Monna Lisa
Gli enigmi di un simbolo.
Anche se la dipinse su commissione, Leonardo da Vinci tenne sempre con sé la Gioconda. Quasi dimenticata nei secoli successivi, dopo il furto del 1911 è diventata un’icona.
Protetto da ingenti misure di sicurezza il ritratto di Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo, campeggia nella sesta sala del primo piano dell’ala Denon del Louvre. Più noto come Monna Lisa o la Gioconda, l’olio su tavola di 77x53 centimetri pare sempre quasi scomparire dietro la moltitudine di turisti che, macchina fotografica o cellulare alla mano, si accalcano per immortalare quest’icona della storia dell’arte.
Sin dalla sua creazione, misteri e aspettative hanno accompagnato questo quadro straordinario. Oggi sappiamo che verso il 1503 Leonardo iniziò il ritratto di una dama fiorentina, Lisa Gherardini, moglie del mercante Francesco del Giocondo, il quale commissionò l’opera in occasione del trasferimento della famiglia in una nuova dimora, o forse dopo la nascita del secondo figlio, nel Heidelberg, furono rinvenuti alcuni appunti del fiorentino Agostino Vespucci risalenti all’ottobre del 1503. Oltre a criticare Leonardo perché non aveva completato l’opera, Vespucci scriveva che il pittore, a quell’epoca, stava dipingendo un ritratto “del busto di Lisa del Giocondo”. Grazie a queste informazioni è stato possibile scoprire una volte per tutte l’identità della donna rappresentata nell’olio del Louvre, per secoli oggetto di dibattiti. Ciononostante, in molti hanno voluto – e vogliono – continuare a ravvisare nel quadro diverse persone, senza scartare perfino un autoritratto dell’artista in vesti femminili.
UN QUADRO NOMADE.
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1503-1516
Leonardo da Vinci inizia il ritratto di Lisa del Giocondo. Un dipinto che porterà con sé a Milano e Roma e quindi in Francia, una volta entrato al servizio di Francesco I.
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1519-1797
Alla morte di Leonardo, la Monna Lisa è annessa alla collezione reale. Il quadro sarà esposto a Fontainebleau e a Versailles prima di entrare in possesso del Louvre.
La ressa dei visitatori del Louvre di fronte al dipinto di Leonardo
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1800-1804
Napoleone Bonaparte si innamora del ritratto e ordina di portarlo nella sua residenza imperiale, nel palazzo delle Tuileries, nel 1800. Dopo quattro anni il quadro torna al Louvre.
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1911-1914
Un ladro ruba il quadro e per due anni l’opera scompare, finché non viene ritrovata in Italia. Successivamente torna al Louvre dopo essere stata esposta a Firenze, Roma e Milano.
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E se non fosse Lisa Ghilardini?
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«Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di mona Lisa sua moglie»
(Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, 1550)
Lisa di Antonmaria Gherardini, detta anche Lisa del Giocondo, per matrimonio, e conosciuta universalmente come Monna Lisa o la Gioconda (Firenze, 15 giugno 1479 – Firenze, 15 luglio 1542), è stata una nobildonna italiana, appartenente all'aristocratica famiglia fiorentina dei Gherardini di Montagliari. Secondo Giorgio Vasari, Lisa Gherardini sarebbe la donna ritratta nella Gioconda (o Monna Lisa) di Leonardo da Vinci, opera commissionata all'artista durante i primi anni del XVI secolo da Francesco del Giocondo, marito di Lisa[1].
