Giulio Cesare.
Abile generale e condottiero sagace ed esperto, Pompeo, originario del Piceno e figlio di Gneo Pompeo Strabone, divenne famoso fin dalla giovane età per una serie di brillanti vittorie durante la guerra civile dell'83-82 a.C.divenendo il principale luogotenente di Lucio Cornelio Silla. Negli anni seguenti divenne il personaggio politico più prestigioso e potente di Roma grazie alle sue continue vittorie contro Marco Emilio LepidoQuinto Sertorio, gli schiavi di Spartaco, i pirati del Mediterraneo e Mitridate VI del Ponto.
Alleatosi inizialmente con Giulio Cesare e Marco Licinio Crasso nel primo triumvirato, in seguito si affiancò alla fazione repubblicana e combatté la guerra civile contro Cesare nel 49-48 a.C; sconfitto irrimediabilmente nellabattaglia di Farsalo, fuggì in Egitto dove venne ucciso a tradimento.
Suo figlio, Sesto Pompeo, continuò la guerra contro Gaio Giulio Cesare, ma anche lui fu sconfitto.
Personaggio discusso, altamente apprezzato da alcuni e fortemente criticato da altri, Gneo Pompeo rimane una delle personalità più importanti della storia di Roma antica.



Ascesa e caduta di un generale.
106 a.C. Il 29 settembre nasce Gneo Pompeo Magno, figlio di Gneo Pompeo Strabone, ricco proprietario terriero e senatore piceno.
83 a.C. Durante la guerra contro Papirio Carbone, Pompeo recluta tre legioni per appoggiare Silla. Ne sposa la figliastra Emilia.
76-71 a.C. Pompeo è inviato in Spagna per soffocare la rivolta di Sertorio. Di ritorno in Italia, elimina le ultime sacche di ribelli dell’esercito di Spartaco.
67-66 a.C. La lex Gabinia concede a Pompeo ampi poteri per combattere i pirati, mentre la lex  Manili, il comando militare contro Mitridate.
60 a.C. Cesare, Pompeo e Crasso formano il primo triumvirato. L’anno successivo Pompeo sposa Giulia, figlia di Cesare che muore di parto nel 54 a.C.
52 a.C. È nominato console senza collega e si allea con gli avversari di Cesare. Questi varca il Rubicone nel 49 a.C. scatenando la guerra civile.
48 a.:. Dopo la sconfitta del 9 agosto a Farsalo, Pompeo fugge ad Alessandria, dove è assassinato per ordine del faraone Tolomeo XIII.
Con il nome di guerra sertoriana si intende una serie di campagne militari intraprese contro il generale marianoQuinto Sertorio che resisteva in Spagna con alcune legioni fedeli a Gaio Mario, dai generali Metello Pio e Pompeo Magno, il grande nemico di Giulio Cesare, che ebbe qui la prima impresa militare degna di nota. La campagna fu però dura, e, anzi, Pompeo e Metello vennero ripetutamente sconfitti da Sertorio, e riuscirono a sconfiggere i mariani solo dopo il suo assassinio commesso dall'incapace generale Marco Perperna Ventone, che venne, quindi, definitivamente sconfitto e ucciso da Pompeo nel 72. La guerra, inoltre, diede a Pompeo una specie di lezione di strategia, che il condottiero imparò per le successive campagne. La guerra è un'ulteriore espressione dello sconquasso che regnava in quei tempi nella Repubblica, ormai una specie di corpo che rimaneva in vita a stento. Ormai la fine della Repubblica era vicina, e Pompeo sarebbe stato uno dei protagonisti. Le sue imprese nella guerra, peraltro non brillanti, aiutano a definire un'era.
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Spagna di Sertorio in verde il territorio sotto il suo controllo

