Filosofi che guariscono.
La Scuola Salernitana, faro della medicina medievale, rivela una sorprendente modernità: cure e diete personalizzate, erbe medicinali, chirurgia raffinata e una visione olistica della malattia come disequilibrio dell’organismo umano.
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(LA)
«Si tibi deficiant medici,
medici tibi fiant haec tria: mens laeta, requies, moderata diaeta.» | (IT)
«Se ti mancano i medici,
siano per te medici queste tre cose: l'animo lieto, la quiete e la moderata dieta.» |
(Scuola Medica Salernitana, Regimen Sanitatis Salernitanum) |
«Perché il sonno ti sia lieve / la tua cena sarà breve.
Se gli umor serbar vuoi sani / lava spesso le tue mani. Se non hai medici appresso / farai medici a te stesso / questi tre: anima lieta / dolce requie e sobria dieta» |
(L'Ora di Storia 1) |
La Scuola Medica Salernitana è stata la prima e più importante istituzione medica d'Europa nel Medioevo (XI secolo); come tale è considerata da molti come l'antesignana delle moderne università.[1][2][3][4] quasi automatico figurarsi scende da incubo: un pregiudizio diffuso fa credere ai più che il malato fosse comunque destinato a morire, se non per malattia, per cola delle cure inutili, o addirittura dannose, praticate dai medici, e che la sua unica speranza fosse affidarsi all’intervento di Dio. Ma siamo di fronte ad un’immagine falsata: il Medioevo è stato un periodo molto fecondo sia per la medicina che per la chirurgia, durante il quale gli insegnamenti dei grandi dell’antichità si sono uniti alle conoscenze portate in Europa dagli Arabi e all’esperienza dei singoli medici. Senza questo retroterra, la costruzione dell’edificio della medicina moderna non sarebbe stato possibile. Questo è vero in particolare per una città dell’Italia meridionale che, soprattutto tra l’XI e il XIII secolo, diventa una vera e propria Mecca della medicina europea: Salerno. La sapienza dei medici dell’antichità (Ippocrate, Galeno e Dioscoride in testa) si fonde con quella che i mercanti arabi ed ebrei portano dall’Africa e dal Medio Oriente. Il segreto del suo successo è si lo studio dei maestri, ma soprattutto l’esperienza che viene dalla pratica, dall’abitudine che si acquisisce accanto al letto del paziente. È soltanto verso la metà dell’XI secolo, però, che giganti della disciplina come Guarimpoto (ricordato anche da Pier Damani), il vescovo Alfano I e il monaco Costantino l’Africano (giunto nell’Italia meridionale da Cartagine) portano la fama delle scuole di Salerno in tutta Europa. L’esempio più eclatante è Egidio di Corbeil, primo docente alla facoltà di medicina dell’Università di Parigi, che studia alla Scuola Medica Salernitana e poi ne esporta in Francia il modello di insegnamento.
PAROLA D’ORDINE: MODERAZIONE I pilastri della medicina, già per gli antichi, sono tre: dietetica, farmacologia e chirurgia. Secondo l’impostazione medica ippocratea, il segreto della salute sta nell’equilibrio dei quattro umori che compongono il corpo umano: sangue, flemma, bile gialla e bile nera. Umori che riflettono i quattro elementi di cui si pensa sia composto l’universo: aria, acqua, fuoco e terra. Sarebbe grazie a essi che le qualità originarie (il caldo e il freddo, attive, e il secco e l’umido passive), si distribuirebbero in tutte le cose: in questo modo, l’equilibrio delle qualità contrarie garantirebbe l’armonia del creato. La dietetica serve appunto a mantenere l’armonia fra i quattro umori: non soltanto attraverso una dieta sana, ma alternando nel modo giusto sonno e veglia, moto e quiete, e curando l’igiene.
Possiamo capire un po’ meglio il funzionamento di questa “arte del vivere sano”medievale, e allo stesso tempo preventiva e curativa, attraverso quello che è forse il testo più famoso della Scuola Salernitana, il Regimen sanitatis, un vero e proprio vademecum per la salute del corpo e dell’anima, la cui parola d’ordine è moderazione.
