Il blitzkrieg – la travolgente guerra lampo.
Le radici nella tradizione militare prussiana.
Prima di diventare un punto di forza dell’esercito nazista, questa modalità di combattimento si sviluppò attraverso un lungo processo. Eccone le origini.
Il termine guerra lampo compare per la prima volta il 25 settembre 1939 in un articolo della rivista americana Time che commentava la vittoria della Germania nazista sulla Polonia. L’intuizione giornalistica aveva sintetizzato in poche lettere un nuovo tipo di guerra: colonne di carri armati avevano travolto un avversario di tutto rispetto con la rapidità e la potenza di un fulmine, e il mondo attonito cercava almeno di dare un nome a quel fenomeno sorprendente, fosco presagio di ulteriori guerre. La parola Blitzkrieg, infatti, non compare in nessun documento ufficiale dell’esercito tedesco, né esiste alcun manuale di dottrina che descriva o tratti della Blitzkrieg in quanto tale. Per comprendere appieno quel nuovo tipo di guerra, però, non si poteva cominciare dal 1° settembre 1939, quando i primi carri armati violarono il confine polacco, ma si doveva andare molto indietro negli anni. La Blitzkrieg, infatti, non era uno spartiacque nella storia dell’arte militare, emerso dal nulla nella Germania nazista, ma il risultato di un processo evolutivo maturato per oltre un secolo, che affonda le sue radici nella cultura e nelle dottrine sviluppate dall’esercito prussiano a partire dall’Ottocento. La cocente sconfitta subita a opera di Napoleone nel 1808 venne presa come una lezione dalla quale ripartire per prendersi la rivincita. I motivi del successo delle armate rivoluzionarie vennero indagati a fondo da un comitato guidato dal più radicale esponente del movimento riformatore del corpo di ufficiali prussiano, Gerhard von Schrnohorst, e applicati con tale efficacia e acume che i risultati furono subito eclatanti. Dalla campagna del 1813 fino a Waterloo, infatti, il contributo dell’esercito prussiano alla sconfitta finale di Napoleone fu decisivo. Von Scharnhorst introdusse la coscrizione obbligatoria, la meritocrazia nella selezione e nell’avanzamento degli ufficiali, impose a un esercito fossilizzato sulle rigide manovre settentesche l’addestramento alle elastiche tattiche di schermaglia, istituì specifici percorsi formativi specialistici per gli ufficiali di Stato maggiore, promosse una conduzione delle armate sul campo più spregiudicata e aggressiva. Era una riforma così profonda da avere effetti duraturi sulla stessa società prussiana, elevando lo status sociale della professione militare, ma conferendole al contempo elementi di dinamicità intellettuale e pratica che non avevano paragoni nel resto del mondo.
Von Clausewitz e il concetto di Schwerpunkt.
Gerhard Von Clausewitz volle come suo assistente personale un ufficiale non ancora trentenne, ma già molto stimato nell’esercito prussiano per le sue qualità intellettuali: Carl von Clausewitz. Il pensiero di quest’ultimo ebbe un’influenza enorme sulla comprensione della guerra e sugli sviluppi della cultura strategica. Un apparato concettuale ciclopico che trova il suo culmine nel “Della guerra”, a tutt’oggi un’opera unica nella storia del pensiero militare. Von Clausewitz non offriva precetti e soluzioni schematiche, anzi li rifiutava, ma partendo dall’esperienza concreta della guerra invitava i militare a imparare a muoversi in un ambiente mutevole e caotico. Gli eserciti sul campo dovevano essere letti come strutture fluide e in continuo movimento, e come ogni struttura essi erano dotati di un baricentro, che costituiva il loro punto di equilibrio. Von Clausewitz lo chiama “Scwerpunkt” e per i militari fu un’illuminazione. Gli eserciti (e persino le nazioni) si reggevano su uno Scwerpunkt: per vincere bisognava definire precisamente il proprio e scoprire qual’era quello del nemico per colpirlo, sbilanciando e facendo crollare in un sol colpo tutto il suo apparato bellico. Per Von Clausewitz lo Scwerpunkt era un punto critico, più che un punto forte o debole, ma fu in questa seconda interpretazione semplificata e riduttiva che il concetto conobbe la sua più vasta diffusione, rimanendo comunque un faro inestimabile dell’azione militare. A qualsiasi livello di operazioni, da quello strategico a quello tattico, il successo era garantito se il massimo sforzo dell’attaccante veniva esercitato sul punto più debole del difensore.
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Von Moltke e la Auftragstaktik.
A Metà dell’Ottocento la Prussia stava avviando il processo di unificazione tedesca, incontrando l’ostilità di tutte le nazioni confinanti. Era il momento di una riforma militare che adeguasse l’esercito prussiano alle nuove sfide che lo attendevano. Il capo di Stato maggiore Helmut Von Moltke fu il secondo più grande innovatore del sistema militare prussiano dopo la riforma di Von Scharnhorst e proseguì l’opera del suo predecessore ampliandola e aggiornandola. Tutte le nazioni europee, a eccezione della Gran Bretagna, ormai avevano adottato una la coscrizione universale, a ferma più o meno lunga, mettendo in campo eserciti di dimensioni mai raggiunti prima. Nel contempo la nascente società industriale non solo riusciva a sfornare armi in quantità sufficiente per simili masse di uomini, ma sapeva anche renderle ogni anno più letali, in un continuo processo stimolato da un’innovazione tecnologica che procedeva a un ritmo vertiginoso. Von Moltke aveva percepito le linee tendenziali di questo processo, e su questo fondò i suoi principi di riforma. Gli eserciti di massa si sarebbero dispersi su un’area troppo vasta per essere controllati da un’unica mente e persino il comandante di un plotone sarebbe riuscito a dare ordini solo agli uomini che poteva raggiungere strisciando per evitare le pallottole del nemico. In queste condizioni, ripeteva spesso che “ogni piano era destinato a essere sconvolto al primo incontro con il nemico”. Questo non annullava l’importanza dei piani di battaglia, ma richiedeva che gli obiettivi fossero chiari e condivisi, su tutti i gradini della scala gerarchica, da quanti dovevano applicarli. Ma non era sufficiente comprenderli: ogni ufficiale e sottoufficiale doveva essere in condizione, per preparazione e per carattere, di individuare quando e come modificare il modo per raggiungere quegli obiettivi, se la situazione sul campo lo richiedeva. Era la Auftragstaktik, o tattica del compito, che richiedeva autonomia di giudizio, intraprendenza, senso di responsabilità. Valori che divennero essenziali nella cultura militare tedesca,
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L’elaborazione della dottrina.