Resti del trofeo di Pompeo al colle di Panissars

Per Guerre mitridatiche si intendono una serie di conflitti tra la Repubblica romana ed il Ponto che si combatterono tra l'88 e il 63 a.C. Prendono il loro nome da Mitridate VI che all'epoca era il re del Ponto e grande nemico di Roma. Così Appiano di Alessandria ce le riassume, osservandole da parte dello sconfitto:
« Molte volte [Mitridate] mise in campo più di 400 navi, 50.000 cavalieri e 250.000 fanti, con macchine d'assedio in proporzione. Tra i suoi alleati vi fu il re di Armenia, i principi delle tribù degli Sciti che si trovano intorno al Ponto Eusinoed al mare di Azov e oltre fino al Bosforo tracio. Tenne comunicazioni con i generali delle guerre civili romane, che combatterono molto ferocemente, e con quelli che si erano ribellati in Spagna. Stabilì rapporti di amicizia con i Galli a scopo di invadere l'Italia. Dalla Cilicia alle Colonne d'Ercole riempì il mare con i pirati, che provocarono la cessazione di ogni commercio e navigazione tra le città del Mediterraneo e causarono gravi carestie per lungo tempo. In breve, non lasciò nulla nel potere di qualunque uomo, che potesse iniziare un qualsiasi movimento possibile, da Oriente a Occidente, vessando, per così dire, il mondo intero, combattendo aggrovigliato nelle alleanze, molestato dai pirati, o infastidito dalla vicinanza della guerra. Tale e così diversificata fu questa guerra, ma alla fine portò i maggiori benefici ai Romani, che spinsero i confini del loro dominio, dal tramonto del sole al fiume Eufrate. Fu impossibile distinguere tutti questi avvenimenti da parte delle popolazioni coinvolte, da quando iniziarono in contemporanea, e si intersecarono in modo complicato con altri avvenimenti. [...] »
(AppianoGuerre mitridatiche, 119.)
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LA GUERRA IN SPAGNA. Quando Pompeo fece il suo ingresso nell’arena politica romana, la città era da poco uscita da uno dei più gravi conflitti della sua storia: la guerra civile (88-81) tra la fazione dei populares, sostenitori del console Gaio Mario e delle richieste del popolo, e gli optimates, i conservatori aristocratici guidati da Lucio Cornelio Silla. In particolare il padre, Gneo Pompeo Strabone, un militare che si era fatto una reputazione di uomo brutale e senza scrupoli durante la Guerra sociale (una rivolta degli alleati italici di Roma che mirava a rivendicare l’estensione del diritto di cittadinanza). Il futuro Pompeo Magno seguì le orme paterne e iniziò la sua carriera nell’esercito combattendo contro i populares di Mario. Uno dei principali teatri del conflitto era la penisola iberica, dove resisteva il governatore ribelle Quinto Sertorio. La Guerra sertoriana iniziò nell’80 a.C. e costrinse Pompeo a restare in Spagna fino al 71 a. C, un anno dopo l’uccisione del suo avversario da  parte dei suoi stessi generali. In ricordo di quella campagna Pompeo fondò una città che da lui avrebbe preso il nome: Pompaelo, poi diventata Pamplona, ed eresse un monumento commemorativo sul colle di Panissars, nei Pirenei orientali, in parte conservato. Nell’iscrizione, invece perduta, il giovane generale lasciava una testimonianza bellica: 876 comunità sottomesse con la spada. Forte di quell’importante vittoria, nel 70 a.C. Pompeo fu nominato console di Roma, sebbene non avesse occupato nessuna delle magistrature che tradizionalmente precedevano l’assegnazione della carica. Condivise il mandato con il facoltoso Marco Licio Crasso, capo dei populares, con cui aveva da sempre avuto una relazione tesa e poco collaborativa.
Alla fine del consolato la leggenda militare di Pompeo riprese a crescere grazie a due nuove campagne. La prima, nel 67 a.C., lo vide mettere fine alla pirateria nel mediterraneo, un fenomeno che minacciava in particolare la Sicilia, le coste adriatiche, la Cilicia e Creta. Pompeo suddivise il Mediterraneo in tre settori che assegnò ad altrettanti generali, e ciascuno di loro si occupò di sradicare definitivamente i pirati dalla propria zona di competenza. Entro la fine dell’anno furono requisite 846 imbarcazioni, conquistati 120 villaggi e catturati 20mila prigionieri, poi venduti come schiavi. Le vittime nemiche furono circa 10mila. La successiva campagna di Pompeo si svolse in Oriente tra il 66 e il 63 a.C. L’obiettivo dell’operazione militare era interrompere le attività espansionistiche di due re ostili a Roma: Mitridate VI del Ponto e Tigrane II d’Armenia. Le vittorie schiaccianti dell’esercito romano spinsero Mitridate al suicidio e il sovrano armeno alla resa. Ma soprattutto portarono all’annessione di alcuni territori chiave: la Siriala Cilicia, il Ponto e la Bitinia, e alla creazione di un nuovo sistema di protettorati.