La dieta è considerata importantissima sia per mantenersi sani, sia in caso di malattia. Anzi può costituire essa stessa una medicina. Ad esempio, la cipolla combatte la calvizie, i porri stimolano la fertilità femminile, il pepe nero è ottimo per la tosse e le coliche, includere nella dieta la ruta e il rafano protegge contro i veleni. L’attenzione al mondo delle piante è uno degli aspetti della Scuola Salernitana che oggi si sta rivalutando di più. Non si tratta semplicemente di fitoterapia (cioè di uso delle piante legato strettamente ai loro principi attivi): si è scoperto, infatti, che esse possono aiutarci a stare bene anche attraverso la “dieta dei colori” e la “dieta mediterranea” che rappresentano due degli esempi più noti. Il medico del Medioevo deve offrire un approccio personalizzato a ogni singolo paziente e sapergli consigliare non solo la cura giusta, ma anche lo stile di vita e l’alimentazione più adatti al suo temperamento (sanguigno se prevale il sangue, collerico se prevale la vile gialla, flemmatico se prevale la flemma, melanconico se prevale la bile nera). Per fare ciò, conta tantissimo l’abilità nell’anamnesi: prima di tutto il medico deve parlare con il paziente e i suoi familiari e stabilire con loro un rapporto di fiducia. Poi si procede all’esame del polso e, a seconda della qualità, della consistenza e della durata del dibattito, si possono capire l’età e il temperamento del paziente e la gravità della sua malattia.
Donne con bisturi.
Contrariamente a quanto si crede, nell’antichità non è affatto strano trovare donne medico. Lo dimostra il fatto che in latino il termine medicus ha anche il femminile, medica, a riprova di una pratica che continuerà fino al Quattrocento inoltrato.
Il punto di rottura, sono gli anni fra il Duecento e il Trecento, quando l’università, maschile e maschilista, si arroga il diritto di essere la sola depositaria della sapienza, escludendo le donne. La Scuola Medica Salernitana, invece, per lungo tempo è composta sia da scuole ecclesiastiche (compresi monasteri femminili, come quello di San Giorgio) che da insegnanti privati, cioè da medici che “fanno scuola” a casa propria. Tra di loro c’è anche qualche donna: Rebecca Guarna, Abella (o Sabella) Castellomanata, Mercuriade, Costanza Calenda.
Il fenomeno non si limita a Salerno: nella Bologna del Quattrocento, Dorotea Bocchi eredita dal padre la cattedra di Medicina e Filosofia, e intorno al 1250 il re di Francia Luigi IX si fa accompagnare in Terrasanta da una donna medico, Hersende. La più famosa resta però Trotta da Ruggiero (detta Trotula) vissuta a Salerno nell’XI secolo e autrice di una Parctica (un libro di medicina pratica) che tratta le malattie tipiche del sesso femminile, il parto e la bellezza della donna.
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VALORE DELL’EQUILIBRIO. Alfano I classifica ben 9 tipi di battito. Niente in confronto alle 20 urine diverse individuate da Mauro, che ne esamina accuratamente colore, quantità, consistenza e sedimenti, per poi valutarne l’acidità tramite il gusto, la consistenza con il tatto e la densità mediante l’olfatto: dobbiamo ricordare che i sensi sono gli unici strumenti diagnostici a disposizione del medico medievale. Se la dietetica non è sufficiente e l’equilibrio degli umori è sconvolto da cause interne ed esterne, è necessario riequilibrare l’umore in eccesso. Nell’opinione comune, spesso si tende ad associare la farmacologia medievale alla medicina omeopatica. Soprattutto a Salerno, al contrario, si privilegia un approccio allopatico, che prevede che una malattia derivante dall’eccesso di determinate qualità venga curata con sostanze che contengano le qualità contrarie. Ad esempio, per contrastare la febbre, che implica l’eccesso di sangue (caldo e umido), servono sostanze fredde. La farmacologia fa ricorso alle proprietà terapeutiche degli elementi del regno animale, vegetale e minerale, che vengono definiti “semplici” se utilizzati allo stato puro o “composti” se li si mescola per preparare pozioni o pomate. Da Salerno, gli erbari e i ricettari si diffondono ben presto in tutta Europa e vengono copiati e adattati ai contesti più svariati. Si tratta, in pratica, di repertori di droghe, soprattutto vegetali, ma anche minerali e animali. Negli erbari, le piante vengono descritte, illustrate tramite miniature e classificate in base alle modalità di raccolta e conservazione e alle patologie che sono in grado di curare. Per ciascuna, inoltre, vengono fornite le istruzioni necessarie alla preparazione di composti e, naturalmente, le spiegazioni indispensabili per un corretto utilizzo.