Secoli dopo la morte di Lisa, la Gioconda è diventata il dipinto più famoso del mondo ed un simbolo dell'arte occidentale[2]; inoltre, l'attenzione dei collezionisti e degli studiosi d'arte ha fatto in modo che quest'opera divenisse un'icona mondiale, oggetto di ispirazione e commercializzazione[3]. Nel 2005 Lisa Gherardini venne definitivamente identificata come il modello del dipinto di Leonardo[4
Nel corso dei secoli, molti autori hanno proposto molteplici identità per la donna dipinta da Leonardo. Dietro il sorriso più famoso della storia della pittura alcuni studiosi hanno intravisto la madre dell’artista o un uomo travestito, forse l’autore stesso. Secondo tali ipotesi, mosse dall’analisi che Sigmund Freud fece di Leonardo e dell’opera, l’artista avrebbe sublimato la sua sessualità attraverso l’arte, e sarebbe questa la ragione per cui avrebbe tenuto con sé il quadro sino alla morte. Antonio de Beatis, invece, ritiene fosse il ritratto di una donna fiorentina commissionato da Giuliano de’ Medici, e si è perciò pensato a una sua amante di origine aristocratica: Costanza d’Avalos, Isabella d’Este, Caterina Sforza o Isabella d’Aragona, tra le altre. Ciononostante nessuna di loro era fiorentina e, in virtù della loro nobiltà, difficilmente sarebbero rimaste anonime.
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Il maestro all’opera.
Nelle sue biografie degli artisti più famosi del Rinascimento, Giorgio Vasari riempie di lodi la Gioconda. Con uno stile letterario spiega pure come Leonardo da Vinci riuscì a tratteggiare il mitico sorriso della donna. “Prese Lionardo a fare per Francesco del giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie […] essendo Monna Lisa bellissima, teneva mentre che la ritraeva, chi sonasse o cantasse, e di continuo buffoni che la facessino stare allegra, per levar via quel malinconico, che suol dar spesso la pittura a’ ritratti che si fanno. Et in questo dei Lionardo vi era un ghigno tanto piacevole che era cosa più divina che umana a vederlo, et era tenuta cosa meravigliosa, per non essere il vivo altrimenti”.
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UN’OPERA TOCCANTE. La fama dell’opera si diffuse rapidamente tra chi ebbe occasione di osservarle nella bottega del pittore. Lo testimoniano le copie che se ne fecero subito, a cominciare dal disegno che realizzò Raffaello verso il 1504. Conservato anch’esso al Louvre, pare avesse ispirato il suo ritratto di Maddalena Doni, datato intorno al 1506 e simile alla Gioconda per posa della figura e composizione.
Eppure la prova più indicativa della popolarità di Monna Lisa tra i pittori del Rinascimento compare nelle vite di Giorgio Vasari, pubblicate nel 1550. Vasari, anch’egli pittore di chiara fama, si espresso con tali parole sul celebre quadro della Gioconda: “Nella qual testa (della Gioconda) chi voleva vedere quanto l’arte potesse imitar la natura, agevolmente si poteva comprendere perché quivi erano contraffatte tutte le minuzie che si possono con sottigliezza dipignere. Avvenga che gli occhi avevano que’lustri e quelle acquitrine, che di continuo si veggono nel vivo; et intorno a essi erano tutti que’ rossigni lividi et i peli, che non senza grandissima sottigliezza si possono fare [,,,]. Il naso, con tutte quelle aperture rossette e tenere, si vedeva essere vivo. La bocca, con quella sua sfenditura con le sue fini unite dal rosso della bocca con l’incarnazione del viso, che non colori, ma carne pareva veramente. Nella fontanella della gola, chi intentissimamente la guardava, vedeva battere i polsi: e nel vero si può dire che questa fussi dipinta d’una maniera da far tremare e temere ogni gagliardo artefice e sia qual si vuole”.
Di sicuro l’immediata fama del ritratto si basa su motivi ben ovvi. Secondo Vasari, la qualità dell’opera risiedeva nella veridicità, la verosimiglianza e il carattere mimetico. La vivacità della figura si spiega in buona parte grazie alla tecnica utilizzata dal Maestro, ovvero lo sfumato che, riducendo il peso del disegno, dissolve i contorni e attenua le ombre e le linee degli oggetti, i quali sembrano indefiniti per colpa dell’aria che si frappone tra l’osservatore e l’oggetto osservato. Con parole dello stesso Leonardo: “Per la quale aumentazione (dell’aria) di ombre e lumi il viso ha gran rilievo, e nella parte illuminata le ombre quasi insensibili; e di questa tale rappresentazione e aumentazione d’ombre e di lumi il viso acquista assai di bellezza”. Il ritratto di Leonardo cerca quindi di superare l’aspetto fisico del modello per addentrarsi nella sua psicologia, per mostrarne qualità e perfino virtù. Potremmo dunque affermare che il nome popolare del quadro, Gioconda, sia legato all’aggettivo giocondo, ovvero allegro, giocoso, felice?