Per guerra piratica di Pompeo si intende la fase finale delle campagne condotte dalla Repubblica romana contro ipirati che infestavano le coste del Mediterraneo orientale e danneggiavano le province romane orientali, portate a termine in una quarantina di giorni.[1][8]
« I pirati non navigavano più a piccoli gruppi, ma in grosse schiere, e avevano i loro comandanti, che accrebbero la loro fama [per le imprese]. Depredavano e saccheggiavano prima di tutto coloro che navigavano, non lasciandolo in pace neppure d'inverno [...]; poi anche coloro che stavano nei porti. E se uno osava sfidarli in mare aperto, di solito era vinto e distrutto. Se poi riusciva a batterli, non era in grado di catturarli, a causa della velocità delle loro navi. Così i pirati tornavano subito indietro a saccheggiare e bruciare non solo villaggi e fattorie, ma intere città, mentre altre le rendevano alleate, tanto da svernarvi e creare basi per nuove operazioni, come si trattasse di un paese amico. »
(Cassio Dione CocceianoStoria romana, XXXVI, 21.1-3.)

 
La seconda provincia romana asiatica, di Cilicia, conquistata da Marco Antonio Oratore nel corso delle campagne militari del 102 a.C.

Il primo triumvirato.
Un patto segreto.
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Testa di Marco Licino Crasso, museo del Louvre.

Il mondo romano all'epoca del primo triumvirato e degli accordi di Lucca tra Cesare, Crasso e Pompeo nel 56 a.C.

Nel 60 a.C. gli esponenti politici più in vista di Roma erano Pompeo, che aveva sconfitto i pirati e i regni orientali; Crasso, che aveva sgominato Spartaco e il suo esercito di schiavi, e Cesare, un ambizioso esponente della gens Iulia. I tre si riunirono in segreto e strinsero un’alleanza di cinque anni senza basi legali, né sostegno istituzionale. Era un accordo tra privati cittadini che prevedeva di mettere la rispettiva influenza al servizio di alcuni obiettivi politici comuni. Il primo di questi fu l’elezione di Cesare al consolato (59 a. C). Per suggellare l’alleanza con Pompeo, Cesare gli diede in sposa la sua unica figlia, Giulia. Pompeo si era appena separato dalla terza moglie, Mucia Terzia, appartenente all’influente gens Mucia e madre di Pompea, di Gneo e di Sesto. Gli ultimi due sarebbero diventati acerrimi nemici di Giulio Cesare e di Augusto. Dopo la morte di Giulia (54 a.C.) Pompeo sposò Cornelia, figlia di Metello Scipione, che non gli diede discendenti e fu la sua ultima moglie. Il triumvirato fu rinnovato a Lucca nel 56 a.C. L’anno seguente Crasso e Pompeo furono eletti consoli e prorogarono di altri cinque anni il mandato proconsolare di Cesare nelle Gallie. 

IL PRIMO TRIUMVIRATO. Le ultime due campagne, oltre ad accrescere il prestigio militare di Pompeo, permisero a Roma di ripristinare il traffico marittimo e riprendere le relazioni commerciali sul fronte orientale. Nel frattempo nella vita politica romana stava emergendo la figura di Giulio Cesare, che nel 63 a.C. ottenne la più alta magistratura religiosa, la carica vitalizia di pontefice massimo. Al ritorno nella capitale Pompeo celebrò il suo trionfo con grande sfoggio di ricchezze e l’elargizione di 75 milioni di dracme d’argento. Tuttavia, al momento di procedere all’assegnazione delle terre promesse ai suoi veterani, si scontrò con l’opposizione del senato. Non gli restò altra scelta che avvicinarsi al leader dei populares, Crasso e Cesare, con i quali strisce un’alleanza segreta (vedi riquadro sopra): il primo triumvirato (60 a.C.). Grazie a questo accordo Cesare fu eletto console nel 59 a.C. ed eseguì la distribuzione di terre promessa da Pompeo. Al termine del consolato Cesare andò in Gallia alla ricerca degli allori militari che gli avrebbero permesso di consolidare la sua carriera politica. Prima di partire suggellò l’amicizia con Pompeo dandogli in sposa la figlia Giulia. I due condottieri si rividero solo dieci anni più tardi, ma erano ormai nemici giurati. L’improvvisa scomparsa di Giulia, morta di parto nel 54 a.C., e di Crasso, ucciso l’anno dopo nella battaglia di Carre (Mesopotamia), furono abilmente usate dagli optimates per riportare Pompeo dalla loro parte. Così il generale piceno rifiutò una nuova alleanza matrimoniale con Cesare e nell’aprile del 52 a.C. accettò la nomina di console senza collega. Si trattava di una designazione inusuale, perché a Roma il consolato era una magistratura collegiata. Fu probabilmente un espediente per assegnargli i poteri di un dittatore senza dichiararlo espressamente. Alla fine del mandato Pompeo ottenne l’incarico di proconsole, che conservò fino alla morte nel 48 a.C.

