ALLA CORTE DEL RE DI PERSIA
Forte accentramento, ma con una certa tolleranza per le genti sottomesse. Ecco i segreti dei “Re dei Re” persiani.
Il vero problema dei persiani, scrisse Platone, fu che “condussero lo stato verso il dispotismo più del necessario”. Quasi tutti i Greci la pensavano così: a Oriente stavano i servi di un re privo di misura, a Occidente i cittadini della Polis libera, il migliore dei mondi possibili. Ancora questa idea faziosa e imprecisa riscuote un certo successo, ma è bene sfatare qualche mito lasciando la parola ai diretti interessati, i bistrattati sovrani persiani.
Impero persiano massima estensione.
Intanto da quanto si può parlare di monarchia persiana? In principio fu Ciro, il re condottiero che partendo dalla Perside conquistò tra il 550 e il 539 a .C. la Media , la Lidia e Babilonia. Il figlio Cambise poi, si prese l’Egitto mettendo la parola fine sulla grande storia dei faraoni. Eppure fu solo con Dario I che, in concomitanza della massima espansione dell’impero, si sviluppò una precisa teoria persiana della regalità. Esito paradossale visto che Dario, scrive Joseph Wiesehofer nel suo la Persia antica (il Mulino), era un “usurpatore non potendo vantare alcun diritto al trono”. E infatti salì al potere nel caos seguito alla morte di Cambise nel 522 a .C. con la forza ovviamente. Dopo però salvò le apparenze e per rinforzare i propri diritti sposando la figlia di Ciro il Grande, Atossa. Legò così la sua dinastia, gli Achemenidi, alla precedente, i Teispidi. Una volta sul trono, Dario tra guerre riforme, diede nuova vita all’impero, ormai un variopinto ma ordinato universo che ruotava intorno al gran Re..
Dario I di Persia, detto il Grande (in persiano antico: , Dārayavauš , trad.: "Colui che possiede il bene"; in greco antico: Δαρειος, Dareios; persiano: داریوش, Dâriûsh; 550 a.C. – 486 a.C.), figlio di Istaspe, fu re di Persia dal 522 a.C. al 486 a.C. Dario I cinse anche la corona d'Egitto con il nome di Stutra.
Fece spostare la capitale da Pasargadae a Persepoli, abbellendola e arricchendola con giardini e palazzi, tanto che diventò una stupenda città di arte amministrata con giustizia.
MILLE VOLTI. Il Gran Re, o “Re dei Re!, come era anche chiamato, si sentiva innanzitutto responsabile della prosperità della Perside, “una buona terra con buoni cavalli e buoni uomini” si legge in un’iscrizione. Ma il suo impero, che si estendeva dall’India all’Egitto, era un mosaico di popoli, ognuno con la sua lingua, le sue tradizioni, i suoi culti. Prevalse perciò il pragmatismo: per adattarsi ai costumi locali si presentava come faraone in Egitto, o come servo del dio Marduk a Babilonia. Visto che tutto ruotava attorno al monarca, a chi altri se non a lui doveva far capo l’organizzazione politico amministrativa dell’impero? In ciascuna provincia, anche se faceva di tutto per ingraziarsi le élites e le comunità locali e per rispettarne gli antichi privilegi, veniva infatti inviato un governatore: il satrapo spesso un membro della famiglia reale, meno spesso notabili un notabile del luogo. E i satrapi, chiaramente, erano responsabili di fronte al re. A tenere a bada i “furbetti” nell’amministrazione provinciale ci pensavano gli ispettori “gli occhi e le orecchie del re”, pronti a fare la spia al sovrano al minimo sgarro di chicchessia. Inutile dire che le punizioni per i “servi bugiardi” erano severissime.
Ciro il grande il re dei quattro angoli del mondo.
« Ho pensato talvolta quanti regimi democratici sono stati abbattuti da chi preferiva qualunque altro regime piuttosto che la democrazia; e ancora quante monarchie e oligarchie sono state distrutte dalle fazioni popolari, e che, di quanti hanno tentato di farsi tiranni, alcuni furono fatti fuori immediatamente, altri invece - indipendentemente dalla durata del loro governo - sono stati ammirati come saggi e felici […] Considerando tutto questo mi ero convinto che un dato uomo su qualunque animale può governare fuorché su altri uomini. Ma quando ho riflettuto che c'era stato Ciro […] fui costretto a ravvedermi. »
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(Senofonte, Ciropedia, I, 1,1-3) |
Ciro II di Persia, noto come Ciro il Grande (in persiano antico , trasl. Kuruš; Anshan, Iran, 590 a.C. – 530 a.C.), è stato imperatore persiano e discendente di Ciro I di Persia, membro di quella stirpe dei Teispidi che da qualche tempo controllava la Perside.
IL PRESCELTO. Disubbidire al re e prestargli un cattivo servizio era un sacrilegio: il sovrano era il prescelto di Ahuramzda, la divinità suprema dello zoroastrismo. Il dio accordava a lui, e solo a lui, il suo favore e gli bastavano tributi, servizio militare e rispetto.