le mani
DUE MONNE LISE? Leonardo non si liberò mai del ritratto. Lo portò con sé quando entrò al servizio di Francesco I di Francia, che lo acquistò nel 1518. Il quadro entrò a far parte della collezione reale francese, e nel 1797 fu annesso agli archivi dell’appena creato Museo del Louvre, anche se poi, nel 1800, Napoleone ordinò di trasportare l’opera nelle sue stanze del palazzo delle Tuileries, dove rimase sino al ritorno nella pinacoteca, nel 1804. Tuttavia non è chiaro se l’originale del Louvre corrisponda all’opera descritta dal Vasari. Nel 1517 il cardinale Luigi d’Aragona e il suo segretario, Antonio de Beatis, ebbero modo di osservare il quadro nella residenza francese di Leonardo, vicino al castello reale di Amboise. Secondo De Beatis, fu lo stesso pittore a informarli che si trattava del ritratto “di una certa dama fiorentina” commissionato da Giuliano de’ Medici, ragion per cui la donna dipinta sarebbe un amante di quest’ultimo.
Ma allora o Vasari o Vespucci si sono sbagliati, o i ritratti sono due. In effetti, il teorico Giovanni Paolo Lomazzo, in un testo sulle arti pubblicato nel 1584, parla di due opere diverse, indicate rispettivamente come Gioconda e Monna Lisa. Forse anche Lomazzo è in errore, eppure l’enigma ha intrigato da sempre gli studiosi. Inoltre, nella sua descrizione, Vasari pone l’accento sulle sopracciglia e le ciglia della donna; “le ciglia per avervi fatto il modo del nascere i peli nella cane, non potevano essere più naturali”, dettaglio assente nell’opera esposta al Louvre. Nel suo contiguo sperimentare, Leonardo fece scomparire alcune velature dell’opera? Forse. Oppure non si tratta dello stesso quadro.
gli occhi della Gioconda
La gemella della Gioconda nel Prado.
La Monna Lisa del Prado compare negli inventari reali spagnoli a partire dal XVII secolo e appartiene agli archivi del museo sin dalla sua inaugurazione, nel 1819. Fino al 2012 si credeva che fosse una delle tante versioni del quadro di Leonardo da Vinci, ma in quell’anno sono stati pubblicati i risultati dell’analisi compiuta durante il suo restauro durato due anni. Si è scoperto che lo sfondo nero che offuscava la tela era un’aggiunta successiva al 1750, e che sotto figurava un paesaggio identico all’originale, anche se incompiuto. Entrambi gli oli presentano le stesse dimensioni della figura e le stesse correzioni.
La Monna lisa della pinacoteca madrilena è quindi la sua più antica copia, e venne probabilmente realizzata da un bravo discepolo di Leonardo, forse Francesco Melzi o Salai, contemporaneamente all’originale e con la stessa tecnica.
