lunedì 8 ottobre 2018

I primi abitanti d’America.

I primi abitanti d’America.
Quando arrivò in America il primo essere umano? Quale cammino seguì per raggiungere l’interno del continente? L’archeologia e il DNA offrono diversi indizi per rispondere a queste domande.

Quando i colonizzatori spagnoli, arrivati in America nel XVI secolo, si resero conto che non erano in Asia (dove pure credeva di essere finito Colombo), ma piuttosto in un nuovo mondo, e si posero molte domande sui suoi abitanti. Chi erano e da dove venivano?
Trovarono la risposta nella Bibbia, cui riconoscevano un valore storico. Per alcuni, come Benito Arias Montano,erano i successori di Noè, il patriarca che secondo il testo sacro aveva salvato l’umanità dal Diluvio. Per altri, come Fra Bartolomé de las Casas, erano invece i discendenti delle tribù smarrite di Israele, di cui si erano perse le tracce dopo l’invasione assira (della stessa opinione fu, due secoli dopo, il grande naturalista Humboldt). Si credette pure che fossero i soppravissuti a un Sappiamo con certezza che gli antenati degli attuali nativi giunsero dall’Asia attraverso un territorio che, dopo il loro passaggio, sarebbe stato ricoperto dalle acque: lo stretto di Bering.

il ponte di Beringia

L'ultima fase di riapertura della Beringia.

Il ponte di terra dello stretto di Bering, anche detto Beringia, era un istmo largo al massimo 1600 km, che ha collegato per vari periodi l'Alaska e la Siberia durante le ere glaciali del Pleistocene.
La Beringia non era ricoperta di ghiaccio grazie ai venti tiepidi provenienti dall'Oceano Pacifico che ne mitigavano la temperatura. Il Mare dei Ciukci, lo Stretto di Bering e la parte settentrionale del Mare di Bering sono tutte zone poco profonde che durante le ere glaciali uscirono allo scoperto.






La grande migrazione dall’Asia.

35.000 anni fa circa.
In Asia si separano i popoli orientali del continente dagli antenati dei primi americani, i quali si dirigeranno verso oriente attraverso il ponte di Beringia.
24.000 anni fa circa.
Il ghiaccio ricopre l’America del nord. Tra questa data e 18.000 anni fa circa la de glaciazione
14.000 anni fa circa.
Si crea un corridoi tra i ghiacciai dell’America del nord. Tuttavia questa regione non diventa abitabile per le persone sino a circa 12.600 anni fa.
11.880 anni fa circa.
Gli esseri umani hanno già raggiunto l’estremità sud dell’America: in quel periodo il sito di Tres Arroyos (Cile), nella Terra del Fuoco, risulta abitato.

UN MONDO DI GHIACCIO. I primi popoli americani giunsero nel continente durante la  l’ultima che colpì il nostro pianeta, iniziata circa 111mila anni fa, e conclusasi 10mila anni fa. In quel periodo, infatti, calarono le temperature ed enormi masse di acqua si ghiacciarono, abbassando così il livello del mare. In ben due occasioni d’America e Asia rimasero unite da una lingua di terra emersa: il ponte di Beringia. Oggi lo stretto di Bering è profondo 50 metri, ma allora il livello degli oceani scese di ben 120 metri e lasciò allo scoperto una vasta regione di migliaia di chilometri quadrati.

La glaciazione Würm in realtà rappresenta l'effetto prodotto dall'ultima glaciazione su una zona specifica come le Alpi o la Sierra Nevada, ma per convenzione essa viene estesa anche a livello globale come l'equivalente di ultimo periodo glaciale, il più recente periodo glacialecompreso nell'attuale era glaciale, avvenuto nel Pleistocene, incominciato circa 110.000 anni fa e terminato all'incirca tra il 9.600 e il 9.700 a.C