Alla conclusione della grande guerra si rese necessario comprendere quali sbagli erano stati compiuti e quali lezioni se ne potevano trarre per rimediare alle falle del sistema militare tedesco.
La Germania era uscita sconfitta dalla Grande Guerra, e alla prostrazione dovuta all’immane costo umano e materiale del conflitto si erano aggiunte le punitive condizioni imposte dal Trattato di Versailles. I vincitori volevano garanzie che la Germania non avrebbe rappresentato un pericolo per la pace europea e mondiale e inserirono nell’accordo clausole che rendevano l’esercito tedesco poco più di una formalità: limiti di 100mila uomini, divieto di possedere un’aviazione militari e carri armati, divieto di avere uno Stato maggiore, al massimo un burocratico Truppenamt (un dipartimento delle truppe). La neonata repubblica tedesca pose a capo del Truppenamt Hans von Seeckt, chiedendogli di garantire alla propria nazione uno strumento difensivo: che doveva essere piccolo, ma non per questo doveva anche essere debole. Come von Scharnhorst prima di lui, anche von Seeckt incominciò il lavoro analizzando la sconfitta, ma se al suo predecessore era bastato un solo comitato per questo compito, egli ne istituì ben 57. Ognuno di essi era composto di ufficiali con esperienza del campo di battaglia e von Seeckt poneva loro le stesse domande: che cosa era successo nella guerra 1914-18? Che cosa non si era capito? Che lezioni si poteva trarre? La franchezza persino brutale era una consolidata tradizione tra gli ufficiali tedeschi, che erano abituati ad esprimere la propria opinione senza artifici e ipocrisie che la rendessero accettabile ai loro superiori, e questo era una garanzia che i risultati delle commissioni, se non efficaci, sarebbe stati almeno sinceri.
Già la conferma in seno all’esercito della validità di un sistema e di una cultura fu un primo risultato per von Seeckt. In continuità con l’eredità di von Scharnhorst, con il pensiero di von Clausewitz e con le riforme di von Moltke, venne ribadito che qualsiasi analisi, così come qualsiasi soluzione, doveva basarsi sull’esperienza diretta e concreta di quanto avveniva sul campo di battaglia. La guerra era stata persa per i gravi errori strategici compiuti da quanti si erano succeduti al più alto comando dell’esercito tedesco: da Helmuth von Moltke “il Giovane” (nipote e omonimo del suo predecessore), a Erich von Falkenhayn e a Erich Ludendorff.
I componenti delle 57 commissioni di von Seeckt, però, non guardavano così in alto, e si limitarono a descrivere ciò che essi avevano visto con i loro occhi. Da un lato il sistema di cui facevano parte aveva sicuramente funzionato. L’esercito tedesco non solo aveva superato per addestramento e combattività quello dei suoi nemici, ma era stato in grado di elaborare al proprio interno, un metodo tattico per prevalere sulle arcigne difese tattiche dei nemici incentrate sul binomio mitragliatrice-trincea. Le Stosstruppen (Squadre di fanteria d’assalto) con il loro addestramento speciale, la loro agilità e aggressività, la loro capacita di impiegare in modo combinato e sinergico lanciafiamme, cannoni di accompagnamento e armi automatiche, avevano perforato e superato ogni ostacolo, ottenendo successi che si ritenevano impossibili. Tuttavia se questo non era stato sufficiente a vincere la guerra, il motivo non poteva solo essere addebitato agli errori degli alti comandi. Anche gli avversari, infatti, avevano trovato un modo per rompere la solidità delle trincee, evidenziando una grave falla nell’intero sistema militare tedesco: efficace, certo, ma autoreferenziale, incapace di dialogare con il mondo esterno e di attingere contributi da quanti non indossassero una divisa. Con il loro sistema di rapporti informali e orizzontali, che mettevano in comunicazione uomini con esperienze molto diverse, i britannici avevano preso il meglio delle idee e della tecnologia disponibili e inventato il carro armato. Per quanto rudimentali, lenti e impacciati, quei primi esemplari di carri rappresentavano una risposta persino più efficace delle Stosstruppen alla guerra di trincea, perché il mezzo meccanico poteva realizzare l’obiettivo che all’uomo non era riuscito: riportare il movimento e la decisione nel campo di battaglia.
I protagonisti.
L’elaborazione della Blitzkrieg fu il frutto di un intenso sforzo teorico di un gruppo di militari tedeschi negli anni Venti del XX secolo, proseguito con affinamenti, teorici e in esercitazioni, e soprattutto con la pratica di combattimento. In senso lato lo stesso Hitler ha dato un contributo al suo sviluppo. Il Fuhrer non amava la parola Blitzkrieg: nel 1942 durante un discorso spiegò che si tratta di una pura trovata italiana, una fraseologia italiana, opinione che probabilmente derivava dal libro del generale Aldo Cabiati La guerra lampo (1940). La paternità della Blitzkrieg è un’opera collettiva dell’ambiente militare tedesco, il risultato di una storia, di una cultura e di un’organizzazione che proiettavano se stesse in un’era nuova, dominata dalle macchine a motore a scoppio. Né avrebbe potuto essere altrimenti vista la complessità e articolazione del risultato.