Nella medicina medievale non esiste il concetto di principio attivo. I semplici vengono classificati in base alla loro appartenenza a uno dei quattro elementi (fuoco, aria, acqua e terra): un criterio destinato a sopravvivere fino all’Ottocento. Al di là di questa suddivisione di massima, le sostanze si valutano anche in base ad altre proprietà (per esempio, possono essere fredde, secche o umide a vario grado). L’elemento ritenuto più nobile è il fuoco (caldo e secco), cui appartengono prima di tutto le spezie. A questo proposito va sfatato un mito: non è affatto vero che il loro utilizzo serva a mascherare il sapore della carne conservata troppo a lungo sottosale; se le spezie sono così apprezzate e indicate in molte preparazioni, è proprio perché sono legate al fuoco. Ciò le pone tra le sostanze più adatte a mantenere la salute: aggiungerle a un composto significa renderlo più caldo e secco, sano e facile da assimilare. Inoltre sono importate (con costi enormi) dall’India, terra che si immagina vicino al Giardino dell’Eden, e per questo vengono considerate “un assaggio del Paradiso”.
Matteo Silvatico con i suoi allievi dal frontespizio di un'edizione del 1526 dell'Opus Pandectarum Medicinae
PIANTE E RICETTE PER STARE BENE. Pur riconoscendole gli innegabili limiti, i medici moderni devono ammettere che, in un buon numero di essi, i maestri della Scuola Salernitana ci hanno visto giusto. Come per la borraggine, per esempio, Matteo Silvatico ne raccomanda l’utilizzo contro la malinconia, cioè contro l’eccesso della bile nera (che implica patologie urinali e intestinali, tumori e tendenza all’ansia e alla depressione), e in effetti questa pianta è ricca di grassi insaturi ed è un buon infiammatorio. Ma non si sbaglia nemmeno Plateario quando consiglia le artemisie (della cui famiglia fa parte l’assenzio) contro la malattia, o il sambuco per le sue proprietà antinfiammatorie. Sempre contro le infiammazioni, Dioscoride indica invece la corteccia di salice (già nota ai medici assiri ed egizi), che Plateario e Silvatico prescrivono contro le febbri, vista la sua natura fredda e umida. La scienza moderna ne rivelerà il tesoro nascosto, l’acido salicilico, da cui Arthur Eichengrun, alla fine dell’Ottocento, partirà per produrre l’aspirina.
Un altro esempio interessante è quello della calendula, che Silvatico consiglia contro la febbre e i dolori articolari per via delle sue proprietà antinfiammatorie, confermate in seguito dalla scienza moderna. Per quanto riguarda l’issopo, i valori lenitivo e antibatterico ne hanno fatto il simbolo stesso della purificazione, ricordato perfino nella Bibbia. Il mentolo è uno degli oli essenziali più utilizzati, soprattutto per le proprietà antisettiche; la menta, da cui viene estratto, ha una forte connotazione femminile: conosciuta anche come erba di Santa Maria, sarebbe stata l’unica pianta a dare ristoro alla Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto. Per non parlare della salvia, che il già citato Regimen sanitati della Scuola Salernitana arriva a definire, giocando sul nome, salvia salvatrix, naturae conciliatrix (salvia salvatrice, conciliatrice naturale) per sottolinearle il ruolo di panacea e insieme di ponte tra la natura effimera dell’uomo e quella eterna della natura. E non ha tutti i torti, visto che tra le 900 specie diverse di salvia si conta anche la sclarea, le cui radici contengono sostante antitumorali.
