La battaglia di
Abukir – un braccio di ferro per il Mediterraneo.
La battaglia segnò il trionfo della Marina Britannica su quella Francese. Nonché l’inizio della leggenda di Horatio Nelson che venne salutato in tutto il continente come il salvatore dell’Europa.
La distruzione de L'Orient nella battaglia del Nilo
la battaglia del Nilo, anche nota in Francia come battaglia della Baia d'Abukir (propriamente Abū Qīr), fu un'importante battaglia navale connessa al conflitto fra la Francia rivoluzionaria e la Gran Bretagna, in particolare alla spedizione comandata da Napoleone Bonaparte e nota come campagna d'Egitto, che si svolse tra la flotta britannica comandata dal Contrammiraglio Sir Horatio Nelson e la flotta francese sotto la guida del Viceammiraglio François-Paul Brueys D'Aigalliers. Ebbe luogo tra la sera del 1º agosto e la mattina del 2 agosto 1798. La battaglia segnò il trionfo della marina britannica, nonché l'inizio della leggenda di Nelson, che venne salutato in tutto il Continente come il "Salvatore dell'Europa".
Il genio militare di Horatio Nelson, l’inadeguatezza dell’Ammiraglio francese, la conferma del predominio navale inglese: questa in sintesi fu la battaglia del Nilo, più nota in Francia come quella della Baia di Abukir (località a nord est di Alessandria), combattuta la sera del primo agosto 1798, quando la parabola politico-militare di Napoleone Bonaparte era appena agli inizi. Eppure nello scontro egiziano era già possibile leggere i prodomini della futura sconfitta francese a Trafalgar, e il segno di quella inferiorità sui mari che zavorrò il volo dell’aquila corsa.
Uscito trionfatore dalla prima Campagna d’Italia, nel 1798, Napoleone era l’astro nascente dell’esercito rivoluzionario: anche per questo il Direttorio assecondò l’audace piano dell’ambizioso generale che prevedeva di conquistare l’Egitto, così da assicurare al Paese l’egemonia sul Mediterraneo e il contrasto degli interessi inglesi verso le Indie. Il progetto, seppure spericolato, per il governo parigino portava in dote due pregi: allontanava temporaneamente dalla scena un protagonista che, per quanto giovane, era già politicamente ingombrante e, allo stesso tempo, assecondava lo spirito di rivincita della borghesia ancora scottata dalla sconfitta subita per mano inglese in India, disfatta che l'aveva estromessa dalla partita commerciale che si giocava a Oriente (vedi articolo su questo blog un duello per l’India). Nel più assoluto riserbo – solo il governo e Napoleone erano a conoscenza del vero obiettivo della spedizione via mare – l’Armée d’Orient salpò da Tolone il 19 maggio 1798. Durante la navigazione l’avrebbero raggiunta altre divisioni imbarcate a Marsiglia, Genova e Civitavecchia. La flotta si riunì in alto mare a est della Sardegna: l’insieme era formato da non meno di 55 navi da guerra, tra le quali 13 vascelli e 6 fregate, che scortavano 280 navi cariche di 54mila uomini, 1200 cavalli e 171 cannoni. Furono aggregati all’impresa anche 167 scienziati e artisti con i quali Bonaparte si riprometteva di creare in seguito l’Institut d’Egypte, dedicato allo studio dell’antica civiltà dei Faraoni.
Le fasi della battaglia.
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FASE 1 – La tenaglia di Nelson. Le flotte si scontrano in prossimità del tramonto il 1° agosto. I francesi sono ancorati nella baia, in acque basse vicino ad una secca profonda meno di 8 metri. Gli inglesi hanno 14 vascelli, di cui 13 da 74 cannoni. I francesi dispongono di 13 navi, una da 120 cannoni, 3 da 80 e 9 da 74, oltre a 4 fregate. Nelson ordina alla sua linea di fila di diversi in due: una divisione passa fra la linea francese e la secca, l’altra si avvicina da ovst così da prendere il nemico tra due fuochi.
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FASE 2 – L’attacco. Il comandante Thomas Foley, sulla Goliath, guida altri quattro vascelli inglesi attraverso le secche, affianca le navi d’avanguardia nemiche (Le Guerrier e le Conquerant) e le cannoneggia fino a distruggerle in soli dieci minuti. Intanto Nelson sulla Vanguard attacca Le Spartiate, terza nave della fila francese. Nello scontro l’ammiraglio inglese viene ferito.
Mappa delle posizioni delle navi e dei loro movimenti durante la battaglia del Nilo. Le navi britanniche sono rosse, le francesi sono blu. Le posizioni intermedie delle navi sono mostrate con un colore più chiaro. Basata su una mappa da Intelligence in War di John Keegan, 2003.
