lunedì 17 dicembre 2018

Le vestali, le madri di Roma, le sacerdotesse più venerate.

Le vestali, le madri di Roma, le sacerdotesse più venerate.

RECLUTATE QUANDO ERANO ANCORA BAMBINE, LE SACERDOTESSE DI VESTA RIMANEVANO IN CARICA TRENT’ANNI. ERANO IL MODELLO DELLA MATER FAMILIAS, ANCHE SE RISPETTO ALLE ALTRE DONNE, ERANO

la vestale maxima. era la sacerdotessa più importante di Roma e aveva la responsabilità di sorvegliare le altre.
Marco Licinio Crasso era uno dei più ricchi e potenti cittadini romani del I secolo a.C. Eppure perse quasi tutto quando venne accusato di essere troppo intimo con la vestale Licinia. Questa non p una storia romantica: Crasso voleva sedurre Licinia per riuscire a mettere le mani su una villa che le apparteneva. Crasso fu assolto ed entrambi ebbero salva la vita. Uno degli elementi sorprendenti di questa storia è il fatto che Licinia avesse delle proprietà, dato che nella Roma antica non era una pratica comune per le donne possederne. Ma non è una circostanza casuale: Licinia aveva il diritto di avere proprietà proprio perché era una vestale. La storia del suo processo dimostra anche il fatto che questa prerogativa avesse un prezzo: una vestale doveva rimanere vergine. Il calendario dell’antica Roma era segnato da numerose festività religiose, che venivano officiate da un’ampia varietà di sacerdoti: pontefici, auguri, flamini, feziali, salii… Ma a Roma c’era anche un sacerdozio di esclusiva competenza femminile: quello consacrato alla dea del focolare, Vesta (l’equivalente della greca Estia). Le sacerdotesse vestali, e in parte la Vestalis maxima, la più eminente di loro, erano le matrone di stato per eccellenza, modello di ogni mater familias. La loro carriera iniziava tra i sei e i dieci anni, quando le bambine erano captae, cioè arruolate, dal pontefice massimo. Il verbo capio significa prendere o rapire, retaggio dell’arcaico rapimento vero e proprio della sposa. Le sacerdotesse erano selezionate all’interno delle migliori famiglie romane: dovevano essere libere per nascita, patrizie (nei primi secoli), con i genitori in vita, il padre residente in Italia ed esenti da imperfezioni fisiche. Vi erano alcuni impedimenti, poi, legati all’appartenenza a gentes in cui fossero presenti personaggi con determinati incarichi politici o religiosi. Le vergini venivano investite del ruolo durante una cerimonia pubblica, attraverso una formula rituale pronunciata dal pontefice massimo e rimanevano in carica per trent’anni. Durante questo periodo avevano appunto l’obbligo di rimanere vergini.
Il ruolo delle sacerdotesse vestali non era solo religioso, ma anche politico. A Roma l’intera organizzazione collettiva e statale era vista come un’emanazione della famiglia: lo stato era concepito come un’unica grande stirpe che comprendeva tutti i lignaggi della città, le cosiddette gentes. Ecco perché al centro di Roma ardeva un fuoco sacro, in analogia con l’organizzazione della domus, che gravitava attorno a un focolare originariamente situato nell’atrio (termine che deriva dal lativo ater, “scuro”a causa del fumo, anche se questo ambiente divenne in seguito una specie di cortile interno). Il fuoco sacro della città era ospitato nel tempio di Vesta, dove le sacerdotesse della dea erano incaricate di custodirlo. Il parallelismo tra lo stato e la famiglia spiega anche le similitudini esistenti tra il comportamento delle vestali e quello delle donne che si ispiravano all’ideale della matrona romana.


il culto delle vestali 

Un culto millenario.