Probabilmente la nostra mentalità scientifica sorriderà di questo tipo di approccio, ma è bene non dimenticare l’importanza dei simboli per l’uomo medievale, che considera la natura una realtà vivente e molteplice, non ridotta a semplici processi chimici e meccanici. Ogni caratteristica della pianta, (non solo la virtù che contiene, ma anche l’aspetto, il colore, il bagaglio di simbolismi di cui si è fatta portatrice nel corso dei secoli) viene ritenuta importante per il suo uso come medicamento; e, non di rado, il simbolo nasconde una qualità terapeutica reale.
Regimen sanitatis
La dottrina dei quattro umori.
Secondo la medicina medievale, basata sulla teoria dei greci Ippocrate (V-IV secolo a.C.) e Galeno (129-216) l’organismo umano è governato da quattro umori (sangue, bile gialla, bile nera, flegma). Che con le loro interazioni e i loro disequilibri determinano la salute o la malattia.
ILLUSTRAZIONI DIDATTICHE.
La serie di illustrazioni anatomiche più diffuse nel Medioevo probabilmente hanno origine da un espediente didattico risalente al periodo alessandrino: la Funfbilderserie (così chiamata perché si trova frequentemente composta da cinque illustrazioni) appare per la prima volta in manoscritti occidentali del XII secolo e continua a essere riprodotta fino al XV. I cinque la sistemi anatomici sono le ossa, i muscoli, i nervi, le arterie e le vene. Ecco una descrizione dei manoscritti:
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Cuore. Il cuore, considerato dimora dell’anima e origine dell’energia vitale, è collocato al centro del corpo. Da lì si dipartono le vene, che raggiungono gli arti e la testa. La circolazione è unidirezionale: il sangue, una volta irrorate le estremità, non torna indietro.
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Sangue rosso. Il sangue, che parte dal cuore, il più nobile degli organi, è rosso e apporta linfa vitale positiva. La circolazione sanguigna così concepita è un sistema chiuso che non comunica con il resto dell’organismo.
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Circolazione. Le conoscenze relative alla circolazione sanguigna risentono dell’elaborazione classica degli umori e si diffondo grazie ai trattati arabi e bizantini. Nel XIII secolo, l’arabo Ibn al-Nafis è il primo a descrivere il sistema circolatorio in termini più corretti, ma le sue osservazioni vengono ignorate fino al Cinquecento.
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Rimedi. Intorno alla figura compare di solito un testo molto fitto, che può contenere la descrizione delle malattie associate alle varie parti del corpo, interne o esterne, accompagnate dalle terapie consigliate per trattare i vari casi.
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ANATOMIA SOMMARIA.
I cinque sistemi anatomici (ossa, muscoli, nervi, vene e arterie) sono tratti, come sempre, dall’opera di Galeno, in particolare dal De sectis ad eos qui introducuntur, e costituiscono quelle parti similari del corpo già descritte da Aristotele come “fondamentali e irriducibili”. Ovviamente, però, imprecisioni e approssimazioni non mancano.
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Sangue blu. Secondo Galeno il fegato possiede un proprio sistema di circolazione separato dal cuore. Mentre il cuore sovrintende agli aspetti più nobili, il fegato presiede agli istinti. Il sangue che da esso si diparte è blu.
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Fegato. Il fegato si trova a destra ed è sempre rappresentato a cinque lob, sottostante la cistifellea. La milza appare invece a forma di sogliola, a sinistra e spostata verso l’alto. La raffigurazione ignora completamente i reni.
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Pochi organi. Le illustrazioni si trovano in genere in compendi di medicina pratica, in latino e in volgare, che dimostrano poca o nessuna preparazione medica. Spesso, infatti, molti organi sono del tutto assenti.
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Cervello. Le facoltà sensitive e intellettive sono localizzate nel cervello, in corrispondenza dei ventricoli (o cavità, secondo la descrizione di Galeno), che possono variare di numero, fino a cinque.
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OSSA SCHEMATICHE.
La rappresentazione dello scheletro serve a individuare le ossa, ma non appare mai precisa dal momento che la dissezione viene condotta solo sugli animali (lo stesso Galeno utilizza suini o scimmie). In questi manuali, comunque, l’accuratezza interessa meno della riduzione a forme geometriche semplici e facilmente memorizzabili. Ciò deriva dalla tendenza ad astrarre, tipica dei diagrammi arabi. Altre forme artistiche, come le danze macabre, danno invece dello scheletro un’immagine molto più realistica.