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FASE 3 e FASE 4 – La fine dell’Orient. Si sta facendo buio. Al centro dello schieramento francese la nave ammiraglia Orient si difende con la forza della disperazione. Alle 18,30 il veliero inglese Bellerophon, duramente colpito, deve uscire dalla formazione, destino condiviso dal Majestic. L’Alexander e lo Swiftsure, giunti di rinforzo al Bellerophon, cominciano un fuoco inesorabile sull’Orient. L’ammiraglio Bruyers, già ferito al capo, vuole rimanere sul ponte di comando fino all’ultimo. Alle 20 l’Orient prende fuoco: la pittura fresca alimenta le fiamme che si levano indomabili. I francesi combattono fino all’ultimo, ma alle 22 l’ammiraglia esplode lanciando un’enorme quantità di rottami in tutte le direzioni. La battaglia si protrae fino all’alba ma non cambia di segno: la disfatta dei napoleonici è tale da compromettere l’esito della Campagna d’Egitto, votata al fallimento dopo la distruzione della flotta.
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LA RISPOSTA DEGLI INGLESI. Le spie britanniche dislocate a Tolone intuirono che si stesse preparando un’azione nei Paesi arabi, ma non furono in gradi di riferire a Londra quale fosse il vero obiettivo di Parigi. Così al giovane contrammiraglio Horatio Nelson fu impartito un ordine al buio: intercettare i francesi e danneggiarne la flotta. Entrato nel Mediterraneo, a causa di una violenta tempesta, Nelson dovette rispedire due malconce fregate a Gibilterra, incidente che gli fece perdere tempo e lo costrinse a un’infruttuosa caccia ai francesi. Le informazioni raccolte a Napoli e da alcune navi incrociate sulla rotta lo convinsero che l’obiettivo del nemico fosse l’Egitto ma, a causa della lenta navigazione e della nebbia, gli inglesi per ben due volte passarono vicino alla flotta napoleonica senza accorgersene. In questo modo Bonaparte arrivò indisturbato ad Alessandria il 1° luglio e il giorno successivo era già in marcia con l’esercito diretto al primo scontro con i Mammelucchi. Restava da stabilire dove riparare la squadra navale. Nel piano consegnato al direttorio, Napoleone aveva indicato il porto vecchio di Alessandria, o in alternativa quello di Corfù, ma l’ammiraglio François-Paul Brueys d’Aigalliers, comandante in capo della flotta, decise invece per Abukir, una baia poco profonda e protetta da un promontorio di sabbia dove c’era un forte.
Il 1° agosto 1798 alle 14,45 le vedette sulle coffe delle navi inglesi, al termine del lungo inseguimento, avvistarono finalmente la lunga fila dei navigli francesi: 13 vascelli, 4 fregate e 4 brigantini, una formazione che garantiva a Bruyes una seppur minima superiorità. Nelson, infatti, disponeva di 13 vascelli da 74 cannoni e uno da 50 (Leander) per un totale di 938 cannoni, contro i 1182 francesi. Ma la squadra napoleonica fu colta completamente di sorpresa: l’ammiraglio era impegnato nei preparativi di una cena con l’alto comando e una parte degli equipaggi aveva raggiunto terra con le scialuppe per fare rifornimento d’acqua. Seppure convinto che gli inglesi non avessero intenzione di ingaggiare invece scelse di affrontare l’eventuale scontro con le navi all’ancora. Confidava nell’efficacia subito battaglia, il comando francese tenne comunque un improvvisato consiglio di guerra, durante il quale soltanto la minoranza degli ufficiali ritenne opportuno alzare le vele. Bruyers dello schieramento lungo la costa e nell’appoggio delle bocche da fuoco del forte, ma la formazione non fu eseguita alla perfezione e concesse agli inglesi un vantaggio che si sarebbe rivelato fondamentale. L’avanguardia francese era infatti posizionata troppo distante dal forte, il che rese impossibile a obici e cannoni di colpire da terra le navi inglesi. Inoltre, la fila di Bruyes, per timore delle secche, si era posizionata troppo lontana dalla costa, offrendo al nemico un seppur esiguo canale navigabile, nel quale, con un’azione rischiosa, Nelson fece infilare cinque dei suoi vascelli per cogliere il nemico tra due fuochi.
La Généreux cattura la HMS Leander disalberata in un dipinto di C. H. Seaforth e Charles Hullmandel.