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Hans von Seeckt (1866-1938) fu il massimo responsabile delle forze armate tedesche tra il 1919 e il 1926 e con il suo impegno diede un fondamentale contributo sia alla rinascita della Wermacht, sia all’elaborazione teorica della Blitzkrieg. Suo, infatti, il documento di dottrina Comando e combattimento delle armi del 1921, che influenzò profondamente gli sviluppi dottrinari successivi. Il suo impegno per conferire alla Germania un esercito efficiente e potente, nonostante i limiti imposti dal Trattato di Versailles, fu totale e senza esclusione di mezzi: von Seeckt viene ritenuto il mandante ultimo e comunque, visto il suo ruolo al vertice, almeno coinvolto nell’organizzazione di una struttura segreta che, assassinò alcuni dei funzionari addetti al controllo del rispetto delle clausole del trattato.
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Ludwig von Eimannsberger (1878-1945) nacque a Innsbruck, in Austria, e partecipò alla Grande Guerra in qualità di generale di artiglieria. Comprese la novità rappresentata dalla guerra meccanizzata fin dal primo apparire dei carri armati su un campo di battaglia nel 1917 e da allora in poi fu uno dei più prolifici e brillanti analisti e teorici in questo campo. Sue alcune delle frasi più citate e più famose sull’argomento: “La cavalleria è morta, non c’è più posto per lei vicino ai carri armati. Tuttavia i suoi compiti sono rimasti e per il loro svolgimento in futuro ci si dovrà affidare ai veicoli corazzati. L’attacco è fuoco e movimento, e il carro armato unisce entrambi questi elementi in una macchina da guerra”.la sua opera più famosa è Der Kampfwagenkrieg (la guerra dei carri armati) e fu pubblicata nel 1933. Fu promosso per questo a influente esperto mondiale delle strategie della guerra meccanizzata.
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Franz Volckeim (1898-1962) si arruolò volontario nel Reichswehr a 17 anni e a 19 entrò nel Panzerkorps, partecipando e facendosi notare a varie azioni di combattimento. Le sue prime riflessioni sull’impiego di carri armati risalgono al 1923, e da allora la sua produzione teorica fu ininterrotta. Particolarmente importante fu la sua esperienza dal 1932 al 1933 come istruttore degli ufficiali carristi russi nel poligono di Kazan: fu quindi uno dei pochi militari tedeschi ad avere un’esperienza con i carri armati prima che venissero prodotti in Germania. Nei suoi libri la dottrina della Blitzgrieg e sulle tattiche della guerra meccanizzata appaiono già praticamente nella loro completezza.
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Heinz Guderian (1888-1954) Il ruolo di questo generale nello sviluppo delle nuove dottrine sulla guerra meccanizzata in Germania è stato a lungo considerato fondamentale. In realtà, almeno dal punto di vista della dottrina, la lettura dei suoi scritti non conferma questa tesi. Il suo pensiero non brilla per originalità, ma risulta molto simile a quelli di Ludwig von Eimmannsberger e di Ernst Volckheim, con i quali è tuttavia piuttosto avaro di riconoscimenti. D’altro canto, dal 1927 in poi, la sua posizione di comandante del dipartimento che si occupava della motorizzazione e delle trasmissioni radio dell’Esercito lo mise in condizione di esercitare una vigorosa spinta in favore della realizzazione pratica della forza corazzata tedesca. Nel 1935 fu nominato generale e la sua influenza, soprattutto tra i membri del governo nazista, divenne ancora più importante, seppure assieme a quella di altri ufficiali come ad esempio il generale Erich von Manstein. La sua condotta durante la guerra dimostrò comunque che anche se la dottrina della Blitzkrieg non era una sua invenzione, pochi erano al suo livello quando si trattava di metterla in pratica sul campo di battaglia.
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Prove generali di Blitzkrieg.
Dal primo dopoguerra agli inizi della Germania nazista, la guerra lampo comincia a delinearsi nella forma che diventerà famosa. Con l’invasione della Polonia (1° settembre 1939), la Blitzkrieg ebbe il primo collaudo sul campo.
Werner Thomas Ludwig Freiherr von Fritsch
Werner Thomas Ludwig Freiherr von Fritsch
Nel 1921 Hans von Seeckt pubblicò il documento Comando e combattimento delle armi combinate (Fuhrung und Gefecht der verbundenen Waffen), che divenne il punto di riferimento dottrinario della Wehrmacht nel periodo tra le due guerre e in non poca misura anche durante la Seconda guerra mondiale. L’enfasi già posta nel titolo sul concetto di armi combinate rispondeva all’esperienza acquisita durante la Grande Guerra con le tattiche delle Stosstruppen, che valorizzavano la collaborazione tra armi diverse durante il combattimento. L’obiettivo del documento era mantenere tale attitudine nel futuro campo di battaglia: in questo contesto sarebbe stati i veicoli dotati di motore a scoppio – fossero essi su cingoli, su ruote o dotate di ali – a svolgere un ruolo decisivo in virtù della loro velocità di movimento e della loro imprevedibilità. Von Seeckt stimolava gli ufficiali tedeschi a studiare l’innovazione tecnologia, a comprendere un mondo che non era originariamente il loro, a discuterne gli aspetti e le prospettive, e a diffondere le loro opinioni in modo che il dibattito diventasse più ampio e partecipato. Un impegno i cui frutti sarebbero maturati da lì a qualche anno. Von Seeckt fu lungimirante anche nell’attività pratica di riorganizzazione delle forze armate tedesche. Quando nel 1926 fu costretto a rassegnare il suo incarico per aver permesso al principe Guglielmo, nipote dell’imperatore, ad assistere alle manovre militari con l’alta uniforme imperiale, l’esercito tedesco era sempre nei limiti di 100mila uomini, di cui 4mila ufficiali, imposti dal Trattato di Versailles, ma per addestramento e cultura militare erano altrettanti potenziali leader di un esercito molto più grande. Quando nel 1933 il Partito nazionalsocialista di Adolf Hitler arrivò al potere trovò uno strumento con una struttura ben definita e soprattutto il potenziale intellettuale e organizzativo per evolvere verso forme sempre più perfezionate. Nel 1935, con la reintroduzione della leva obbligatoria, la Reichswehr poté salire a 600mila effettivi sena particolari preoccupazioni di perdita di efficienza.