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Articolazioni. Nell’IX secolo, Apollonio traduce il trattato di Ippocrate Peri Arthron (sulle articolazioni). Qui però la loro rappresentazione non è realistica e si limita a rendere in maniera schematica la congiunzione tra arti per mezzo di sfere.
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Spina dorsale. La spina dorsale appare come una colonna e le costole come semplici tratti, in numero approssimativo. Curiosamente, per riassorbire un gobba nella parte bassa della spina dorsale si consiglia di legare il paziente a testa in giù su una scala.
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Ossa e fratture. Il grande chirurgo Abulcasis, vissuto a cavallo tra il X e l’XI secolo, insegnò la tecnica per ridurre fratture molto delicate e particolari, come quelle dell’osso nasale, del femore e del bacino. Per tutte le altre (in assenza del gesso) si procedeva di solito alla semplice fasciatura.
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Cranio. I pensatori medievali dividono il cervello in settori, associati a diverse facoltà. Le formulazioni dei filosofi trovano il loro equivalente figurativo nei disegni, che rappresentano il cranio in maniera schematica e suddiviso in sezioni.
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RICETTA PER RITROVARE LA VERGINITA’.
Prendi in egual misura sangue di drago, bolo armeno, cannella, corteccia di melograna, allume, mastice e galle di quercia. Riduci in polvere e mescola in acqua tiepida. Spalma nell’apertura vaginale e vedrai che il composto la restringerà.
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RICETTA PER IL MAL DI DENTI.
Chi ha il mal di denti si procuri assenzio e verbena in egual misura e li cuocia con del buon vino bianco in una pentola nuova. Coli poi quel vin cotto con un panno e lo beva aggiungendovi un po’ di zucchero.
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RICETTA PER IL MAL DI STOMACO.
Se il ventre duole o è costipato, si tritino semi di cetriolo, melone, cocomero e zucca, si sciacquino in acqua e, aggiunto sciroppo acetoso e di viole, si assumano mattina e sera. Contro il meteorismo, un balsamo con acqua sarà di grande giovamento.
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CON L’OPERA NELLE MANI. La medicina contemporanea è consapevole di quanto le grandi conoscenze erboristiche della Scuola Salernitana, pur situandosi al di qua del metodo scientifico, maturato nel Seicento, possano risultare preziose nel contesto della rivoluzione farmacologica in corso oggi: farmaci biologici e biotecnologici, farmacologia ecosostenibile e terapia ad personam sono concetti fondamentali in un approccio empirico come quello medievale. Ma la farmacologia può non bastare, e allora bisogna ricorrere alla chirurgia, che è si l’extrema ratio della medicina medievale, ma non ha niente a che vedere con la pratica rozza e brutale che fa ancora dell’immaginario di molti. A Salerno, molto spesso medico e chirurgo sono la stessa persona, mentre nel resto d’Europa, soprattutto in Francia, a partire dal XII secolo le due figure si presentano distinte e il chirurgo è considerato subalterno al fisico, cioè al medico vero e proprio. La Scuola Salernitana, ancora fedele alla tradizione classica, continua a comprendere la chirurgia tra gli insegnamenti della medicina, tanto che nelle Costituzioni di Melfi, l’imperatore Federico II stabilisce che per acquisire il titolo di medico bisogna anche essere chirurgo. Il che non significa che non esistano chirurgi di professione (il sovrano pretende che essi studino medicina per almeno un anno, e stabilisce che non si possa ottenere la licenza di praticare la chirurgia senza la testimonianza di un maestro medico). La distinzione tra medico e chirurgo inizia a farsi più netta solo nel Trecento, in età angioina, quando il nostro Mezzogiorno si adegua agli standard del resto d’Europa. Il testo di chirurgia più importante partorito a Salerno è senz’altro il Post mundi fabricam, scritto alla fine del XII secolo da Ruggiero di Fugaldo, copiato in tutta Europa nei secoli successivi e divenuto uno dei testi fondamentali della materia. L’insegnamento di Ruggiero si rià ai grandi chirurghi del passato, ma prima di tutto è basato sull’esperienza personale, fatta di trapanazioni del cranio, operazioni all’ernia e alle emorroidi, riduzioni di fratture e rimozioni di corpi estranei. La strumentazione che descrive è, sostanzialmente, quella stessa in uso fin dai tempi dei Romani, sia pure con qualche importante innovazione. È stupefacente notare come alcuni dei metodi di Ruggiero siano ancora in uso nella chirurgia moderna. Per esempio, egli utilizza già, per operare l’ernia, la posizione che oggi viene definita di Trendelnburg o antishock, che prevede che il paziente venga fatto sdraiare con i piedi più in alto rispetto alla testa, per evitare shock cardiaci. Anche trovate geniali come la canaletta per estrarre le frecce dalle ferite senza lacerare ulteriormente le carni sono riprese dalla chirurgia romana. In caso di fratture, invece, Ruggiero consiglia prima la riduzione e poi l’immobilizzo tramite stecche e bende indurite con albume d’uovo: ance se il gesso non era ancora stato inventato, il concetto è lo stesso.