FURIBONDI COLPI DI ARTIGLIERIA. Fu il capitano Thomas Foley sul Goliath a sfidare le secche e aprire la strada sottocosta al seguito dei vascelli inglesi Zealous, Orion, Theseus, Audacious, che presero posto di traverso alla prime navi francesi: le Guerrier, le Conquerant, le Spartiate, l’Aquilond e la Peuple-Souverain. Alle 18.00 il Guerrier esplose il primo colpo di cannone che segnò l’inizio della battaglia. Mezz’ora dopo la linea inglese penetrata oltre le secche cominciò a bombardare la zona prodiera dell’avanguardia nemica, colpita duramente da altri vascelli scivolati lungo la destra della fila francese. Nelson sulla tolda della Vanguard entrò nella battaglia ancorandosi di fronte allo Spartiate, il terzo vascello della linea nemica. Nel furibondo scambio di colpi d’artiglieria gli inglesi inizialmente ebbero la peggio – lo stesso Nelson, colpito alla testa, dovette riparare sottocoperta – e soltanto l’intervento di altri due vascelli di Sua Maestà costrinse, verso le 22, alla resa la Spartiate. Presa tra due fuochi, l’avanguardia francese non ebbe scampo: lo scarso numero di cannonieri risalito a bordo con le scialuppe non permetteva infatti ai rivoluzionari di rispondere al fuoco contemporaneamente da entrambi i lati.
L’Orient, la nave ammiraglia francese al comando dell’ammiraglio Brueys, posta al centro dello schieramento, entrò in battaglia più tardi respingendo, grazie alla superiorità dei suoi cannoni, l’assalto di due velieri inglesi, il Bellerophon e il Majestic, quest’ultimo gravemente danneggiato e obbligato ad allontanarsi dalla mischia. A ribaltare il rapporto di forze intervennero altri vascelli di Nelson che concentrano tutti i loro sforzi contro l’Orient. Spazzata via l’avanguardia e ferocemente attaccato il centro della linea, soltanto l’intervento della retroguardia comandata dal contrammiraglio Pierre Villeneuve avrebbe potuto salvare i francesi, muovendo per tempo i suoi vascelli in modo da mettere a sua volta tra due fuochi la fila inglese. Sembra che un ordine in tal senso fosse stato dato, ma che Villeneuve, tra il fumo e i bagliori dello scontro, non l’avesse inteso. Sprovvisto di spirito d’iniziativa, il contrammiraglio di Napoleone restò per quattro ore semplice spettatore della battaglia e, il giorno dopo, all’approssimarsi delle navi inglesi pronte al combattimento, scelse la fuga per salvare quei pochi vascelli rimasti integri. Sottoposto al tiro incrociato inglese, l’Orient resistette per tre ore. Lo stesso Brueyes ripetutamente ferito morì durante lo scontro. Alle 20.00 a bordo dell’ammiraglia martoriata dalle cannonate nemiche si sviluppò un incendio, alimentato dai contenitori di vernice e diluente lasciati sul ponte dopo la recente tinteggiatura a cui la nave era stata sottoposta. Alle 22.00 le fiamme raggiunsero il deposito delle polveri e l’esplosione che ne seguì squarciò le tenebre in un fragore tale da essere sentito fino ad Alessandria. I vascelli vicini furono investiti dai detriti infiammati della nave e un troncone dell’albero maestro finì direttamente sul ponte della Swiftsure, il cui capitano ne fece dono all’ammiraglio Nelson. Il singolare regalo resterà sempre nella cabina dell’ammiraglio, che vi sarà deposto dopo essere stato ferito a morte durante la battaglia di Trafalgar (vedi articolo la Battaglia di Trafalgar su questo blog).
La penuria di cannonieri napoleonici.
Non fu soltanto lo scarso numero di uomini rientrati precipitosamente a bordo dei vascelli francesi in vista della battaglia a condannare, ad Abukir, i napoleonici alla sconfitta. I cannoni navali del tempo avevano bisogno, a seconda della loro grandezza, di un numero di serventi che andava dagli otto ai quattordici, un contingente di artiglieri troppo numeroso, ragione per cui gli ufficiali non avevano quasi mai la possibilità di attivare contemporaneamente tutte le bocche da fuoco presenti a bordo. In ragione della formazione assunta e della direzione da cui proveniva il nemico, si sceglieva un lato su cui concentrare i serventi, lasciando praticamente disarmata l’altra murata. Dividere i cannonieri infatti avrebbe rallentato troppo il ritmo del fuoco rendendolo poco efficace. Anche per questo motivo, la manovra inglese che prese tra due fuochi le navi poste all’avanguardia della fila francese le condannò alla disfatta, essendo queste in grado di rispondete al fuoco soltanto da un lato.