All’esercito tedesco e ai giovani ufficiali che partecipavano al dibattito teorico per prepararsi alla guerra futura, mancava solo l’esperienza pratica. In patria e in un poligono messo segretamente a disposizione dalla Russia sovietica venivano effettuate manovre sperimentali con finti mezzi meccanizzati allestiti su veicoli civili. Le indicazioni ottenute erano poche e scarsamente attendibili, ma venivano studiate con serietà e dedizione perché erano le uniche. Dall’estero la sola letteratura disponibile basata su una conoscenza diretta del combattimento di mezzi a motore veniva dal generale britannico John Fuller, principale autorità mondiale nel campo della guerra meccanizzata. Fuller aveva pianificato i maggiori attacchi di carri britannici durante la Grande Guerra, a partire dalla battaglia di Cambrai nel 1917, e aveva poi progettato il Piano 1919: un avveniristico assalto di 10mila carri armati appoggiati solo dall’aviazione. Dopo la guerra aveva pubblicato le sue esperienze e le sue teorie, ma i militari tedeschi proseguirono in modo autonomo l’analisi della futura guerra meccanizzata, basandosi prevalentemente sulla propria tradizionale cultura militare. D’altra parte lo stesso Partito nazista mostrò in modo tangibile di rispettare questa continuità anche solo per opportunismo, autorizzando nel 1933 la pubblicazione l’adozione di un nuovo regolamento dottrinario intitolato Truppenfuhrubg (il comando delle truppe) il principale manuale tattico della Germania nella Seconda Guerra mondiale. Gli autori, Werner von Fritsch e Ludwig Beck, erano destinati il primo a diventare comandate in capo dell’Esercito, e il secondo capo di Stato Maggiore e fondatore di fatto delle forze meccanizzate tedesche, con la creazione delle prime tre divisioni corazzate. Entrambi caddero in disgrazia prima della guerra, ma il manuale che avevano scritto rimase in vigore. Beck fu addirittura implicato nel complotto per assassinare Hitler con una bomba il 20 luglio 1944, episodio noto come Operazione Valchiria. Il Truppenfuhrung è in realtà una riscrittura di Comando e combattimento delle armi combinate di von Seeckt e ne ribadisce i principi, sancendo di fatto la nascita della Blitzkrieg, ovvero l’interpretazione secondo la cultura militare prussiano-tedesca di una guerra condotta nell’era del motore a scoppio.
Si spiega, infatti, nel Truppenfuhrung che “la condotta della guerra è un’arte, una libera attività creativa (…) basata su un continuo e incessante sviluppo. Nuovi strumenti di guerra danno ai conflitti una forma in incessante cambiamento. Il campo di battaglia vuoto esige un combattente che pensa e agisce di propria iniziativa e può sempre analizzare una situazione e sfruttarla in modo decisivo e coraggioso”. Quanto all’impiego dei carri armati si fissa il principio che “essi saranno impiegati in attacco là dove è cercata la decisione”. Prima che la Reichswehr possa annoverare tra i suoi mezzi anche un singolo carro armato, questi principi prevedono comandanti che osservando con i propri occhi l’evolversi della situazione, decidono in fretta, si assumono responsabilità e sanno avvantaggiarsi di ogni opportunità, comprendendo il valore della velocità delle unità meccanizzate: in queste parole ci sono già Guderian, Rommel e tanti altri che guidano attacchi di mezzi corazzati alla testa delle loro truppe. Di lì a poco la Germania nazista avrebbe dato modo alla Reichswehr di mettersi alla prova. Wilhelm Ritter von Toma fu il primo ad avere esperienza diretta di guerra meccanizzata, durante la Guerra civile spagnola (1936-38). Inviato a comandare il contingente di terra della Legione Condor, con compiti nominalmente di istruzione delle truppe nazionaliste, dichiarò di aver partecipato direttamente a 192 azioni. Il primo carro armato tedesco, il Panzer I, si dimostrò inferiore al T-26 russo, non fosse altro che per il cannone da 45 mm che quest’ultimo montava in torretta, mentre il Panzer I aveva solo 2 mitragliatrici. La sorpresa era relativa, perché accanto ai carri leggeri Panzer I e Panzer II (quest’ultimo con un cannoncino da 2 cm), i tedeschi già stavano aspettando la produzione dei primi carri medi: i Panzer III e IV. Anche le invasioni incontrastate di Austria e Cecoslovacchia furono attentamente studiate, fornendo lezioni in una materia apparentemente secondaria come l’incolonnamento delle unità e permettendo di perfezionarlo. Con l’invasione della Polonia, il 1° settembre 1939. La Blitzkrieg incontrò la sua prima vera prova del fuoco. Nelle sue memorie Heinz Guderian sostiene cha ancora il sistema non era maturo, un livello secondo lui raggiunto solo con l’invasione della Francia l’anno successivo.
