I quipu, codice segreto degli Inca.
Nel Perù precolombiano i governatori usavano un sistema di nodi e cordicelle per conservare e trasmettere informazioni.
L’impero Inca non aveva nulla da invidiare ai regni europei. Chiamato tahuantin-suya, parola che in quechua significa le quattro parti del mondo, l’enorme impero fondato nel XV secolo si estendeva su una vasta aerea che comprendeva le zone oggi corrispondenti a Colombia meridionale, Ecuador, Perù e buona parte del Cile, oltre alla Bolivia occidentale e al nord-est dell’Argentina, con una superficie totale di circa due milioni di chilometri quadrati. Lo stato controllava la produzione agricola e manifatturiera, basata su quote di lavoro obbligatorie, e tutto era perfettamente gestito da un complesso corpo di funzionari organizzati in gerarchie. Eppure agli inca mancava uno strumento che è sempre stato considerato indispensabile per il funzionamento di un impero: la scrittura. Perché non svilupparono mai tale arte? Perché avevano a disposizione un oggetto che non la rese necessaria, ovvero un sistema di conservazione delle informazioni unico e di grande precisione detto quipu.
UN IMPERO SENZA SCRITTURA. Il quipu, dal quechua khipum, che significa nodo, era un artefatto tessile composto da nodi e cordicelle. Nonostante la sua semplicità era alla base di un complesso sistema attraverso il quale i quipucamayoc, o esperti di quipu, tenevano traccia di tutto ciò che era importante per l’impero. I cronisti spagnoli del XVI secolo rimasero impressionati dalla quantità di informazioni che questi fili potevano contenere. Per esempio, l’antropologo e naturalista gesuita José de Acosta li descriveva così: “I quipu sono memorie o registri formati da corde in cui a nodi e colori diversi corrispondono informazioni diverse. È incredibile quello che si ottiene con questo metodo, perché tutto ciò che un libro può trasmettere in fatto di storie, leggi, cerimonie e contabilità viene comunicato con i quipu in maniera così precisa da suscitare meraviglia”. L’esploratore Pedro Samiento de Gamboa, invece scriveva: “è ammirevole vedere quanti dettagli trasmettevano queste cordicelle”. Più tardi il frate Martin de Murda affermava che gli inca ricordavano le informazioni registrate “come fossero successe in quell’istante, anche a distanza di molti giorni”.
Per creare un quipu era sufficiente una corda disposta in orizzontale (corda principale) a cui si legavano cordicelle di spessore minore che pendevano in verticale (corde secondarie) e alle quali, a loro volta, si potevano unire altri cordini (corde sussidiarie). Per inserire un’informazione si facevano dei nodi sulle corde secondarie e sussidiarie, ovvero tutte quelle che pendevano dalla principale. La lunghezza delle cordicelle era variabile ma quella della corda principale era sempre maggiore dello spazio occupato dalle secondarie. In questo modo uno dei capi della corda principale rimaneva sempre libero ed era utilizzato per arrotolare il quipu e riporlo quando non serviva. Una volta arrotolato si poteva aggiungere un elemento distintivo, come una piuma colorata, per facilitarne l’identificazione tra gli altri simili con cui era conservato. Le materie prime maggiormente utilizzate per la creazione dei quipu erano il cotone e la lana dei camelidi (in particolare l’alpaca) ma in alcuni casi si ricorreva ad altri materiali, come fibre vegetali o capelli umani. Alcuni cronisti riferirono di quipu in oro, ma tra i più di ottocento esemplari conservati non ce n’è nessuno con questo metallo (probabilmente saranno stati fusi e trasformati in lingotti).
Le cordicelle potevano avere colori diversi in uno stesso quipu, e persino in una stessa corda. A seconda dei colori e del modo in cui venivano intrecciati i fili, il risultato assumeva un aspetto diverso (monocromo o policromo). Alcune cordicelle cambiavano persino colore a metà lunghezza. Anche i nodi avevano forme diverse: potevano essere semplici o complessi; osservandoli da vicino si nota che venivano intrecciati intenzionalmente verso destra o verso sinistra. Sappiamo che i quipu erano versatili e consentivano di modificare le informazioni: era sufficiente sciogliere i nodi e ricomporli in modo diverso. Oggi sappiamo che il modo in cui venivano disposti i fili, il loro colore, la distanza tra le cordicelle, la disposizione e la quantità dei nodi, così come la loro forma e direzione, erano le variabili che consentivano di trasmettere determinati dati.
Nelle reti del fisco inca.