Galateo in camice bianco.
Nelle novelle, i medici sono sempre ritratti mentre snocciolano gran paroloni in cambio di denaro sonante. Forse anche per questo, in molti trattati della Scuola Salernitana troviamo raccomandazioni sulla condotta da tenere in casa dei pazienti. Particolarmente gustose sono quelle impartite dal cosiddetto Arcimatteo (forse Matteo Planetario). Il buon medico deve instaurare un rapporto di fiducia con il paziente e la sua famiglia, ed essere irreprensibile con le donne di casa. Deve rassicurare l’infermo, ma informarlo della gravità del male (magari esagerando). Eviterà boria e superbia, mostrandosi affabile e cordiale. Il malato non va mai lasciato solo, nemmeno in casi disperati: anzi, occorre partecipare sempre alla sua sofferenza. Infine, deve prestare attenzione ai pazienti avari…
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COME TI SUTURO UNA FERITA. La lettura del Post Mundi fabricam, aiuta a sfatare molti miti sulla chirurgia medievale. I chirurghi di Salerno seguivano la teoria di Galeno che, trattando le ferite, mirava a farle suppurare, così da espellere gli umori guasti. Anche Ruggiero applica questo antico metodo, ma soltanto per alcuni tipi di lesione. Per altri, consiglia il lavaggio con una spugna immersa in acqua fredda e di favorire la rimarginazione per mezzo di pezzuole di lino imbevute di albume d’uovo (ricco di fibrogeni e dunque ottimo come cicatrizzante). Inoltre, fornisce istruzioni molto dettagliate per la saturazione delle ferite mediante filo di seta, ed è scrupolosissimo in materia di bendaggi: spiega nel dettaglio come eseguirli a seconda dei casi e precisa quante volte vadano cambiati, raccomandando di lasciare sempre aperti i lembi estremi delle ferite in modo da permetterne il drenaggio, proprio come si fa ancora oggi. Ruggiero viene accusato ingiustamente di aver fatto uso e abuso del cauterio (il ferro rovente), molto apprezzato dalla medicina araba. Lui, infatti, segue la dottrina romano-bizantina e si serve di questo strumento pressappoco per le stesse operazioni che oggi richiedono l’utilizzo del bisturi elettrico (blocco di emorragie importanti, bruciatura di polipi e tumori), pensandoci due volte prima di usarlo a sproposito. Allo stesso modo, il salasso è nominato molto di rado, soprattutto in caso di tumefazioni. D’altronde, come apprendiamo anche nel Regimen Sanitatis, non è una pratica da prendere alla leggere e risulta molto più raro di quanto si creda: viene prescritto per le patologie cardiache, ed è sconsigliato al di sotto dei 17 anni e al di sopra dei 60, e va evitato in inverno e ancora di più in estate, in caso di lunghe malattie, di dolori acuti e nausea.
L’anestesia è già praticata: la più forte si ottiene con la spongia somnifera, una spugna lasciata macerare in una miscela di oppio, mandragola, belladonna e giusquiamo, e poi seccata al sole, i cui principi attivi vengono riattivati con acqua calda un’ora prima dell’operazione. Si tratta di un’anestesia a rischio altissimo, essendo composta da sostanze potenzialmente mortali, e infatti è praticata solo per le operazioni più dolorose, come le amputazioni o le trapanazioni del cranio. Per le altre si preferiscono sostanze sempre a base di oppio ma molto più blande, in grado di intorpidire semplicemente i sensi per lenire il dolore.