Ludwig Beck
Il lessico.
Ci sono parole che costituiscono i cardini delle dottrine. La Blitzkrieg coniugava in sé alcuni concetti chiave che facevano storicamente parte integrante della cultura militare tedesca da lungo tempo:
AUFTRAGSTAKTIK: Tattica del compito: ogni comandante concorda con i subordinati il ruolo svolto da ciascuno nell’economia generale del piano e gli obiettivi che devono raggiungere, ma lascia a loro stabilire come farlo, a seconda delle condizioni che incontreranno sul campo.
BEWEGUNGSKRIEG: Guerra di movimento: il combattimento in attacco deve essere dinamico e seguire un flusso di movimenti incessante. Rallentare o ancora peggio fermarsi significa offrire un facile bersaglio al nemico. Inoltre, il movimento continuo aumenta l’imprevedibilità e l’effetto sorpresa dell’azione bellica, costringendo il nemico a subire costantemente l’iniziativa dell’aversario.
GEFECHT DER VERBUNDENEN WAFFEN: Battaglia delle armi combinate: si deve sempre cercare l’effetto sinergico prodotto dalla combinazione di sistemi d’arma diversi, in battaglia, per massimizzare l’effetto complessivo. L’impiego simultaneo o in sequenza, ma comunque preordinato, di varie specialità compensa le loro debolezze mentre aumenta l’efficacia.
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Panzer I (1934-1945)
TIPO: Carro leggero
ESEMPLARI PRODOTTI: 1493
EQUIPAGGIO: 2
PESO: 5,4 T
CORAZZATURA: 6-13 mm.
ARMAMENTO: 2 mitragliatrici da 7,92 mm
VELOCITA’: 37 km/h
AUTONOMIA: 100/140 km.
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Panzer II (1936-1945)
TIPO: Carro leggero
ESEMPLARI PRODOTTI: 1856
EQUIPAGGIO: 3
PESO: 8,9 T
CORAZZATURA: 5-15 mm.
ARMAMENTO: 1 cannoncino da 2 cm e 1 mitragliatrice da 7,92 mm
VELOCITA’: 40 km/h
AUTONOMIA: 130/200 km.
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Il sistema maturo in Francia.
Nell’arco di un mese e mezzo le truppe di HJitler ottennero un’importante vittoria. Tra i fattori che fecero differenza cu furoino la rapidità e la sorpresa. La Francia fu sconfitta, ma il successo tedesco non fu affatto facile e lo stesso Guderian ebbe a definirlo “un miracolo”.
Fall Gelb. Caso Giallo, fu il nome in codice dell’invasione tedesca della Francia. Secondo il generale Heinz Guderian, certamente uno dei migliori interpreti sul campo della Blitzkrieg e anche uno degli uomini che più attivamente partecipò alla sua definizione tattica, questa operazione militare fu anche la prima dove la guerra lampo stessa ebbe la piena attuazione. Il confronto tra gli eserciti contrapposti vedeva in vantaggio gli Alleati (francesi, britannici, belgi, olandesi e una divisione polacca): 3 milioni di uomini contro 2,5 milioni di soldati delle armate tedesche. Complessivamente 156 divisioni contro 136, di cui 10 erano Panzer Division e 6 di fanteria motorizzata. Anche per numero di carri armati gli alleati erano in notevole vantaggio: 3600 contro 2574 tedeschi. Ma la situazione era anche peggiore dal punto di vista qualitativo perché solo poco più di un quinto di esse era di tipo medio, Panzer III o IV, mentre i rimanenti erano di tipo leggero. Gli Alleati, al contrario, disponevano anche di 300 carri pesanti, i potenti B1, e 250 nuovi carri medi SOMUA. Persino i veicoli da trasporto gli Alleati superavano la Wermacht: il solo esercito francese disponeva di 300mila veicoli contro i 120mila tedeschi, mentre il contingente britannico era addirittura completamente motorizzato. L’unico punto di vantaggio per la Wehrmact consisteva nella Lutwaffe, con oltre 5000 velivoli contro i 2700 circa degli Alleati. In queste condizioni, per i tedeschi era estremamente difficile ottenere una vittoria decisiva: il massimo che si poteva ragionevolmente attendere era un successo parziale. Il piano elaborato dall’Oberkommando des Heeres (OKH), guidato dall’Oberbefehlshaber des Heeerese (OBdH) Generalfeldmarschall Walther von Brauchitsch, e opera dello Chefs des Generalstabes des Heeres, Generaloberst Franz Halder, prevedeva infatti come sforzo principale una spallata decisa contro il grosso delle forze alleate assestata dallo Heeresgruppe A, il principale gruppo di armate tedesco, il quale, attraversando Olanda e Belgio, doveva portare il prima possibile la guerra al confine con la Francia.
