Gli scudi dei legionari.
La storia millenaria dell’arma difensiva più importante delle fanterie romane: testimone del modo di combattere nelle varie epoche e della necessità di affrontare il nemico nella maniera più efficace e protetta possibile.
Secondo la tradizione, gli scudi più antichi usati dai guerrieri romani, erano i cosiddetti ancili, scudi bilobati costituiti dall’unione di due lobi circolari di vimini. L’ancile era poi irrigidito con una serie di rinforzi interni ed era ricoperto con strati di pelle bovina. Di notevoli dimensioni veniva trasportato a spalla con una cinghia. Leggenda vuole che Numa Pompilio, il secondo re di Roma, ne fece costruire undici fatti nello stesso modo per evitare che l’originale potesse smarrito o rubato. Affidò poi la loro custodia ai sacerdoti Salii, consacrati a Marte. Questi scudi, veri e propri oggetti sacri, venivano portato in processione durante le cerimonie religiose. È difficile pensare che siano mai stati usati in guerra; con ogni probabilità erano esclusivamente rituali e rievocavano leggende e racconti mitici. I resti più antichi di un vero scudo romano sono invece quelli rinvenuti in una tomba dell’Esquilino (VIII sec. a.C.). Questi resti facevano parte di una sottile lamina circolare di bronzo (del diametro di circa 60 cm.) finemente lavorata a sbalzo. La funzione di uno scudo così sottile era ornamentale e cerimoniale, ma il suo aspetto riproduce quasi certamente forma e dimensioni di un tipico scudo dell’epoca, in legno e molto più robusto. La forma circolare degli scudi sembrerebbe confermata anche dalle rappresentazioni simboliche etrusche che si ritrovano sui coperchi dei pozzetti funerari.
L'ara di Domizio Enobarbo del 113 a.C. con la rappresentazione del lustrum censorio. Numerosi legionari romani accompagnano la funzione ed indossano tipici elmi etrusco-corinzi e di Montefortino, loriche hamate e scutum ovali.
IL PERIODO OPLITICO. Attorno al VII secolo a.C. comparve per la prima volta in Italia l’hoplon, chiamato cliepus da Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.), importato dalle colonie della Magna Grecia e usato dai guerrieri etruschi. Questo grande scudo circolare era l’armamento più importante e caratteristico dell’oplita, termine che in lingua greca indicava il fante pesantemente armato. Era ricoperto di pelle o, in alcuni casi, da una sottile lamina di bronzo lucidato, che serviva sia a rinforzare l’arma, sia ad intimidire il nemico con i suoi riflessi. Sulla superficie esterna veniva spesso dipinta una figura o un segno distintivo (l’episéma) che, almeno nei tempi antichi, seviva a identificare il combattente che lo imbracciava.
All’intero lo scudo aveva un supporto metallico centrale o una cinghia di cuoio, in cui veniva infilato l’avambraccio sinistro. Vicina al bordo c’era poi un’impugnatura per la mano sinistra. Solo in questo modo, venendo imbracciato a sinistra per consentire l’uso della lancia con la mano destra, era possibile sostenere il suo peso, che poteva superare gli 8 kg. Una corda, fatta passare attraverso una serie di anelli, consentiva il trasporto a spalla durante le marce. Essendo concavo, il bordo superiore interno poteva essere appoggiato sulla spalla sinistra, per alleviarne il peso nei momenti di pausa. La sua forma rotonda permetteva inoltre di assicurare la protezione dell’uomo sul fianco sinistro, per mantenere la compattezza della fila. Lo schieramento in battaglia era generalmente la falange, e questo faceva si che il combattente, istintivamente, cercasse la protezione del fianco destro riparandosi dietro lo scudo del vicino, generando così un effetto complessivo di spostamento verso destra di tutta la linea di battaglia. Per questo i migliori combattenti (e i più arditi) venivano posizionati sulla destra dello schieramento, per assicurarne la maggiore stabilità-.
Le decorazioni.
Non possediamo molte informazioni sui colori e le decorazioni che comparivano sugli scudi, ma sembra certo che esistesse una discreta libertà di personalizzazione: quando Scipione l’Africano notò lo scudo di un soldato ornato con troppa eleganza, si disse meravigliato del fatto che vi riponesse più fiducia che nella spade. Pare inoltre evidente che, almeno a partire dal III secolo a.C., ci fosse un minimo grado di uniformità. Se il punico Asdrubale, nell’imminenza della battaglia del Metauro, notò tra i Romani scudi diversi rispetto a quelli visti fino a quel momento.