La battaglia di Farsalo.
Lo scontro finale.
La battaglia di Farsàlo fu lo scontro decisivo combattuto presso Farsalo il 9 agosto del 48 a.C.[6] tra l'esercito delconsole Gaio Giulio Cesare, rappresentante della fazione dei populares, e quello di Gneo Pompeo Magno, leader degli optimates. La battaglia, che si risolse in una netta vittoria della fazione cesariana, sancì la definitiva sconfitta di Pompeo, e segnò l'inizio della supremazia totale di Cesare, che combatté come legittimo rappresentante delle istituzioni repubblicane.[7]

schema della battaglia.
Nell’inverno del 49 a.C. Cesare riuscì a inviare nella regione balcanica una parte delle sue truppe, eludendo la sorveglianza che Pompeo esercitava sull’Adriatico dalla sua base di Durazzo. Il resto del contingente non avrebbe potuto compiere la traversata fino alla primavera successiva. Cosciente della sua inferiorità numerica, Cesare svernò presso il fiume Apso in attesa di rinforzi. Iniziò quindi una guerra di logoramento in cui le sue truppe, prive di adeguati rifornimenti ebbero la peggio. Ma Pompeo non seppe approfittare della situazione, e Cesare e il suo esercito si rifugiarono nella vicina Apollonia. Il generale piceno decise allora di raggruppare le truppe in Tessaglia, dove raggiunse Cesare. La battaglia definitiva si svolse il 9 agosto del 48 a Farsalo. Pompeo non voleva lo scontro, ma si fece trascinare dallo spirito bellicoso dei suoi soldati e dalle cospirazioni dei suoi generali. Sebbene avesse meno soldati, Cesare riuscì a imporsi grazie alle sue scelte strategiche. A quanto riferisce lui stesso, perse circa 200 uomini a fronte dei 15mila morti e 24mila prigionieri tra le fila di Pompeo. Secondo fonti più imparziali le vittime tra gli uomini di Cesare furono 1200 e tra quelli del suo rivale 6.000.

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Busto di Cesare esposto ai Musei Vaticani

Il mondo romano allo scoppio della guerra civile (1º gennaio 49 a.C.). Sono inoltre evidenziate le legioni distribuite per provincia
POMPEO CONTRO CESARE. La situazione divenne ancora più tesa quando gli optimates annunciarono che, al termine del suo periodo in Gallia, Cesare sarebbe stato processato per le malversazioni commesse durante il consolato. Di fronte a questa intrica congiuntura politica, Cesare non ebbe altra scelta che opporsi alle autorità del senato. Nel 49 a.C. violò gli ordini ricevuti e varcò il Rubicone, il fiume che segnava il confine con la Gallia Cisalpina. Con quel gesto diede inizio a una guerra civile che si sarebbe protratta fino al 45 a.C. nella prima fase del conflitto Pompeo fu al comando dell’esercito della repubblica. Nonostante avesse  più truppe del rivale, non osò affrontarlo e iniziò a ritirarsi di fronte alla sua avanzata. Arrivato a Brindisi imbarcò le sue truppe alla volta di Durazzo, sulla sponda opposta dell’Adriatico. Nel frattempo Cesare otteneva pieni poteri a Roma con il titolo di dictator. Quindi inseguì il suo avversario fino in Tessaglia, dove la fortuna militare di Pompe giunse al termine: il 9 agosto del 48 a.C. fu sconfitto a Farsalo (vedi riquadro sopra) dal miglior genio strategico di Cesare. Il generale piceno fuggì via mare con una trentina di fedelissimi, senza sapere bene dove andare. I suoi amici più cari gli sconsigliarono di chiedere la grazia a Cesare, argomentando che era poco onorevole affidare la propria salvezza a un  gesto di clemenza del nemico. Gli suggerirono invece di rifugiarsi in Egitto: un consiglio che si sarebbe rivelato fatale alla luce degli eventi successivi.