Si tratta di una versione riveduta, corretta e ammodernata del piano di aggressione alla Francia che il generale Alred von Schlieffen aveva ideato ai primi del Novecento, e che con le dovute correzioni e modifiche si pensava di poter far funzionare con maggior successo rispetto alla versione di quello stesso piano utilizzata nel 1914. Probabilmente non avrebbe sorpreso gli Alleati, ma rappresentava per l’alto comando tedesco un rischio oculatamente calcolato, utile a non esporre la Wehrmacht a un rovescio che sarebbe stato disastroso. Si pronunciò contro questo piano, però il Generalleutnant Erich von Manstein, Chef des Stabes dello Heeresgruppe A, che ne presentò uno alternativo, molto più audace e fiducioso delle potenzialità della Wehrmacht e di quegli innovati procedimenti tattici messi a punto in Polonia, che si erano guadagnati l’appellativo di Blitzkrieg. In termini Clausewtziani, von Manstein propose un cambio radicale di Schwerpunkt (il punto critico degli avversari): dal nord al centro dello schieramento alleato, nella zona delle Ardenne. Qui le linee di comunicazione erano peggiori rispetto a quelle settentrionali, ma proprio per questo motivo si sarebbe potuto contare sull’effetto sorpresa e nel contempo incontrare una resistenza meno numerosa. Lo Heeresgruppe A e lo Heeresgruppe B dovevano semplicemente scambiarsi di posto: al primo sarebbe toccato l’onere dell’attacco decisivo, mentre il secondo lo avrebbe sostenuto tenendo impegnate con un attacco frontale il grosso delle forze avversarie. Una volta che lo Heeresgruppe A avesse attraversato il fiume Mosa, una tumultuosa corsa al mare delle sue divisioni corazzate avrebbe tagliato, come un colpo di falce, le linee di comunicazione delle armate alleate che nel frattempo si sarebbero sbilanciate in avanti per contenere e respingere lo Heeresgruppe B. il piano di von Manstein individuava come baricentro strategico del dispositivo avversario le armate schierate al fianco nord della linea Marginot (complesso di fortificazioni lungo il confine francese), protette dalle dense foreste delle Ardenne. Il piano incontrò l’opposizione di Halder, ma trovò entusiasta Adolf Hitler che ritenne interpretasse con maggior fedeltà il proprio bisogno di una vittoria decisiva e divenne in questo modo Fall Gelb, il piano delle operazioni ufficiale dell’invasione della Francia. Di fronte alla decisione del Fuhrer, Halder dovette inchinarsi, seppure a malincuore, e con lui la maggior pare degli alti ufficiali tedeschi. Non rinunciò comunque a mettere le mani sul piano originale di von Manstein, modificandolo e limandone qua e là gli aspetti più azzardati. Il valore assoluto dell’individuazione dello Schwehrpunkt clausewitziano fu quello di consentire all’attacco tedesco di concentrare la propria forza là dove essa avrebbe potutto conseguire un risultato decisivo e la Blitzgrieg poteva compensare lo svantaggio di uomini e mezzi con il nemico. Le truppe tedesche, già meglio addestrate di quelle alleate, si trovarono, quindi dove occorreva e dove importava, anche in enorme vantaggio numerico. La Lutwaffe, con il suo dominio dei cieli e con la propria elasticità di impiego, avrebbe innanzitutto consenti di usufruire di un importante surplus di fuoco alle truppe di terra, ma avrebbe svolto anche un prezioso compito preventivo, individuando e indebolendo concentrazioni nemiche pronte a contrattacco. Nella pratica non tutto funzionò come previsto: l’imprecisione degli Stuka causò molte vittime amiche e nei rapporti giornalieri degli ufficiali si era già soddisfatti quando ne subivano poche. In un mese e mezzo (dal 10 maggio al 25 giugno 1940) la Francia fu comunque sconfitta, e i britannici furono costretti a una fuga che ebbe dell’incredibile. Il successo tedesco, non fu affatto facile e lo stesso Guderian ebbe a definirlo un miracolo. Il singolo fattore più importante per la vittoria fu la diversa qualità degli stili di comando. Mentre gli ufficiali francesi rimanevano attaccati alle proprie radio comunicando con i loro superiori per spiegare la situazione e attendere istruzioni, quelli tedeschi agivano accanto ai propri uomini secondo il principio della Auftragstaktik: concordato l’obiettivo, ogni ufficiale agiva in autonomia per raggiungerlo. Emblematico il caso di Erwin Rommel durante le fasi cruciali dell’attraversamento della Mosa. Il 14 maggio la sua divisione si trovò bloccata davanti al fiume. I belgi avevano distrutto i ponti e martellavano la posizione con tiri di artiglieria. Rommel, presente sul luogo, diresse il fuoco di tutte le artiglierie disponibili per sopprimere quelle avversarie. Poi organizzò l’attraversamento del fiume su gommoni dei gruppi d’assalto incaricati di stabilire una testa di ponte sull’altro lato del fiume. Per nascondere i movimenti, non avendo fumogeni, fece incendiare alcune case della zona. Quindi si appropriò del treno da ponte di un’altra divisione ed entrò nell’acqua insieme ai suoi genieri per accelerare i lavori. Infine, quando il ponte fu gettato, era nel secondo carro che lo percorse.
Le dottrine degli altri.
La Gran Bretagna aveva introdotto per prima i carri armati un campo di battaglia nel novembre 1917. Questi rudimentali mezzi a motore avevano aperto la strada alle fanterie distruggendo reticolati e agendo come postazioni mobili di mitragliatrici e di cannoni. Questo ruolo di appoggio all’azione della fanteria, negli anni successivi, si era confermato negli eserciti di tutto il mondo come il più convincente edera anche il più diffuso. Erano stati costruiti carri sempre più corazzati e potenti, ma dovendo seguire il passo delle fanterie non necessitavano di una velocità, di una manovrabilità e di un’autonomia particolarmente accentuate. Accanto a questo impiego, se ne fece strada un altro, mutuato dal ruolo tattico svolto nel passato dalla cavalleria: quello dell’esplorazione strategica e della sicurezza delle fanterie compiuto da unità esclusivamente composte da carri armati. I mezzi didicati a svolgere questo secondo tipo di funzione dovevano essere più veloci e con una maggiore autonomia, ma anche sufficientemente armati per sostenere da soli il combattimento, perché la fanteria appiedata non avrebbe potuto mantere il loro passo.
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Panzer III (1939-1945)
TIPO: Carro medio
ESEMPLARI PRODOTTI: 5714
EQUIPAGGIO: 5
PESO: 21,6 T
CORAZZATURA: 5-70 mm.