Il clima e gli esseri umani.
ROTTE VERSO UN NUOVO MONDO.
Recenti ritrovamenti stanno ridefinendo le nostre conoscenze su quando e come gli esseri umani migrarono per la prima volta in America.
Nel 2014 i progressi dell’analisi del DNA hanno permesso di sequenziale un genoma paleo americano completo nel sito di Anzick (Montana occidentale, Stati Uniti); giunge così la conferma che gli antenati degli odierni nativi americani provengono dall’Asia.
35.000 anni fa circa
ANTENATI ASIATICI.
In questo periodo alcuni popoli provenienti dall’Eurasia e dall’Asia orientale abitano la parte occidentale della Beringia.
25.000-15.000 anni fa.
PARENTESI BERINGIANA.
Una popolazione il cui DNA possiede due terzi di quello asiatico orientale e un terzo di quello euroasiatico rimane isolata nella Beringa. Le mutazioni genetiche producono marcatori di DNA nuovi e unici, corrispondenti a quelli degli attuali nativi dell’America del nord e del sud, ma non a quelli delle genti asiatiche.
16.00 anni fa
ROTTA COSTIERA.
La de glaciazione della costa nordoccidentale del Pacifico apre una rotta migratoria verso l’America. Le prove genetiche suggeriscono che meno di cinquemila individui si disperdono verso il sud.
15.000 anni fa.
RAPIDA ESPANSIONE.
I resti trovati in siti come MonteVerde, in Cile, portano a credere che gli esseri umani migrarono lungo la costa e raggiunsero l’estremità meridionale dell’America del sud in qualche centinaio d’anni.
14.000-13.000 anni fa.
ROTTA TERRESTE.
Circa duemila anni dopo la rotta costiera, si apre un passaggio interno privo di ghiaccio, che faciliterà future migrazioni attraverso il continente.
13.000 anni fa.
MIGRAZIONE INVERSA.
I ritrovamenti archeologici fanno ipotizzare una prevalenza del flusso inverso, verso nord, lungo il corridoio, forse perché quei popoli seguivano animali di taglia più grande. Circa 10mila anni fa, la foresta boreale cominciò a coprire il corridoio, rendendolo meno allettanti per i grandi erbivori.
13.000 anni fa.
CULTURA DI CLOVIS.
I cacciatori sviluppano punte di giavellotto in pietra con scanalature che si diffondono in tutta l’America settentrionale. Per gli archeologi queste “punte di Clovis” diventeranno la prova irrefutabile di un precoce popolamento umano in America. La scoperta delle grotte di Paisley, Monte Verde e del sito di Friedkin, tra gli altri, ha fatto retrodatare la prima migrazione di circa 2.500 anni.

I PRIMI ABITANTI D’AMERICA. Tuttavia non tutta la regione era coperta da un manto di ghiaccio. Tra 25mila e 12mila anni fa alcune zone del ponte di Beringia avevano un aspetto simile all’attuale tundra asiatica: un paesaggio secco e freddo, in cui, però, potevano vivere gli esseri umani e brucavano grandi mammiferi adattatisi all’ambiente, tra cui il mammut e il bisonte antico. Le stesse temperature che provocarono l’abbassamento del livello del mare e aprirono il transito di Asia e America complicarono non poco la vita degli uomini dell’America del nord. Infatti, queste causarono la formazione di due calotte di ghiaccio, il Luarentide e il ghiacciaio della Cordigliera, che coprirono gran parte del territorio impedendo così il passaggio verso l’interno. Ma all’incirca 14.000 anni fa, tra le due calotte emerse un lembo di terra: il corridoio dell’Alberta, che consentì agli esseri umani di circolare.
Questa lingua di terra priva di ghiacci è un elemento chiave per chi crede che il popolamento dell’America venne allora, e non prima. Il corridoio permetteva infatti di raggiungere il centro e il sud degli attuali Stati Uniti, dove si trovano i siti archeologici che avvalorerebbero tale teoria, e dove sono state ritrovate delle caratteristiche punte litiche conosciute come punte di Clovis. Da lì il nome di tale teoria del popolamento tardivo in America: Clovis-first o teoria dei primi Clovis. Tuttavia recenti indagini, guidati dal genetista Eske Willerslev e pubblicate sulla rivista Nature nel 2016, hanno sollevato molti dubbi su questa interpretazione: il corridoio dell’Alberta sarebbe stato abitabile solo 12.600 anni fa, quando vi comparvero le prime piante di cui si sarebbero cibati gli animali cacciati dagli uomini. Poiché tale data è posteriore alle numerose tracce umane presenti in nord America, i primi abitanti del continente non potevano venire dall’interno, ma lungo un altro percorso.