In ogni caso, lo scudo costituiva un importante mezzo di identificazione del combattente (forse l’unico) e secondo Vegezio (IV-V secolo d.C.)”affinché i soldati nel tumulto della battaglia non si allontanassero dai commilitoni, sugli scudi dipingevano simboli diversi per ogni coorte, detti digmata. Invece, nella parte interna, veniva scritto il nome di ogni soldato e quello della coorte o centuria a cui apparteneva”.
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Lo scudo rappresentato in questo fregio (dell'epoca di Marco Aurelio), ora sull'arco di Costantino, apparterrebbe ad una delle due legioni Adiutrix di classiarii: legio I Adiutrix e legio II Adiutrix. Sullo sfondo (in alto a destra) l'elmo di un pretoriano.
IL PERIODO REPUBBLICANO. A partire dal IV secolo a.C., in concomitanza con le prime guerre sannitiche e con quelle contro i latini per l’egemonia del Lazio, i Romani abbandonarono lo schieramento a falange, considerato troppo difensivo, e adottarono lo scutum, che il greco Polibio (206-126 a.C.) chiama thyreos, cioè “a forma di porta”.
Il passaggio dallo scudo rotondo a quello rettangolare indica la necessità di una maggior protezione individuale, chiamato a cercare un contatto più ravvicinato e aggressivo con il nemico. Era iniziata la formidabile espansione di Roma nel mondo mediterraneo, e i guerrieri avevano bisogno di armamenti più pesanti e aggressivi. Lo scutum era diffuso già da tempo presso molti popoli italici e Plutarco ne attribuisce l’introduzione ai Sabini. Alto quattro piedi (118 cm) e largo una settantina di centimetri, era costituito da due o tre stati incrociati di tavole in legno tenute insieme da colla animale, ed era ricoperto esternamente da una pelle di vitello. La sua architettura viene confermata indirettamente anche da Varrone (116-27 d.C.), che attribuisce l’origine della parola scutum al termine secutum, “spezzettato”, cioè formato dall’unione di piccoli pezzi di legno. Secondo Plinio (23-79 d.C.) il legno ideale per gli scudi doveva bloccare il propagarsi delle eventuali fratture provocate dai colpi delle armi nemiche, e tra quelli più indicati c’erano la vite, il salice, il tiglio, la betulla, il sambuco e il pioppo.
Sopra e sotto veniva agganciata una bordatura metallica di rinforzo, mentre una lunga spina di legno inchiodata longitudinalmente aumentava la rigidità e la resistenza dello scudo. Sul rilievo centrale della spina veniva spesso applicata una protezione di ferro, l’umbone, per riparare la mano dai colpi più violenti. Lo scudo era sostenuto da una maniglia orizzontale situata dietro l’umbone. Lo spessore dello scudo era maggiore in corrispondenza dell’umbone stesso, assottigliandosi in prossimità dei bordi. Questo scudo, benché molto resistente, doveva essere piuttosto pesante: le moderne ricostruzioni parlano di ben 10 kg.
Formazione a testuggine rappresentata sulla Colonna Traiana (particolare)
La protezione.
Era fondamentale che lo scudo venisse protetto dall’umidità e dalla pioggia: in caso contrario sarebbe diventato troppo pesante e di difficile impiego. Come ricorda Cesare, veniva tenuto abitualmente in una custodia di cuoio (tegimen) ed estratto solo al momento dell’uso. Sul tegimen veniva spesso applicata un’etichetta di cuoio a forma di tabula ansata (un rettangolo con code di rondine sui lati minori), che riportava la sigla o le iniziali della legione. Secondo Polibio, durante la marcia gli scudi venivano appesi alla spalla con cinghie di cuoio, secondo modalità che possiamo solamente supporre.
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scutum romano
IL PERIODO ALTOIMPERIALE. La descrizione di Polibio consente di ricostruire con una certa precisione il tipico scudo legionario del periodo repubblicano, mentre non esistono documentazioni simili sull’aspetto dello scudo del periodo alto imperiale. I ritrovamenti archeologici sono rari e le informazioni disponibili integrate con lo studio delle immagini. A partire dalla seconda metà del 1 secolo a.C. lo scudo sembra subire un’evoluzione verso la forma “a tegola”, con gli spigoli più o meno arrotondati fino ad assumere l’aspetto raffigurato sulla Colonna Traiana. Un esemplare del III secolo, rinvenuto a Dura-Europos (in Siria), ci restituisce l’idea della sua struttura. Anche se si stratta di uno scudo decorato, probabilmente ornamentale o da parata, non doveva essere troppo differente da quelli usati in battaglia. È alto 106 cm. e largo 66. È formato da un triplo strato incrociato di listelli di legno di platano, larghi da 3 a 8 cm e spessi 2 mm, incollati fino a formare uno spessore massimo di 6 mm. All’interno ha una struttura di rinforzo, sempre in legno, e le superfici sono protette, dentro e fuori, da uno strato di pelle decorata a vernice.