ARMAMENTO: 1 cannone da 5 cm. e 2 mitragliatici da 7,92 mm
VELOCITA’: 20/40 km/h
AUTONOMIA: 100/175 km.
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Panzer IV (1939-1945)
TIPO: Carro medio
ESEMPLARI PRODOTTI: 8500
EQUIPAGGIO: 5
PESO: 25 T
CORAZZATURA: 20-80 mm.
ARMAMENTO: 1 cannone da 7,5 cm. e 2 mitragliatici da 7,92 mm
VELOCITA’: 20/40 km/h
AUTONOMIA: 180/270 km.
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Panzer V (1943-1945)
TIPO: Carro medio
ESEMPLARI PRODOTTI: 6000
EQUIPAGGIO: 5
PESO: 45 T
CORAZZATURA: 15-120 mm.
ARMAMENTO: 1 cannone da 7,5 cm. e 2 mitragliatici da 7,92 mm
VELOCITA’: 46 km/h
AUTONOMIA: 170/250 km.
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Panzer VI Tiger I (1942-1945)
TIPO: Carro pesante
ESEMPLARI PRODOTTI: 1347
EQUIPAGGIO: 5
PESO: 54 T
CORAZZATURA: 25-120 mm.
ARMAMENTO: 1 cannone da 8,8 cm. e 2 mitragliatici da 7,92 mm
VELOCITA’: 45 km/h
AUTONOMIA: 110/195 km.
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Panzer VI
Panzer VI Tiger II (1944-1945)
TIPO: Carro pesante
ESEMPLARI PRODOTTI: 492
EQUIPAGGIO: 5
PESO: 68 T
CORAZZATURA: 25-185 mm.
ARMAMENTO: 1 cannone da 8,8 cm. e 2 mitragliatici da 7,92 mm
VELOCITA’: 41 km/h
AUTONOMIA: 120/170 km.
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La dottrina della Lutwaffe.
Lo Stuka. Progettato nel 1933 dalla Junkers, restò in produzione per oltre nove anni
Nonostante il Trattato di Versailles impedisse alla Germania di possedere velivoli militari, il generale von Seecht incaricò il maggiore Helmut Wilberg di elaborare una dottrina aerea che si incardinasse sui principi dottrinari che si stavano sviluppando per l’esercito. Nel mondo le dottrine delle guerre aeree privilegiavano il bombardamento strategico, nella convinzione, come ebbe a sintetizzare il parlamentare britannico Stanely Baldwin, che il bombardiere passerà sempre, e che quindi altri velivoli e altre missioni fossero particolarmente irrilevanti in una guerra del futuro. In Germania, al contrario, si sviluppò una dottrina molto più elastica, articolata in una gamma più ampia di missioni e indirizzata in modo privilegiato verso il bombardamento di appoggio al suolo e la preventiva acquisizione della superiorità aerea sulla zona delle operazioni. In ordine di importanza Wilverg indicò:
1. Azione di combattimento per conseguimento della superiorità aerea.
2. Appoggio alle forze terrestri.
3. Appoggio alla Marina.
4. Interdizione delle linee di comunicazione avversarie.
5. Missioni strategiche contro le basi delle operazioni avversarie.
6. Bombardamenti strategici contro obbiettivi civili, economici e amministrativi.
In previsione della guerra, la scelta di priorità stabilita negli anni venti da Wilberg venne sostanzialmente confermata anche per motivi produttivi: nonostante nel tempo si sia sentita la mancanza di un bombardiere strategico (il cosiddetto Bombardiere degli Urali), le richieste dell’esercito erano pressanti e in grado di assorbire da sole l’intera capacità produttiva dell’industria tedesca.
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La sconfitta di Kursk.
Contro i russi, l’esercito tedesco va incontra ad una disfatta già scritta anche per la decisione di Hitler di spostare alcuni contingenti in Italia, orma la Blitzkrieg non può più contare sull’effetto sorpresa.
Contro i russi, l’esercito tedesco va incontra ad una disfatta già scritta anche per la decisione di Hitler di spostare alcuni contingenti in Italia, orma la Blitzkrieg non può più contare sull’effetto sorpresa.
il piano d'attacco tedesco
Nella primavera del 1943 la Seconda guerra mondiale era a una svolta. In Tunisia le forze italo-tedesche stavano per esser sopraffate dall’azione concentrica degli Alleati britannici e americani, e ormai era facile prevedere che presto sarebbero entrare in Europa dal sud, sbarcando in Sicilia e poi sulla penisola per infliggere un colpo decisivo all’Italia fascista. Sul fronte orientale, poi, la situazione era, se possibile, ancora più fosca. Le battaglie contro l’Armata Rossa, e in particolare la terribile sconfitta di Stalingrado, avevano consumato le risorse tedesche oltre il limite di sicurezza: l’organico complessivo delle truppe era di ben 700mila uomini sotto la norma e i tentativi di reintegrarli con nuovo reclute non solo avevano raccolto appena 400mila uomini (quanti la sola Germania aveva perso a Stalingrado, ma li avevano in larga parte sottratti alle industrie e quindi alla produzione militare. In più, l’alto comando tedesco riteneva imminente una prossima offensiva sovietica che sarebbe con ogni probabilità partita dal saliente di Kursk, un cuneo nello schieramento tedesco che rappresentava un ottimo trampolino di lancio per un attacco. Le opzioni strategiche a disposizione dei tedeschi erano poche e nessuna era esente da rischi. In primo luogo si poteva rimanere sulla difensiva, sia in forma elastica, programmando di cedere terreno per puntare a distruggere più nemici possibile con contrattacchi mirati, sia in forma statica, arroccandosi dove si poteva, per resistere a oltranza. Entrambe le ipotesi vennero scartate: la prima soprattutto per l’opposizione di Hitler, ma anche perché avrebbe richiesto tempi lunghi e un respiro che al momento scarseggiava; la seconda perché semplicemente mancavano le truppe per guarnire con la necessaria solidità un fronte tanto vasto. Rimaneva solo un’opzione: quella di attaccare per anticipare l’azione avversaria e circondarne le armate con una grande Kesselschlacht (battaglia di accerchiamento). Il piano tedesco prevedeva che le due punte di una tenaglia sfondassero le difese sovietiche e si congiungessero a Kursk, serrando nella loro stretta come una sacca masse di prigionieri che sarebbero poi stati trasferiti nel Reich per rimpiazzare i vuoti della forza lavoro.