Mappa dell'America che mostra i siti prima della cultura di Clovis.
Clovis, i  cacciatori di mastodonti.
La caratteristica punta di Clovis
Nel 1929 a Blackwater Draw, vicino alla città di Clovis (Nuovo Messico)
 vennero alla luce dei manufatti di pietra che avrebbero dato il nome ai primi gruppi americani. Diversi tratti definiscono quella che alcuni autori chiamano cultura di Clovis, come le punte di Clovis, di grandi dimensioni, intagliate da entrambi i lati e con una scanalatura centrale che doveva facilitare l’attacco all’asta di un’arma simile al giavellotto. Caratteristici di Clovis sono pure l’impiego di ocra rossa, legato tra gli altri usi, al trattamento delle pelli di animale; la fabbricazione di utensili in avorio, come gli aghi, e un’economia specializzata nella caccia di grandi mammiferi: mastodonte, mammut, bisonte antico, caccia che favorì la loro estinzione. La maggior parte dei siti della cultura Clovis si trova in Stati Uniti e Canada.
La megafauna americana – la fine dei giganti.
L’arrivo dei gruppi di cacciatori-raccoglitori in America è strettamente legato alla cattura dei grandi mammiferi e coincide con l’estinzione della megafauna in tutto il pianeta, alla fine delle glaciazioni. In America scomparvero animali come il gliptonte, il bradipo gigante o il mammut. Si estinsero tutte le specie il cui peso superava i mille chili. Alcuni autori legano tale scomparsa ai cambiamenti climatici, mentre altri la imputano all’arrivo dell’uomo, con le sue strategie e le sue tecniche di caccia. I recenti lavori di Bernardo Araujo, che ha studiato su scala mondiale la cronologia dell’estinzione della megafauna, dimostrano che vi incisero sia il clima che la caccia. E anche se il cambiamento climatico ebbe un ruolo importante, la caccia fu la condizione necessaria per l’estinzione.

Mammut colombiano. Con un’altezza di 4 m. fino al garrese e 10 t di peso per gli esemplari più grandi, scomparve circa 10mila anni fa.


Mastodonte. Cacciato in tutta America, quest’erbivoro poteva misurare circa 5 m di lunghezza e 3 m di altezza fino al garrese. I maschi più grandi potevano pesare fino 7 t. scomparve circa 11.700 anni fa.


Toxodon. Questo mammifero visse in sud America e scomparve 11.700 anni fa. Misurava all’incirca 2,75 m di lunghezza e 1,5 m di larghezza


L’AUTOSTRADA DELLE ALGHE. Anche la costa nordamericana del Pacifico subì l’effetto dei ghiacciai, ma in due periodi – tra 24mila e 18mila anni e, successivamente 14mila anni fa – l’abbassamento del livello del mare e il ritirarsi dei ghiacci lasciarono allo scoperto una lunga frangia costiera dal ponte di Beringia lungo la quale potevano muoversi i cacciatore-raccoglitori provenienti dall’Asia.
I gruppi che si avventuravano in quel passaggio costiero potevano disporre di abbondanti risorse mhigway hypothesis ovvero ipotesi dell’autostrada di laminarie: i primi americani avrebbero raggiunto il continente lungo la costa del Pacifico, lontano dai ghiacciai, dove foreste di alghe laminate (kelp), con la loro grande biodiversità, offrivano cibo abbondante ai gruppi dotati dei mezzi necessari per navigare o pescare. L’esistenza di questa rotta costiera  conferma l’ipotesi di un popolamento precoce dell’America: il cosiddetto pre-Clovis, che spiegherebbe l’esistenza in America del Sud, di siti antichi come quello di Clovis o perfino anteriori. L’arrivo dei primi abitanti sarebbe allora avvenuto molto prima di quanto lascino credere i siti di Clovis; forse persino 40mila anni prima. Tuttavia l’innalzamento del livello del mare dopo la fine della glaciazione ha sommerso la maggior parte delle “autostrade”, cosicché i siti più antichi che potrebbero corroborare tale ipotesi oggi sono inaccessibili e buona parte di questi è scomparsa- le datazioni ricavate nei siti dell’attuale costa della California si situano attorno a 12mila anni fa.

