L’invenzione del vapore.
cosa bolle in pentola?
Dalla fine del Settecento, macchine per la filatura, telai, pompe, gru, battelli e treni erano ormai mossi dal vapore, grazie a un’intuizione di James Watt che diede il via alla Rivoluzione industriale.
francobollo commemorativo di James Watt.
Il motore della civiltà, dalla preistoria fino alla seconda metà del Settecento, era stata la forza umana o animale, con l’eccezione di vento e acqua. Solo dopo le prime sperimentazioni del ‘600, il vapore, ottenuto da caldaie messe sotto pressione, riuscì a muovere macchine metalliche di peso e dimensioni fino ad allora inimmaginabili. E lo fece con una forza tale da investire l’intero pianeta con una rivoluzione: quella industriale. A darle una spinta decisiva fu la geniale intuizione dello scozzese James Watt (1736-1819), l’uomo che trasformò la macchina a vapore nel simbolo per eccellenza della modernità, dando il via a un’epoca di esaltanti conquiste tecnologiche: dall’antenata dell’automobile (a tre ruote) alimentata a vapore realizzata nel 1769 dal francese Cugnot, che poteva trasportare quattro persone alla velocità di 3,5 km/h, si arrivò, negli anni ’90 dell’Ottocento, a locomotive che raggiungevano i 180 km/h.
Primato britannico.
Nel Settecento in Inghilterra si creò un insieme di condizioni favorevoli che permisero un rapido sviluppo economico.
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Istituzioni che favorivano l’iniziativa individuale.
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Un polo finanziario (Londra).
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Inclinazione alla sperimentazione.
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Un’avanzata ricerca scientifica.
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Grandi e medi proprietari terrieri aperti a innovazioni agricole.
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Disponibilità di risorse minerarie.
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Industrie manifatturiere.
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Manodopera a basso costo.
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Un’articolata rete di trasporti.
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Florido commercio marittimo.
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Nascita dell’impero coloniale.
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Macchina a vapore di Watt
PAESE ALL’AVANGUARDIA. Tutto partì dalla Gran Bretagna, e non fu un caso. Dalla fine del XVII secolo, Oltremanica si erano formate le condizioni ideali per il sorgere di un modello economico, basato sull’innovazione tecnologica, completamente diverso da quello che per millenni aveva caratterizzato le società agricole. Grazie alla macchina a vapore di Watt (brevettata nel 1769), usata per l’estrazione del carbone e ovunque occorresse energia, si riuscì a produrre di più in meno tempo permettendo all’Inghilterra di aprirsi alla nuova era industriale. E per agevolare gli spostamenti e il commercio vennero costruite ferrovie e ponti di ferro, realizzati ora in tempi molto più veloci rispetto al passato.
“A fronte di un secolo in cui l’Europa continentale appariva socialmente arretrata ed economicamente depressa, l’Inghilterra aveva grandi vantaggi: acqua e carbone per alimentare le nuove macchine, ferro per costruirle, fiumi per il trasporto delle merci a basso costo e porti in cui far arrivare le materie prime e da cui far partire i prodotti lavorati. A ciò bisognava aggiungere il ruolo assunto a livello internazionale, visto che dalla metà del Settecento la Gran Bretagna divenne la principale potenza navale e coloniale del mondo, soppiantando la concorrenza olandese e francese.”, spiega lo storico Vittorio H. Beonio Brocchieri, autore del saggio “il Setteccento e la Rivoluzione industriale (Rizzoli).
Pressione rivoluzionaria.
il Pistone di Papin
L’acqua che bolle in una pentola ne fa sobbalzare il coperchio che la copre. Questa semplice esperienza quotidiana è alla base della macchina a vapore: energia tecnica che si trasforma in movimento. Le innovazioni di Newcomen e Watt, infatti, non sarebbero state possibili senza il francese Denis Papin (1647-1714), medico con l’hobby della fisica, che brevettò la prima pentola a pressione detta “digestore”.
PENTOLONE MAGICO. Era un contenitore di metallo con valvole di sicurezza, all’interno del quale l’acqua raggiungeva temperature altissime. Papin, con la sua invenzione, nel 1698, ispirò al collega inglese Thomas Savery una pompa a vapore. A quel punto la forza era imbrigliata e la pentola fu trasformata in una macchina che imprimeva un movimento continuo a uno stantuffo.
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OTTIMISMO SFRENATO. L’apice della tecnologia rivoluzionaria arrivò alla fine del XVIII secolo. Magli e presse a vapore spingevano la produzione dell’industria pesante, piroscafi a pale solcavano i mari senza temere più le bonacce, l’industria tessile andava a gonfie vele. L’opinione pubblica del tempo era proiettata verso un ottimismo festoso dove il progresso, esaltato dai filosofi illuministi, era simboleggiato proprio dal vapore. La Rivoluzione industriale, oltre a portare indubbi benefici economici, introdusse importanti cambiamenti sociali, portando alla nascita di una nuova borghesia industriale formata da imprenditori, banchieri e professionisti. E proprio in questo clima di diffuso ottimismo, in cui studio e innovazioni tecnologiche andavano a braccetto, la Scozia fu una delle regioni con il più alto tasso di alfabetizzazione. Qui si formarono personaggi destinati a lasciare un’impronta indelebile: filosofi come David Hume (1711-1776), padre dell’emperismo; economisti come Adam Smith (1723-1790), capostipite del pensiero economico liberale; e scienziati come James Hutton (1726-1797), fondatore della geologia.