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LA GIOCONDA ORIGINALE. la Monna Lisa del Museo del Prado è un tassello importante nel puzzle del capolavoro di Leonardo. Non è solo la copia più antica del quadro, realizzata da uno dei discepoli del pittore contemporaneamente all’originale; presenta pure incredibili somiglianze con la tecnica del quadro del fiorentino, tanto che sino alla seconda metà del XIX secolo l’opera fu attribuita al Maestro. Il paesaggio incompiuto e la presenza di ciglia e sopracciglia portano a credere che fu questo l’olio descritto da Vasari, il quale difficilmente avrebbe potuto vedere l’opera del Louvre, perché Leonardo la portò con sé in Francia, quando Vasari aveva solo cinque anni. Leonardo consegnò allora a Giocondo un’opera terminata da un discepolo o, invece, non portò a termine l’incarico? Sono i ritratti di due donne diverse? Quello che il cardinale d’Aragona vide in Francia rappresentava davvero un’amante di Giuliano de’ Medici? Come se non bastasse, per alcuni l’opera descritta da Vasari nel 1550 sarebbe la cosiddetta Gioconda di Isleworth o Gioconda giovane, un quadro leggermente più grande di quello del Louvre e dipinto su tela; l’opera è oggi proprietà di un consorzio privato conosciuto come The Mona Lisa Foundation, con sede a Zurigo. Sarebbe quella, perciò la vera Gioconda, mentre l’olio del Louvre risalirebbe a un periodo successivo. La donna con il paesaggio incompiuto sullo sfondo, più giovane di quella presente nei quadri di Parigi e Madrid, potrebbe essere quindi Lisa del Giocondo, mentre per le donne delle altre opere sono al vaglio diverse identità, tra cui la madre dello stesso Leonardo.
Probabilmente la Gioconda (la madre di Leonardo). (1499-1500)
Monna Lisa di Isleworth o Earlier Mona Lisa
DALL’OBLIO A ICONA. L’opera non era ancora collocata in una posizione di spicco, come oggi, bensì in mezzo a tante altre opere europee. I mezzi di riproduzione meccanica non riuscivano, forse per la tecnica leonardesca dello sfumato, a coglierne tutto lo splendore. Era comunque un’opera ben nota alla cerchia di artisti e intellettuali, e molti autori continuavano a renderle omaggio nelle loro creazioni, come Corot con la sua Donna con la perla (1868). Il terreno era fertile per la “lisamania” che scoppiò a metà del secolo tra i letterati del Romanticismo, i quali contribuirono a fare di Monna Lisa una femme fatale, dal fascino quasi magico, impassibile, “sfinge di bellezza dal sorriso ammaliante e indecifrabile” secondo Théophile Gautier. Al punto che quando l’opera venne rubata, nel 1911, gli investigatori pensarono che il ladro fosse un pazzo invaghitosi della donna. In realtà a compiere il furto fu l’italiano Vincenzo Peruggia, che credendo erroneamente che l’opera fosse stata trafugata da Napoleone, aveva deciso che doveva tornare in Italia. A portare all’acme della fama la Gioconda fu proprio il suo furto, conclusosi con il ritorno trionfale dell’opera al Louvre nel 1914. La Monna Lisa divenne una vere e propria icona culturale, riprodotta a non finire, la cui fama è sempre viva, perfino tra gli artisti. Chi non ha rivisitato la Gioconda? Non solo i maestri antichi hanno imitato e reso omaggio al quadro, ma pure i contemporanei – Léger, Duchamp, Warhol, Dalì, Botero, Banksy ed altri – si sono confrontati con quest’icona della cultura occidentale.
L’incredibile scomparsa.
lo spazio vuoto al Louvre dopo il furto.
La mattina di martedì 22 agosto del 1911, il personale del Museo del Louvre notò che la Gioconda era scomparsa. Non deve sorprendere che il giorno prima non se ne fosse accorto nessuno, perché lunedì era giorno di chiusura. Va detto pure che a volte le opere venivano spostate per fotografarle, quindi all’inizio non venne dato l’allarme. Il giorno dopo, tuttavia, la notizia del furto dell’opera di Leonardo era sulla bocca di tutti e comparve sulle prime pagine dei giornali dell’intero pianeta. All’inizio gli investigatori pensarono a un’estorsione e che il ladro avrebbe richiesto una somma per il riscatto. Ipotizzarono pure che fosse un modo per richiamare l’attenzione sulle scarse misure di sicurezza del museo. Vennero arrestati Apollinaire e Picasso, allora giovani artisti d’avanguardia, ribelli che protestavano contro le antiquate istituzioni artistiche e che, di sicuro, erano stati coinvolti nella sparizione di alcune opere. La disperazione ebbe la meglio: dove era finita la Gioconda?