Monte Verde: raccoglitori e cacciatori.
Monte Verde 24.JPG
Sito archeologico di Monte Verde
EpocaXIII millennio a.C. circa
I siti di Monte Verde, vicino alla città costiera di Puerto Montt, in Cile, sono una delle evidenze più valide e interessanti del popolamento precoce del Sud America. Gli archeologi che scavano in questo luogo, sotto la guida di Tom Dillehay, hanno ipotizzato sulla rivista Plos One che l’occupazione umana del sito si possa datare tra 18.500 a 14.500 anni fa.
Come in altri siti americani, a Monte Verde si praticava la caccia a grandi mammiferi oggi estinti, come il gonfoterio, imparentato con il nostro elefante. Il ruscello Chinchiuapi inondò la zona e la coprì di sedimenti, favorendo così la conservazione di materiale tra cui piante medicinali e alghe marine, pelli e carni di animali. I ritrovamenti includono elementi di abitazioni in pelle, corde in fibre vegetali e pietre arrotondate, che potevano essere utilizzate con le fionde o le boleadoras.

DATE SUCCESSIVE. Per molto tempo la maggior parte dei ricercatori ha concordato su un popolamento tardivo dell’America, situato perfino attorno a 12mila-11.500 anni fa (lo dimostrerebbero i siti come Blackwater Draw, nel Nuovo Messico, risalente a circa 12mila anni fa). Invece, oggi sono molti i siti archeologici che, in tutto il continente americano, confermano la possibilità di un popolamento anteriore, precedente a Clovis. Tra questi risultano, per esempio, Meadowcroft Rockshelter, negli Stati Uniti (16mila anni fa); Arroyo Seco (14mila anni fa) e Piedra Museo (12.890 anni fa) in Cile. Sono state proposte anche datazioni prossime a 50mila anni fa a Pedra Furada (Brasile), anche se tali dati non sono stati accettati da tutta la comunità scientifica.

Gli ultimi dati: la bambina dell’alba.

Il 3 gennaio 2018 la rivista Nature ha pubblicato un articolo di diversi autori sul genoma di una bambina che visse all’incirca 11.500 anni fa a Upward Sun River, in Alaska. I resti della neonata che morì quando aveva tra le sei e le dodici settimane e che è stata chiamata “la bambina dell’alba”, suggeriscono che circa 35mila anni fa un gruppo di antenati dei primi americani si separò dalle popolazioni originarie dell’Asia. Questi popoli si spostarono verso l’America, e forse all’altezza del ponte di Beringia circa 20mila anni fa i discendenti del gruppo si divisero in altri due: uno, quello di antichi beringiani, cui appartiene la “Bambina dell’alba”, e un altro, quello dei predecessori dei nativi americani.

SONO FORSE VENUTI DALL’OCEANIA? Le più antiche datazioni dei siti sudamericani, come quelli appena menzionati, sono alla base dell’ipotesi su un popolamento dell’America del Sud a partire dalle isole della Polinesia. Ciononostante, i dati forniti dai genetisti si dirigono verso altre ipotesi. I lavori più solidi, accettati dalla comunità scientifica e basati sull’analisi del DNA mitocondriale (che si tramanda di madre in figlio o figlia) e sul cromosoma Y (di padre in figlio), confermano un’origine asiatica dei primi americani. Alcuni popoli americani condividono gli aplotipi (particolari combinazioni lineari di alleli in una determinata regione cromosomica) con gli asiatici, e in particolare con quelli della zona meridionale dell’odierna Cina e del nord del Vietnam; aplotipi simili non si riscontrano però nella parte meridionale di questa regione, dove si trovano le isole della Polinesia. Inoltre gli studi sui polimorfismi proteici hanno permesso all’antropologo Sergio Ivàn Pérez di tracciare una albero che mostra indubbie relazione genetiche tra le popolazioni americane e quelle del nord-ovest e della zona artica dell’Asia.
Sappiamo, perciò, da dove sono venuti i primi americani, ma dobbiamo ancora rispondere a un’altra domanda: quando sono arrivati? Se le genti di Tres Arrpyos vissero all’incirca 12mila anni fa nella Terra del Fuoco cilena, all’estremità meridionale del continente, a più di 15mila chilometri dallo stretto di Bering, quando giunsero in America i loro antenati?



Articolo in gran parte di Ivan Bris Godino università nazionale della Terra del Fuoco, pubblicato su National Geographic del mese di agosto 2018. Altri testi e immagini da wikipedia

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