SPIRITO PRATICO. Anche James Watt era scozzese, per la precisione di Greenock, cittadina costiera dove nacque il 18 gennaio 1736. Figlio di un facoltoso armatore, fu un bimbo gracile e malaticcio che, nonostante la salute cagionevole, seguì sempre il padre nei cantieri in cui lavorava, dimostrando una precoce passione per gli strumenti di navigazione. Così, tra compassi, bussole e quadranti, a 17 anni decise di fabbricare e riparare apparecchiature scientifiche, imparando il mestiere prima a Glasgow e poi a Londra. Una volta tornato in Scozia, Watt riuscì a trovare impiego come tecnico all’Università di Glasgow, col compito di fabbricare e riparare strumenti di precisione. Fu allora che strinse amicizia con le migliori menti del tempo, tra cui Adam Smith e lo scienziato Joseph Black celebre per i suoi studi sul calore. “Watt incarnava il particolare sistema di formazione sviluppatosi nel Regno Unito tra Sei e Settecento, in grado di mettere in contatto scienziati e tecnici, saldando il sapere teorico dei primi alle competenze pratiche dei secondi” precisa l’esperto.
NON TUTTI I MALI VENGONO PER NUOCERE. La serie di eventi che farà entrare l’inventore nella Storia iniziò da una banale riparazione. Era il 1764 e James Watt si ritrovò davanti la “macchina a vapore di Newcomen”, un congegno elaborato qualche decennio prima, dotato di una pompa a pistone azionata attraverso la pressione del vapore acqueo contenuto in un cilindro. Nel dettaglio, la pressione del vapore spingeva il pistone verso l’alto, e a fine corsa, diminuendo la temperatura dell’acqua, ritornava giù. Molto usato nel campo dell’estrazione mineraria, questo congegno disperdeva troppa energia, perché i continui cicli di riscaldamento e di raffreddamento del vapore costringevano a bruciare una quantità troppo elevata di carbone. Watt provò a ingegnarsi per ovviare a questo spreco e nella primavera 17665, mentre passeggiava in un parco di Glasgow, ebbe l’intuizione che avrebbe risolto il problema: creare un condensatore separato dal cilindro ma collegato a esso, in modo da far funzionare il meccanismo a una temperatura stabile, evitando perdite di calore. Inoltre, l’inserimento di un’apposita valvola avrebbe consentito al pistone di ricevere una pressione costante dentro il cilindro, producendo energia in modo continuo.
Per finanziare le modifiche, Watt entrò in società con l’inventore industriale John Roebuck, ottenendo nel 1769 il brevetto per il suo “nuovo metodo di diminuire il consumo di combustibile e di vapore”. Una data storica, che segnerà l’inizio della prima Rivoluzione industriale. “In realtà, non si trattò dell’invenzione di un solo uomo, ma il risultato di un lungo processo di sviluppo tecnologico e di perfezionamento di macchinari termici simili, che vide protagonisti personaggi come Denis Papin e lo stesso Thomas Newcomen”, precisa Brocchieri.
AFFARI D’ORO. Pochi anni dopo, Watt perdeva sia la moglie, morta nel 1772, sia il socio, fallito nello stesso anno. Ma di fronte alle difficoltà non si diede per vinto e seppe trovare i giusti finanziatori: nel 1774 iniziò un fruttuoso sodalizio con Matthew Boulton, intraprendente uomo d’affari di Birmingham. Instancabile, nei decenni successivi continuò a migliorare la sua macchina, introducendo accorgimenti tra cui il motore a rotazione, l’indicatore di pressione, il sistema a doppio effetto (in grado di aumentare la potenza utilizzando un solo cilindro) e il cosiddetto “parallelogramma di Watt” (per migliorare il moto del pistone). Gli apparecchi prodotti dalla Boulton & Watt andarono a ruba tra imprese agricole, minerarie e navale, alimentando anche telai e macchinari nelle fabbriche di cotone, carta e ferro. “Dalla fine del XVIII secolo la macchina a vapore divenne il principale strumento per fornire energia meccanica in campo tessile”, spiega lo storico.
Matthew Boulton
MONDO NUOVO. Nel 1785, i due soci divennero membri della Royal Society, la più prestigiosa istituzione scientifica britannica. I loro nomi divennero noti in tutta Europa, e oltre a onori e riconoscimenti arrivarono grandi soddisfazioni economiche. Ormai erano ricchi, e nel 1800, dopo quasi trent’anni di partnership, decisero di andare in pensione e lasciare l’attività ai rispettivi figli.
Nonostante i problemi di salute, Watt fece in tempo a viaggiare in Francia e Germania con la sua seconda moglie, sposata nel 1777, prima di spegnersi alla veneranda età di 83 anni, nel 1819. Neò 1882 il suo cognome sarà scelto per indicare l’unità di misura internazionale della potenza. Grazie alla macchina a vapore, nel frattempo, la Rivoluzione industriale aveva preso piede nel resto d’Europa e oltreoceano, aprendo nuovi scenari nella storia umana.
Articolo in gran parte di Massimo Manzo pubblicato su Focus Storia n. 138, altri testi e immagini da Wikipedia.
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