717-674 a.C. le fonti classiche fanno risalire la fondazione dell’ordine delle vestali al re Numa Pompilio, che consacra le prime quattro sacerdotesse di Roma.
578-534 a.C. Servio Tullio aumenta due unità il numero delle vestali, che resteranno sei per tutta la successiva storia dell’ordine sacedortale.
I secolo a.C. circa il processo di selezione delle vestali inizia a cambiare. Con la Lex Papia non è più il pontefice massimo a sceglierle direttamente, ma vengono estratte a sorte tra venti fanciulle durante una riunione (contio).
391 d.C. L’imperatore Teodosio proibisce i culti e i rituali pagani e fa chiudere il tempio di Vesta. La fiamma sacra viene spenta (forse dallo stesso imperatore) e le ultime vestali sono esonerate dal servizio.
I vantaggi di essere vestali.
Nonostante gli stretti doveri connessi alla funzione sacerdotale, le vestali godevano di maggiori privilegi rispetto alle altre donne romane. Oltre a ricevere una cospicua indennità statale, erano affrancate dalla patria podestà e dalla tutela di fratelli, mariti e figli, cui invece erano soggette le donne comuni.
Le vestali potevano poi fare testamento (inoltre custodivano quelli degli altri cittadini), testimoniare senza giuramento ai processi e amministrare autonomamente i propri beni. Se le sacerdotesse si imbattevano per strada in un condannato a morte, potevano chiedere la grazia in suo favore.
Durante le apparizioni pubbliche erano trattate con il massimo rispetto: avevano diritto alla protezione dei littori – i funzionari pubblici incaricati di scortare i magistrati più importanti di Roma – e si spostavano per la città sul carpentum, un elegante carro a due ruote che veniva usato in occasioni solenni.



SPOSATE CON LO STATO. La stretta relazione tra sacerdotesse e matrone è evidente nell’aspetto delle une e delle altre: moglie e madri romane dovevano essere immediatamente riconoscibili dal loro abbigliamento in quanto donne honestae, e così anche le vestali. Inoltre, allo stesso modo in cui la novella sposa abbandonava l’abitudine dei capelli sciolti, alle vestali i capelli venivano recisi in un rito pubblico, per poi essere appesi a un alberto, forse un loto. Ancora, queste due tipologie femminili erano accumunate dalla vitta crinalis, una benda o nastro che aiutava a tener ferma la pettinatura. Anche la divisione dei calli in sei ciocche o trecce, i seni crines posti sul capo delle vestali dopo la tonsura rituale (sulla cui forma e concetto tanto hanno disquisito storici e archeologi°), fu usuale anche per le matrone. Era identico perfino l’uso della stola, veste lunga fino ai piedi, annodata in vita con un particolare nodo detto erculeo per le vestali. L’elemento distintivo era il suffibulum, un lembo di stoffa quadrangolare posto sul capo durante i sacrifici per le vestali, mentre alle spose spettava il flammeum, il velo nuziale arancio-rosso, colore simbolo del matrimonio anche per la sua affinità con quello del fuoco, che risplendeva nelle case e nel tempio di Vesta. Perfette donne di casa – sia che quest’ultima fosse la domus privata per le donne maritate o la casa di Roma, cioè l’aedes Vestae per le vestali – dovevano osservare gli antichi usi e costumi delle romane, cercando di evitare nel modo più assoluto di uscire dal solco della tradizione: per i romani la trasgressione femminile era una colpa tremenda, punita severamente. Anche le sacerdotesse avevano obblighi precisi. Il primo era quello di fare in modo che il fuoco di stato non si estinguesse mai a parte lo spegnimento rituale, voluto, del 1° marzo, primo giorno dell’anno romuleo. Il secondo, custodire nella parte più intima del tempio della dea (penus) alcuni talismani segreti e preziosissimi, tra cui un fallo sacro, il fascinus, beneaugurante come quelli all’esterno dei negozi di pompei. Nel penus erano conservati anche i penati di Roma, e forse il Palladio – la statua di Pallade Atena che Enea, fuggito da Troia, aveva portato con sé in Italia e che garantiva la protezione degli dei. Infine, le vestali dovevano realizzare la mola salsa, una preparazione a bvase di farro e sale utilizzata tre volte all’anno durante le feste ufficiale e la muries, condimento sacro cotto in forno, sempre di uso rituale.


Cerimonie per sole donne.
Le Vestali intervenivano nelle celebrazioni ufficiali, come le lupercalia (festività connesse alla fertilità), le Vestalia, dedicate alla dea Vesta, e l’Epulum lovis, in onore di Giove, durante la quale le sacerdotesse preparavano la mola salsa, un alimento sacro a base di farro e sale. Ai primi di dicembre le vestali partecipavano anche ai misteri notturni della Bona Dea, divinità per eccellenza della salute femminile. Assolutamente interdetti agli uomini, questi riti segreti si celebravano in casa del magistrato cum imperio della città ed erano diretti da sua moglie, che veniva aiutata dalle vestali. Non si sa molto di queste celebrazioni segrete, ma si ritiene che fossero originariamente legate all’agricoltura. 
 Il tempio e la casa delle vestali.