I Conquistatori spagnoli hanno lasciato diverse testimonianze sull’uso dei quipu da parte degli inca. Tra i cronisti troviamo Pedro Cieza de Léon, che per anni percorse i territori dell’impero. Nella sua Cronaca del Perù del 1550 parla ampiamente di questi strumenti che, a suo dire, avevano una funzione statistica e storica. Racconta che i quipu statistici erano utilizzati dai funzionari di ogni provincia per tenere il conto di quanto fosse stato speso, delle tasse incassate e delle scorte immagazzinate. Questi funzionari avevano l’obblico di annotare tramite i nodi tutte le tasse dovute. Cieza sostiene che con questo sistema “Non si poteva nascondere neanche un paio di sandali”.
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INFORMAZIONI ESAUTIVE. Nei quipu nessun dettaglio era lasciato al caso, perché veicolava un’informazione. Si trattava di n sistema complesso che consentiva di conservare facilmente dati di ogni tipo: amministrativi (censimento popolazione, controllo imposte), temporali, genealogici, storici, religiosi … Nel XVI secolo il poeta Diego de Avalos riferì che passeggiando in una zona delle Ande insieme a un governatore scorse un indigeno che nascondeva un quipu. Quando gli chiedeva cosa contenesse, l’uomo rispose che era il racconto di quanto era successo in quelle terre dal crollo dell’impero inca. E quando il regno sarebbe rifiorito, lui avrebbe avuto il compito di riferire ai suoi signori “di tutti gli spagnoli che erano passati su quel sentiero reale, di tutto quello che avevano chiesto e comprato, di tutto quello che avevano fatto nel bene e nel male”.
DECODIFICAZIONE PARZIALE. Molti ricercatori hanno cercato di decifrare il codice per comprendere i quipu. Tra gli anni settanta e ottanta i professori universitari Marcia e Robert Ascher hanno analizzato attentamente un reticolo formato da 206 quipu al fine di comprendere il significato delle variazioni nella forma e nella disposizione dei nodi, del colore, nella lunghezza e negli intrecci tra le corde. I due si sino accorti che esistevano dei quipu numerici in cui i nodi erano organizzati secondo un sistema decimale che permetteva di identificare unità, decine, centinaia ecc. e sono anche riusciti a determinare il valore di tali nodi, che va da zero a nove. In questo modo hanno potuto decifrare le cifre che si creano sulle cordicelle grazie alla somma del numero di nodi che indicano unità, decine, centinaia.
Gli studi della coppia Ascher hanno permesso di identificare i valori numerici contenuti in determinati quipu, ma ancora non siamo riusciti a capire a cosa si riferiscono quei numeri. In primo luogo perché non abbiamo identificato e cifrato altre variabili come, ad esempio, il significato dei colori. Inoltre i quipu erano accompagnati da messaggi orali che integravano le informazioni conservate nelle corde, per cui funzionavano come un sistema mnemotecnico che richiedeva dati complementari, oggi perduti.
D’altra parte sappiamo che esistevano quipu storici per registrare i principali fatti avvenuti durante le dinastie inca, ma ignoriamo le caratteristiche di questo sistema di scrittura. Per tali ragioni oggi siamo ancora lontani dal conoscere il significato completo di un quipu, ed è probabile che non riusciremo mai a svelare gli enigmi che si celano dietro questi “nodi della memoria”. All’inizio della conquista spagnola i quipu furono ritenuti oggetti di culto e, pertanto, ne fu ordinata la distruzione. Ciononostante, l’efficacia del quipu come sistema di conservazione delle informazioni portò gli spagnoli a rivedere le proprie posizioni.
QUIPU COLONIALI. Paradossalmente, pochi anni dopo la conquista e il rogo dei quipu, l’amministrazione coloniale ne incentivò l’uso tra gli indigeni per facilitare il censimento della popolazione. Anche i preti esortavano gli indios a “riflettere sui propri peccati e a farne dei quipu” prima di confessarsi. I quipu coloniali non aderivano più ai canoni inca perché rispondeva alle nuove esigenze del governo spagnolo. Ciononostante, la figura del quipucamayoc continuò a esistere e a ricoprire un ruolo importante all’interno dell’amministrazione. Dopo la caduta dell’impero inca il quipu si trasformò ma la tecnica sopravvisse, e questo spiega perché ancora oggi nelle Ande ci siano comunità che usano questo strumento ancestrale. Al giorno d’oggi normalmente il quipu è un oggetto rituale o di prestigio, un artefatto di corde intrecciate che ha ormai poco in comune con il quipu inca ma che, a ogni modo, mostra quanto le cordicelle fossero radicate nel tessuto andino.
Articolo in gran parte di Ariadna Baulenas pubblicato su Storica National Geographic del mese di settembre 2018. Altri testi e immagini da Wikipedia.
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