ASSASSINIO IN EGITTO. Arrivato di fronte alle coste egiziane, Pompeo inviò un messaggio al giovane faraone Tolomeo XIII, che era impegnato a Pelusio in una guerra contro la sorella e moglie Cleopatra. VII. In quel momento il governo era in realtà nelle mani dell’eunuco Potino, che fece riunire i consiglieri reali. Questi decretarono che Pompeo andava eliminato per evitare che la sua presenza in Egitto giustificasse eventuali ingerenze di Roma negli affari interni del Paese. Come avrebbe fatto notare più tardi Plutarco, il destino di Pompeo fu deciso da un eunuco, un generale egizio (quindi non romano) e un maestro di retorica che convinse i suoi uditori con l’argomentazione che “un morto non morde”. Pompeo fu attirato in una trappola dai messi di Tolomeo, che gli offrirono di trasportarlo a terra su una piccola imbarcazione. Il generale riconobbe sulla barca un vecchio compagno d’armi, il tribuno Lucio Settimio, e accettò fiducioso. Ma quando ormai la costa era vicina, Achilla, prefetto di Tolomeo, e Settimio lo pugnalarono. Secondo Plutarco “Pompeo morì senza dire né fare nulla d’indegno di lui, ma sospirando soltanto” . Dopo aver assistito a quell’evento tra l’incredulità e, la paura, i suoi familiari e amici levarono le ancore e fuggirono senza vendicarlo. Fu Giulio Cesare ad assumersi questa incombenza: sconvolto dalla morte e dalla decapitazione del rivale, fece giustiziare i responsabili del tradimento.

IL GRANDE SCONFITTO DELLA GUERRA. Il grande sconfitto della guerra civile fu dunque Pompeo, che per molti aveva rappresentato l’ultima speranza di riportare al potere gli optimates, l’ala più conservatrice del senato. La sua sconfitta a Farsalo significò la fine della repubblica e mise in evidenza il maggior talento militare e politico di Cesare. Ma pur ammettendo la superiorità di quest’ultimo, i suoi contemporanei riconobbero a Pompeo una dignità morale di cui il rivale era privo, ene idealizzarono la figura di un uomo virtuoso e senza macchia. Plutarco ne esaltò per esempio lo stile di vita moderato, i trionfi militari, l’eloquenza persuasiva, i modi affabili, l’estrema generosità nel dare e la modestia nel ricevere ciò che gli veniva restituito. Sicuramente i suoi principali contributi alla causa degli optimates furono le sue doti strategiche e le sue vittorie militari. La fama di generale imbattuto gli valse il favore di grandi personalità politiche della sua epoca, come Cicerone, che riponeva in lui grandi speranze. Ciononostante in campo politico Pompeo non seppe dimostrarsi all’altezza delle aspettative del senato. La sua fedeltà alla causa degli optimates si dimostrò strettamente legata al suo tornaconto personale e non esitò a schierarsi con i populares quando gli faceva comodo.
Pompeo non aveva l’istinto politico di Cesare e non seppe approfittare come lui del sistema istituzionale romano. Alla fine il suo tallone d’Achille fu proprio il rispetto per l’ordine stabilito, come fece notare il contemporaneo Velleio Patercolo: “Di eccellente onestà, egregia integrità, moderate capacità retoriche, reso ambizioso dall’autorità conferitagli dalle magistrature (...). Mai, o quasi mai, usò il suo potere per imporsi”. Pompeo scelse di difendere il sistema repubblicano, ma non seppe fare nulla per risollevarlo dalla crisi in cui versava. Giulio Cesare invece cercò di scardinarlo definitivamente. Il generale piceno era una persona dubbiosa e insicura quando non si  trattava di guerre, e gli optimates seppero approfittare di questi aspetti del suo carattere per legarlo a loro e farne il braccio armato del suo partito. Così, quando Cesare partì per la Gallia, Pompeo si lasciò trascinare dagli eventi e dai consigli altri, mentre il futuro dittatore fu sempre artefice del proprio destino. Infine, la fuga di Pompeo dopo la battaglia di Farsalo fu probabilmente troppo affrettata: se avesse analizzato la situazione con più calma, si sarebbe reso conto che non tutto era perduto. E forse il futuro di Roma avrebbe preso una direzione diversa.

Anonimo, La morte di Pompeo, XVIII secolo, Digione, Museo nazionale Magnin

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la colonna di Pompeo: dove un tempo sorgeva il Serapeo di Alessandria - il tempio dedicato al dio Serapide- oggi è ancora visibile la colonna di granito rosa di circa 29 metri che, secondo la tradizione, indica il luogo di sepoltura di Pompeo.


Articolo in gran parte di Carles Buenacasa dipartimento di storia e archeologia università di Barcellona.

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