Allo stesso tempo lo scandalo diede risonanza mondiale al quadro. Dopo la riapertura del museo, i curiosi facevano la fila per visitare lo spazio vuoto dove un tempo era esposto il ritratto. Il dipinto veniva riprodotto dappertutto: occupava le pagine dei quotidiani – che ogni giorno seguivano la notizia – era utilizzato come prodotto pubblicitario e sul furto si girarono alcuni film. Come afferma Rita Angelica Scotti nel suo Vanished Smile: “Monna Lisa abbandonò il Louvre come opera d’arte e vi ritornò ormai già icona”.
SALVATAGGIO E RITORNO.
Nel 1913 si era persa ogni speranza di ritrovare il quadro. La Gioconda non compariva più nemmeno nel catalogo del Louvre. Tuttavia a fine novembre uno strano evento avrebbe dato una svolta imprevista della vicenda: un certo Leonardo, che affermava di possedere il ritratto rubato, diede appuntamento al direttore della Galleria degli Uffizi e a un mercante d’arte in un hotel di Firenze. Dopo aver esaminato il quadro e averne verificato l’autenticità, questi informarono le autorità e il ladro fu arrestato.
L’identità del ladro Leonardo venne subito svelata: era l’italiana Vincenzo Peruggia, ex impiegato del Louvre che addusse una ragione politica: voleva restituire il quadro all’Italia, la sua vera patria, perché credeva che fosse una delle opere portate da Napoleone in Francia durante la campagna del XIX secolo.
Prima di tornare in Francia, l’opera fu esposta a Firenze, Roma e Milano, ricevendo l’attenzione di un nutrito pubblico. Alla fine tornò a Parigi il 4 gennaio 1914. Peruggia era solo un povero disgraziato, e non il sofisticato ladro internazionale che la gente aveva immaginato. Forse per questo uscì dalla prigione dopo soli sette mesi. Tuttavia i dubbi sulla presenza di un complice o di un ideatore hanno dato luogo a ogni sorta di ipotesi. Nel 1932 il giornalista statunitense Karl Decker affermò di aver conosciuto a Casablanca, nel 1914 un misterioso marchese di nome Eduardo de Valfierno, che gli avrebbe raccontato la vera storia del furto d’arte più famoso del secolo; il piano era realizzarne diverse copie che, fatte passare per vere, sarebbero state vendute a incauti collezionisti. La storia non fu mai provata, ma il mistero rimane.
La Gioconda in mostra nella Galleria degli Uffizi di Firenze, anno 1913. Il direttore del Museo Giovanni Poggi (a destra) controlla il dipinto
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Vincenzo Pietro Peruggia (Dumenza, 8 ottobre 1881 – Saint-Maur-des-Fossés, 8 ottobre 1925) è stato un decoratore italiano, divenuto famoso per aver trafugato la Gioconda dal Museo del Louvre nel 1911[1].
Peruggia si era nascosto in una cameretta buia del Louvre e alla chiusura tolse la Gioconda dalla cornice e poi scappò da una porta sul retro che aprì con un coltellino. Il giorno dopo gli impiegati pensarono in un primo tempo che il quadro l'avesse con sé il fotografo ufficiale, ma poi dovettero informare la polizia, che immediatamente cercò senza esito all'interno del museo, impiegando un certo tempo data la sua vastità.
Poi la notizia del furto si diffuse e i giornali francesi si scatenarono in merito alle ipotesi sulla scomparsa del quadro. Venne anche scritto fosse opera di un collezionista statunitense e che le sue intenzioni fossero di copiare il quadro, tenendo l'originale e mettendo nel museo una copia. Dopo circa due anni si trovò il colpevole: Peruggia avrebbe voluto vendere la Gioconda alla Galleria degli Uffizi per qualche milione di lire. Affermò che la sua era stata un'azione patriottica e che l'Italia avrebbe saputo valorizzare maggiormente l'opera.
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Articolo in gran parte di Jesus Pascual Molina Università di Valladolid pubblicato su Storica National Geographic del mese di agosto 2018. Altri testi e immagini da Wikipedia
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