Resti della Casa delle Vestali nel Foro Romano

RomaCasaVestaliDaPalatinoOvest.JPG
Il cortile centrale della Casa delle Vestali.

Le sei vestali incaricate del culto della dea Vesta vivevano in una grande casa a pianta rettangolare situata nel foro romano, l’atrium vestae. L’edificio era disposto su tre piani di 50 stanze ciascuno. Al centro si apriva un ampio cortile allungato di 69 metri di lunghezza, decorato con le statue delle donne che avevano ricoperto la carica di vestale massima. Sul lato orientale del complesso c’era un’edicola sostenuta da colonne ioniche che si ritiene contenesse la statua di Vesta. Nello stesso settore sorgeva il tempio della dea, dove le sacerdotesse custodivano il fuoco sacro. Si trattava di un edificio circolare (tholos) circondato da venti colonne corinzie e al cui interno era probabilmente conservato il Palladio, la statua di Pallade Atena che il principe troiano Enea aveva portato con sé dalla patria in fiamme.  

Ricostruzione grafica da Christian HülsenIl Foro Romano. Storia e Monumenti, Roma 1905


PUNIZIONI ESEMPLARI. Donne di casa e vestali si somigliano anche nella durezza delle punizioni che ricevevano. Il diritto romano prevedeva vari tipi di punizioni per le mogli che non mantenevano un comportamento onorevole, come il ripudio o il divorzio. Nel caso delle vestali i castighi erano molto più severi dato che, secondo la mentalità romana, la loro trasgressione avrebbe certamente compromesso il buon andamento dello stato. se una vestale lasciava che il fuoco sacro di Roma si spegnesse, veniva meno al suo compito originario di custodire la casa, il primo dovere di ogni donna sposata. La punizione in casi simili era la fustigazione, che veniva inflitta in un luogo appartato e sul corpo coperto, per rispetto nei confronti del suo pudore verginale.
Ancora più grave era la violazione dell’obbligo di castità. La relazione sessuale tra una vestale e un uomo veniva definita incestum, un termine che diventa comprensibile solo se si considera che le vestali erano ritenute le madri di ogni cittadino romano. Qui era la virtù matronale a essere violata, il casta fuit con cui erano elogiate le donne defunte, e la castità di una vestale valeva molto di più!
La sanzione fu terribile a partire dagli ultimi re etruschi e consisteva nel venire sepolta viva nel cosiddetto Campus Sceleratus, a Roma, presso porta Collina (attuale area di via XX Settembre). La punizione fu inflitta per prima a Pinaria, forse personaggio leggendario dell’epoca di Tarquinio Prisco. Il pontefice massimo, contraltare pubblico del pater familis privato, aveva il potere indiscusso di giudicare e punire le vestali ree, poiché erano parte del collegio pontificale che lui dirigeva. È degno di nota osservare che tale luogo del supplizio fosse collocato entro il pomerium di Roma – contro ogni regola giuridica – e che alla vestale non era torto un capello. Ciò si spiega con la sacralità delle sacerdotesse, che non potevano essere uccise perché appartenenti agli dei. Il complice uomo, invece, misero essere soltanto umano, veniva fustigato a morte, nudo, nel foro.
Pagarono amaramente l’appagamento del loro desiderio sessuale, ad esempio, Opimia, che frequentò addirittura duo uomini secondo le accuse, Minucia denunciata da uno schiavo, o Cornelia, accusata da Domiziano. Tutte furono mandate a morte defossa viva.
Quando l’ufficio trentennale della vestale si concludeva (undici anni da apprendista, dieci come custode del fuoco e dieci come formatrice delle giovani) – pur avendo un’età decisamente avanzata per i tempi e considerato il fatto straordinario che restava comunque priva della tutela maschile – la ex sacerdotessa poteva addirittura sposarsi. Dunque, finché era in servizio prevaleva il suo dovere verso la patria. Invece, cessata la carica poteva diventare una sposa qualunque; testimonianza ulteriore dello stretto legame tra le mogli e le ex vergini sacre. In un’antica cerimonia di cui si sa poco, le vestali si rivolgevano alla massima autorità religiosa di Roma, il rex sacro rum, così: “allora, re, vigili o no sullo stato?”. Il tono familiare, molto simile a quello di una moglie verso il marito, ben illustra l’analogia esistente tra le antiche vestali e le matrone romane.