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UN CIMITERO DI NAVI. L’Orient si inabissò portando con sé morti e feriti – dei mille componenti dell’equipaggio se ne salvarono solo un centinaio – e l’inestimabile tesoro sottratto da Napoleone ai Cavalieri di Malta durante l’assolto all’isola. La luce livida dell’alba del 2 agosto illuminò una baia ridotta a un cimitero del mare, trafficata di cadaveri, alberi spezzati, gomene strappate, scialuppe sfondate; contro il filo dell’orizzonte si stagliavano carcasse di velieri incagliati o alla deriva, privi di vele e alberature, trapassati da centinaia di cannonate. I francesi avevano perso, tra morti e feriti, più di 5mila uomini e dei tredici vascelli alla fonda ad Abukir, nove caddero in mano inglese e altri due, finiti nelle secche, furono bruciati dall’equipaggio. Soltanto Villeneuve poté allontanarsi dalla scena della disfatta con due vascelli e due fregate, senza che gli inglesi avessero la forza di inseguirlo. L’eco della battaglia e della rotta francese tardò ad arrivare alle orecchie europee: la Lander, nave scelta dagli inglesi per portare le notizie in patria, fu catturata nel viaggio dalla Genereux, una delle imbarcazioni francesi superstiti. Ma quando la notizia si diffuse, come una bomba che riaccese tutti i focolai di resistenza anti-francese, indusse l’impero Ottomano a dichiarare guerra a Napoleone e affrettò anche la discesa in campo di Napoli. La sconfitta navale ebbe come conseguenza l’isolamento dell’Armée d’Orient, l’interruzione dei collegamenti tra Napoleone e Parigi e fu causa del fallimento della spedizione in Egitto. La via con le Indie rimase esclusivo appannaggio dell’Inghilterra che ad Abukir si confermò padrona dei mari e, due anni dopo, estese il proprio dominio anche sul Mediterraneo sottraendo proprio ai francesi Malta: l’isola, insieme a Gibilterra, permise alla Royal Navy di decidere chi, da quel momento in poi, avrebbe potuto o meno navigare nell’ex Mare Nostrum.
curiosità: riuscì a ritornare in Francia, piantando in asso il suo esercito, decimato da malattie, guerre continue e la feroce opposizione degli abitanti.
La battaglia stabilì la superiorità della marina inglese nel resto delle guerre rivoluzionarie francesi, e fu un importante contributo alla crescente fama dell'ammiraglio Nelson. Non era mai accaduto che una flotta tanto numerosa fosse totalmente annichilita. Nelson inaugurava così la serie delle sue vittorie schiaccianti, che dovevano cambiare il volto stesso della strategia navale.
La versione di Alberto Guglielmotti[modifica | modifica wikitesto]
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Padre Alberto Guglielmotti, nel suo più faticoso lavoro Storia della Marina Pontificia[4], ci dà un'altra lettura della celebre battaglia del Nilo o di Abukir, come la chiamano i Francesi.
Si è sempre creduto che i partecipanti a quello scontro navale fossero solo la flotta Inglese di Nelson e quella Francese di Bonaparte. In realtà a quella tragica battaglia prese parte anche la flotta pontificia di stanza, come buona parte di quella francese, nel porto di Civitavecchia che assieme allo Stato Pontificio si trovava sotto il dominio Francese.
La flotta pontificia non era formata da galere"ma dalle più modeste ma bene armate mezze galere. Essendo un naviglio agile, adatto al pattugliamento delle coste per evitare invasioni turco/saracene, erano l'ideale per destreggiarsi nelle acque del Nilo.
La flotta papalina con a bordo un equipaggio formato in maggior parte da civitavecchiesi, fu, al pari di quella transalpina, totalmente distrutta e quasi tutti gli uomini perirono. Solo alcuni si salvarono, di questi alcuni vennero uccisi in terra ed altri perirono nel deserto a causa di fame sete, dissenteria o uccisi da arabi.
Dopo diversi anni, solo in pochi tornarono nella natia Civitavecchia ed in condizioni pietose. Di due se ne rammenta il nome: Giannozzi, un marinaio, e Freddi, un pilota, che in seguito divenne console in Sardegna.
Poca cosa, poi, fu il risarcimento che Napoleone intese dare allo stato Pontificio: due brigantini che presero il nome di San Pietro e San Paolo.
La città del Guglielmotti, Civitavecchia, dopo la battaglia subì un crollo economico che durò per molti anni. L'intera economia cittadina, infatti, si basava sulla costante presenza in porto sia della flotta pontificia che di quella francese. Molti commercianti e provveditori marittimi con tutto il loro indotto andarono in rovina.
Articolo in gran parte di Mario Galloni pubblicato su LE GRANDI BATTAGLIE NAVALI, edizione Sprea. Altri testi e immagini da Wikipedia.
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