La sacralità del Gran Re si rifletteva nei fastosi cerimoniali di investitura. Avvenivano a Pasargade, l’antica residenza di Ciro, soltanto dopo la decorosa sepoltura del predecessore. Il rito era tutto un richiamo al passato: dalle pietanza frugali in memoria dell’antico stile persiano fino all’abito di ciro che andava indossato in segno di potenza e autorità. Con la consacrazione religiosa e la consegna delle insegne reali (una su tutte, la tiaria diritta color porpora) la cerimonia si concludeva:al nuovo re non rimaneva che mostrarsi al popolo.
DALL’ALTRA PARTE. Per farsi strada in società la benevolenza regia era la chiave. Partivano da una posizione di vantaggio i familiari, a cominciare dalle dolci metà del re (gli Achemenidi praticavano la poligamia), ambiziosi e spregiudicate. Parisatide, moglie del fratellastro di Dario II (423-404 a .C.), fece avvelenare la nuora Statira perché troppo amata dalla gente. Ma soprattutto approfittò della debolezza del marito per governare, il che non era poi così insolito nella cultura persiana. Per i Greci, al contrario, una donna al potere era uno scandalo.
Ma avere nobili natali senza avere il favore del re non serviva. Bisognava entrare nella cerchia dei cosi detti benefattori del re e da lì si poteva sperare di diventare “amici” o addirittura “consanguinei”, magari sposandone una figlia. Solo così arrivavano le ricompense: una carica politica, un privilegio o più frequentemente, un ricco dono. Quello di coprire di regali i buoni servitori era un vezzo dei sovani persiani, un modo per ostentare superiorità, più che frutto di ingenua generosità. Erodoto racconta che Cambise, spinto dalla fame di conquista, inviò ai re Etiopi “una veste di porpora, una collana e braccialetti d’oro, un vaso di alabastro colmo di unguenti e uno colmo di vino di palma”.
http://didattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/39298/Senofonte_-_11.pdf
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UNA CORTE MOBILE. Anche ai sudditi più comuni erano concesse attenzioni. Il Gran re si spostava di continuo da una regione all’altra, più che altro a scopo politico: questa regalità itinerante era un modo per farsi ammirare mostrando il volto rassicurante del potere. Caratteristica di questi viaggi era la gigantesca tenda dove dormiva il Gran Re, una specie di palazzo mobile con tanto di insegne regali. Non a caso Alessandro Magno reclamò per sé il dominio sull’Asia dopo essersi impadronito delle tenda del suo nemico, Dario III, sconfitto a Isso nel 333 a .C. I sovrani persiani avevano capito una lezione fondamentale della politica: apparire conta tanto quanto essere. Già la scelta del nome aveva un significato simbolico: Dario II, per dirne uno, si chiamava in realtà Ochos, ma come re volle il nome Dario che stava per “colui che regge saldamente il bene”. La propaganda passava dalle iscrizioni, dall’arte, dai monumenti, dalle sontuose capitali Persiane come Persepoli o Susa. E tutti rimandava alla figura quasi mitica del Gran Re, virile, bello, giusto: una sorta di Dio sceso sulla terra. Dario I, vero maestro della propaganda, arrivò perfino a far scolpire le sue gesta sul monte Behistun (Iran). L’iscrizione trilingue (persiano, elamita e babilonese) contiene il racconto ufficiale dell’ascesa al potere di Dario, anche se, come è ovvio, con qualche “ritocco” di convenienza alla narrazione storica. Controllare il passato significa controllare il presente i Persiani avevano capito pure questo. Vero tallo d’Achille della monarchia persiana fu la successione. Il Gran Re nominava erede il primogenito o anche un altro discendente se le circostanze lo imponevano. Dario I designò suo successore non il figlio maggiore, Artobarzane, ma Serse. Il bambino avuto ad Atossa che riuniva in sé la stirpe achemenide e quella teispidica. Raramente alla morte del sovrano filava tutto liscio. Anzi, prima che si insediasse un nuovo re, qualcuno finiva sempre ammazzato in oscuri complotti. Così accadde alla morte di Artaserse II (359 a .C.), quando il successore designato, Dario, e due suoi fratelli morirono in circostanze poco chiare: a trarne vantaggio fu un altro figlio del defunto re che prese il nome di Artaserse III. Morire di vecchiaia era l’unico lusso che il Gran Re non poteva permettersi.
Moneta raffigurante Tissaferme
Tissaferne (in persiano antico Čiθrafarnah; in greco antico: Τισσαφέρνης, Tissaphérnēs; 445 a.C. – Colossi, 395 a.C.) è stato un militare e politico persiano, satrapo di Lidia e Caria dal 413 a.C. alla sua morte.
GRANDE FEDERAZIONE. Nell’impero persiano convivevano una forte autorità centrale e un elevato grado di autonomia locale. Il regno era suddiviso in circoscrizioni dette satrapie (20 all’epoca di Dario I, secondo Erodoto), rette da un governatore con ampi poteri civili e militari, satrapo. Se le era inventate Ciro il Grande per controllare un territorio sempre più vasto.
BUROCRAZIA. Il satrapo si occupava della riscossione dei tributi, del reclutamento di truppe e della giustizia, il tutto da uno splendido palazzo, simbolo del potere che rappresentava. A livello locale i Persiani si impegnavano d’altra parte a rispettare le tradizioni, i culti e le istituzioni già presenti e solo di rado ricorrevano alla forza: per esempio nel riottoso Egitto.
Articolo di Giulio Talini pubblicato su Focus storia n.138, immagini scaricate da Wikipedia
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