La configurazione a tegola garantiva al legionario una maggiore protezione all’interno di una formazione serrata, votata alla difesa e adatta ad affrontare l’urto dei nemici dell’epoca, i temibili popoli germanici, consentendo inoltre la formazione efficace della testudo. L’accentuazione della curvatura, assieme all’inserimento di rinforzi metallici, aumentava la rigidità della struttura, rendendo superflua la spina di legno longitudinale. A partire dalla metà del II secolo, lo scudo legionario sembra tuttavia tornare a una forma ovale o arrotondata, alla ricerca di una maggiore. Era anche diminuita la necessità di affrontare scontri in schieramento serrato, visto l’impiego della cavalleria da parte dei sempre più agguerriti eserciti nemici.
I reperti archeologici fanno però immaginare una varietà di scudi più ampia di quanto suggerisca l’esame dell’iconografia più nota, come per esempio la Colonna Traiana, sulla quale, per distinguere le figure, si attribuisce ai legionari lo scudo rettangolare e agli ausiliari quello ovale. È possibile che soltanto alcuni reparti o legioni fossero dotati di scudi rettangolari, e che la maggior parte delle unità operative utilizzasse scudi di forma diversa, soprattutto ovale, come sembra indicare la colonna di Marco Aurelio. Ma non mancano nemmeno immagini e resti di scudi esagonali e circolari, utilizzati sia dalla fanteria che dalla cavalleria, mentre quelli usati dalla fanteria ausiliaria sembrano essere quasi sempre piatti e ovali.
Parole di Roma-
La testudo (testuggine) non era una formazione esclusivamente romana, ma era ben conosciuta anche dai Galli. A dispetto delle ricostruzioni cinematografiche, la testuggine poteva essere impiegata con successo solo in due circostanze: durante un assedio, per far avvicinare senza danni un gruppo di attaccanti alle mura nemiche, costituendo poi una rampa inclinata fatta di scudi, su cui gli assedianti potessero salire per raggiungere le sommità delle mura, oppure quando ci si doveva difendere dal lancio di grandi quantità di frecce, giavellotti o proiettili di piombo, ma solo per un periodo di tempo limitato. In nessun caso era opportuno ricorrervi per un attacco, a causa della sia lentezza e macchinosità. La formazione, per essere efficace, richiedeva grande coordinazione dei movimenti, acquisita con un addestramento specifico. Gli uomini della prima fila tenevano gli scudi protesi in avanti, con il bordo inferiore il più possibile vicino a terra; quelli delle file successive alzavano i loro sulla test, avendo cura di proteggere anche i commilitoni che avevano davanti. I fianchi della testuggine erano difesi da altri uomini che, interponendosi tra le file tenevano lo scudo proteso verso l’esterno della formazione.
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GLI SCUDI DEL TARDO IMPERO. Dal III secolo in poi la forma più diffusa è quella ovale. La necessità di spostare rapidamente gli eserciti lungo i confini dell’impero per tamponare le continue invasioni aveva indotto a ridurre il peso degli equipaggiamenti e a semplificarli, mentre il crescente uso di fanterie armate di scudo piatto e lancia, tipico degli eserciti barbarici, aveva costretto i Romani ad adeguare il loro armamento per affrontarli ad armi pari. L’altezza di questi scudi, costituiti da tavole di legno incollate e rinforzate da listelli metallici orizzontali, è compresa tra i 100 e i 118 cm; la larghezza si mantiene attorno ai 95 cm. mentre lo spessore varia dagli 8 ai 12 mm. Le superfici venivano rivestite esternamente di cuoio e internamente di lino, mentre il brodo era protetto da cuoio grezzo. Non mancavano poi gli scudi circolari, in dotazione sia alla fanteria che alla cavalleria, come si vede sugli archi di Galerio e di Costantino.
Lo scudo era generalmente piatto, o con una leggera curvatura, mentre la protezione della mano era affidata a un umbone circolare di ferro o di bronzo di diametro variabile, compreso tra i 18 e i 22 cm. Nel VI secolo si diffusero umboni dotati di punta o a profilo conico, di chiara provenienza germanica. Gli scudi tardo imperiali erano decorati in modo tale da indicarne l’unità e il reparto di chi li imbracciava. Le decorazioni di alcuni reparti dell’epoca sono riprodotte nei manoscritti della Notizia Dignitatum, un documento di epoca medievale la cui attendibilità è dubbia.
Articolo in gran parte di Giuseppe Cascarino pubblicato su Civiltà Romana n. 1 Sprea editori. Altri testi e immagini da Wikipedia.
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