Candidate involontarie.
Dapprima le vestali erano scelte dai re di Roma, poi dal rex sacrorum, ovvero colui il quale ereditò le funzioni religiose dei re per l’articolazione sempre più precisa dei compiti di governo, e infine, a partire dall’età repubblicana, dal pontefice massimo. Le bambine con le caratteristiche giuste per diventare vestali erano captae (prese, rapite) dal pontefice massimo e chi veniva scelta era come una “prigioniera di guerra”. Dunque un atto di forza. La volontà delle candidate non era tenuta in conto, trattandosi, appunto, di bambine ancora inconsapevoli. E le famiglie? C’erano quelle che ambivano al sacerdozio per le proprie figlie, come le due che offrirono in contemporanea a Tiberio le proprie figlie per sostituire l’anziana vestale Occia, e quelle che, al contrario, esitavano, per cui Augusto in persona dovette assicurare che avrebbe dato sua nipote se lei avesse avuto l’età giusta per divenire vestale. 

Sepolte vive: il tragico destino delle vestali.
gli storici antichi menzionano vari casi di vestali accusate di immoralità e sepolte vive nel Campus Sceleratus.
Oppia (483 a.C.).
Nella sua opera Antichità romane lo storico e retore greco Dionigi di Alicarnasso narra del castigo che venne inflitto alla vestale Oppia per aver offeso gli dei: “Tutto indicava, secondo quanto rivelarono gli indovini e gli interpreti di prodigi, che alcuni si sentivano disonorati perché le loro cerimonie erano compiute senza purezza né devozione (…). Qualcuno denunciò che una delle vergini che custodivano il fuoco sacro, di nome Oppia, aveva perso la verginità e stava contaminando i rituali (…). I pontefici le tolsero i nastri dalla testa e la condussero in processione attraverso il foro, quindi la seppellirono viva dentro le mura, e i due uomini condannati per lo stupro furono pubblicamente fustigati a morte. Successivamente, i presagi e gli auguri furono nuovamente favorevoli”.
Minucia (337 a.C.)
Nella storia di Roma dalla sua fondazione Tito Livio narra il caso di Minucia, ritenuta colpevole di vestirsi in modo improprio e di condurre uno stile di vita lussuoso. “Quell’anno la vestale Minucia, sospettata in prima istanza per un abbigliamento non adeguato alla posizione occupata, e poi accusata di fronte ai pontefici in base alla testimonianza di un servo, venne costretta, da un decreto pontificale ad astenersi dai riti sacri e a tenere sotto la sua potestà gli schiavi.   Processata e condannata, fu sepolta viva nei pressi della porta Collina, a destra della strada lastricata nel campo Scellerato (il cui nome credo derivi dalla trasgressione al voto di castità perpetrata dalla vestale)”. 
Colpa e innocenza delle altre vestali.
471 a.C.
Urbinia è accusata di aver perduto la verginità. Uno dei due uomini ritenuti responsabili si suicida, mentre l’altro viene giustiziato. La vestale viene flagellata e poi sepolta viva. 
271 a.C.
Caparronia è condannata per incestum, ma si suicida impiccandosi con una corda. Secondo Orosio, l’uomo che l’ha corrotta e il suo complice vengono entrambi giustiziati.
216 a.C.
Opimia e Floronia sono ritenute responsabili di aver rotto i voti, fatto considerato di cattivo auspicio per Roma, sconfitta da Annibale a Canne. Floronia si suicida prima di essere sepolta viva.
73  a.C.
Fabia (sorrelastra di Terenzia, moglie di Cicerone), è accusata di avere relazioni sessuali con Catilia. I due sono difesi da Catone, Pisone e Catulo e vengono assolti.
83 d.C.
Domiziano accusa tre vestali – Varonilla e due sorelle entrambe di nome Oculata – di avere avuto rapporti sessuali, ma gli consente di scegliere come morire.
220 d. C.
Giulia Aquilia Severa è violentata dall’imperatore Eliogabalo, che la sposa per avere da lei dei figli degni di un dio. La vestale diventa così imperatrice.  

Articolo in gran parte di Elda Biggi storica del mondo romano antico pubblicato su Storica National Geographic del mese agosto 2018. Altri testi e foto da Wikipedia.

Nessun commento:

Posta un commento