Mappa delle operazioni sul fronte | |
Data | 5 luglio - 16 luglio 1943 |
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Luogo | Kursk, Unione Sovietica |
Esito | Decisiva vittoria sovietica |
L’attacco prese il nome di Unternehmen Zitadelle, ovvero Operazione Cittadella e scattò il 5 luglio 1943 e terminò appena 8 giorni dopo. Il 10 luglio infatti gli Alleati erano sbarcati in Sicilia e Hitler, preoccupato, decise di sottrarre importanti contingenti all’offensiva in corso per spostarli in Italia. Al di là dell’improvvida reazione del Fuhrer, l’Operazione Cittadella era partita già sconfitta. Da mesi Stalin aveva ricevuto informazioni molto precise sulle modalità dell’offensiva e il maresciallo Georgij Zhukov aveva avuto tutto il tempo non solo per esaminare la situazione e prendere contromosse, ma anche per applicarle con estrema abilità. Il saliente di Krusk, sarebbe stato trasformato in un’enorme fortezza, un unico grande ostacolo anticarro irto di ogni arma a disposizione per erodere le forze corazzate del nemico. Quando quel potenziale, già ridotto rispetto agli anni passati, ma comunque ancora temibile, fosse stato sufficientemente indebolito, le forze sovietiche avrebbero dato avvio a un’offensiva di massa. Semplice e letale.
Il panorama che si presentò agli ufficiali tedeschi nei giorni dell’attacco fu da incubo. La linea difensiva russa si presentava continua e proseguiva ininterrotta in ogni direzione con la stessa densità di forze. Ogni arma anticarro disponibile venne messa in linea con grande sapienza tattica. Carri armati interrati sparavano praticamente al livello del suolo, aggiungendo così alla loro corazzatura la protezione offerta dal terreno, dalla mimetizzazione e dalla posizione. Si sarebbe dovuto aggirare quella fortezza alle spalle, cosa resa impossibile dall’estensione dell’apparato difensivo, o colpirla dai cieli, dove però la Luftwaffe non contava più sulla superiorità di un tempo. Anche sfondando una linea, se ne incontrava un’altra, altrettanto munita e potente. Abbondanza di mezzi di cui disponevano permetteva ai sovietici non solo di assegnare carri armati alle unità di fanteria per utilizzarli come bunker, ma anche di conservarne a sufficienza per contrattacchi locali. Qui ebbero minore successo, anzi: la superiorità nella manovra e l’addestramento dei carri tedeschi trovò una nuova conferma. La Blitzgrieg, però, ormai non rappresentava più una sorpresa: “I russi hanno imparato parecchio dal 1941. Non sono più dei contadini sempliciotti. Hanno appreso da noi l’arte della guerra”.
Il generale Kurt Zeitzler, nuovo Capo di Stato Maggiore dell'esercito, pianificatore dell'Unternehmen Zitadelle
La battaglia di Kursk, in tedesco nota col suo nome in codice di Unternehmen Zitadelle (Operazione Cittadella), in russo Битва под Курском (battaglia presso Kursk), Курская битва (battaglia di Kursk), битва на Курской дуге (battaglia dell'arco di Kursk), si svolse nel quadro della terza offensiva estiva sferrata dai tedeschi il 5 luglio 1943[6] sul fronte orientale durante la seconda guerra mondiale e nella quale avvenne la più grande battaglia di mezzi corazzati della storia.
Lo scontro vide opporsi le forze tedesche della Wehrmacht, integrate da quattro divisioni delle Waffen-SS, e dell'Armata Rossasovietica e si risolse, dopo dieci giorni di violenti combattimenti, con un'importante vittoria delle forze sovietiche, che vanificò il successo tedesco, precedentemente ottenuto nella terza battaglia di Char'kov, e consegnò definitivamente l'iniziativa delle operazioni sul fronte orientale all'Armata Rossa.
Un nemico imbattibile: il carro russo T34/76
Durante l’operazione Barbarossa questo carro fu una spiacevole sorpresa per i tedeschi. La sua concezione era la più tecnologicamente avanzata della sua epoca: veloce e con un ampio raggio d’azione, possedeva cingoli molto larghi che gli consentivano di spostarsi con agilità sul fangoso suolo russo e un cannone in grado di danneggiare i mezzi tedeschi. L’innovazione più importante, però, consisteva nella corazza inclinata e arrotondata, che non solo aumentava la portata viva del suo spessore, ma sulla quale spesso i proiettili tedeschi non trovavano l’impatto e scivolavano via.
T34 (1940-45)
LUNGHEZZA: 11 m.
TIPO: Carro medio.
ESEMPLARI PRODOTTI: 35120.
EQUIPAGGIO: 4.
PESO: 26 t.
CORAZZATURA: 20-70 mm. Inclinata.
ARMAMENTO: 1 cannone da 76,2 mm. e 2 mitragliaci da 7,62 mm.
VELOCITA’: 55km/h.
AUTONOMIA: 250/350 km.
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Articolo in gran parte di Nicola Zotti pubblicato su Storie di Guerre e Guerrieri Collection, Sprea Editori, altri testi e foto da wikipedia.
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