Il mio bisturi per un cadavere.
Si dice che i medici medievali studiassero il corpo umano solo sui libri, senza verificare mai di persona, probabilmente per paura delle sanzioni imposte dalla Chiesa. In realtà, nessun documento ufficiale proibiva la dissezione dei cadaveri, anche se in effetti era una pratica disapprovata fin dall’antichità. Veniva praticata solo sugli animali, come mostra il trattato di Cofone Anatomia porci, del XVI secolo.
L’imperatore Federico II permise le autopsie sui corpi umani, ma non più di una volta ogni cinque anni. Solo alla fine del Duecento a Bologna, troveremo testimonianze certe di dissezione di uomini e donne: a operare erano Taddeo Alderotti e Mondino de’ Liuzzi.
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MADE IN SUD. Ma perché Salerno? E come nascono le sue scuole? Secondo la leggenda, la Scuola Medica Salernitana sarebbe nata dall’incontro casuale di quattro medici: Salerno il Longobardo, Ponto il Romeo (ossia greco-bizantino), Elino il Giudeo e Adela il Saraceno: quattro tradizioni culturali diverse, che portano in città le conoscenze di quasi tutto il mondo.
Sono molto i luoghi in cui questa fusione viene portata a compimento: i monasteri latini e italo-greci, ma anche le case private dei singoli medici, che raccolgono intorno a sé gruppi di discepoli a cui trasmettere i propri insegnamenti, costituendo così le prime scuole. Ma è soltanto verso la metà dell’XI secolo che la fama di Salerno si diffonde in tutta Europa, anche grazie alla traduzione e alla diffusione di testi greci o arabi, come il Canone di Avicenna. È la premessa al secolo d’oro della Scuola Salernitana, il XII, quando lo studio della medicina da arte pura e semplice diventa una vera e propria filosofia. È in questo periodo che viene elaborato un curriculum (la cosiddetta articella) che fa precedere lo studio della medicina da quello delle arti liberali e dei nuovi testi filosofici di Aristotele, da poco tradotti in latino. È l’epoca di Nicola da Salerno e di Matteo Planetario, ma anche, e soprattutto, delle grandi personalità straniere che vengono a formarsi dai maestri salernitani per poi aprire, a loro volta, delle scuole: i francesi Bartolomeo, Mauro e Ursone, per esempio, che poi riportano in patria il sapere acquisito. Eppure, proprio questo ambiente così ricco e culturalmente dinamico non riesce a fare il salto di qualità che avviene altrove all’inizio del Duecento, quando professori e studenti si riuniscono in corporazioni, dando vita alle università, destinate a diffondersi rapidamente in tutta Europa. A intervenire è l’imperatore Federico II, che tenta di frenare la concorrenza delle università esterne al regno istituendo uno Studium di Diritto a Napoli e stabilendo, per decreto, che soltanto chi superi un esame davanti a una commissione composta dai maestri di Salerno, e presieduta da un commissario imperiale, possa esercitare la professione medica. Questo non impedisce, però, la nascita di università a facoltà distaccate, come quella di Diritto Napoli e di Medicina a Salerno, a danno dell’una e dell’altra: un’organizzazione che non regge il confronto con realtà più compatte come Bologna o Parigi. È l’inizio del declino della Scuola Salernitana che, pur continuando a sfornare cervelli come Silvatico (medico personale del re Roberto d’Angiò all’inizio del Trecento) e a far circolare i suoi testi in tutta Europa fin quasi al Settecento, non ritroverà mai più il fulgore dei tempi d’oro.
Nel 1812, quando Gioacchino Murat, padrone del Sud napoleonico, chiude definitivamente la Scuola di Salerno, essa ormai non è altro che una pallida istituzione che vive sulle glorie di un lontano passato.
Articolo in gran parte di Federica Garofalo pubblicato su Medioevo Misterioso extra n. 7. Altri testi e foto da Wikipedia
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