C’era una volta l’avventura.
Quando si parla di letteratura medievale, il pensiero corre subito alle storie di dame e cavalieri. In realtà, temi e ispirazione erano più vari di quanto si possa credere e il loro influsso sugli scrittori successivi fu molto potente.
Per chi la studia a scuola, la letteratura medievale si concentra in pochi titoli, primi fra tutti i racconti delle gesta di Lancillotto e dei cavalieri della Tavola Rotonda. Le avventure cavalleresche sembrano quasi esaurire la produzione narrativa (almeno in prosa) di un’epoca durata molti secoli. Nonostante il romanzo medievale presenti, soprattutto all’inizio, alcuni elementi ricorrenti, esso viene attraversato da slanci letterari creativi di moltissimi tipi destinati a influenzare le epoche successive. Quando si tratta di attribuire la primogenitura del genere letterario romanzesco, la tradizione storiografica la individua in Francia. In quel regno, che da solo raccoglieva circa un terzo della popolazione dell’Europa Occidentale, si svilupparono importanti temi e le forme destinate a diffondersi anche nelle altre nazioni. I Franchi erano un insieme di popolazioni germaniche, dunque il loro retroterra culturale comprendeva un patrimonio orale di racconti popolati da eroi e di riferimenti a eventi drammatici ed epici; l’influsso della cultura latina e del cristianesimo aggiunse a tutto ciò uno spirito e un’attitudine particolari, ingentilendo il modo di raccontare e introducendo nuovi elementi stilistici e narrativi.
In realtà, in termini strettamente cronologici, a reclamare il merito di avere inventato il genere romanzesco dovrebbero essere gli avventurosi viaggiatori islandesi del XII secolo, ossia i Vichinghi. A supportare tale ipotesi fu nientemeno che il grande scrittore argentino Jorge Luis Borgers, il quale, nella sua opera Literaturas germanicas medievales, sembra anche suggerire che tale primogenitura sia però da considerarsi fine a se stessa: gli scandinavi, poiché erano isolati dal mondo, non avrebbero influenzato lo sviluppo del genere dell’intreccio romanzesco, che sarebbe stato nuovamente scoperto da altre culture. “Gli islandesi scorpono il romanzo, l’arte che sarà di Cervantes e Flaubert, ma questa scoperta rimane celata agli occhi del resto del mondo, sterile” scrive Borges. In effetti, gli elementi principali dei primi romanzi dimostrano che all’origine di questa forma narrativa vi è un’ispirazione comune, ossia il racconto di gesta eroiche che aveva, tra gli altri, lo scopo di celebrare un passato epico nel quale il presente vissuto dal lettore (spesso i primi romanzi venivano letti o declamati) trovava una spiegazione e una giustificazione.
Miniatura dal "Romanzo di Troia": Giasone e il drago, il rapimento di Elena e l'incendio di Troia. (1330 circa; BnF)
Le quattro anime del romanzo. Da un punto di vista stilistico e formale, bisogna segnalare il passaggio dall’uso del latino a quello delle varie lingue nazionali. Un cambiamento, questo dal quale derivò quasi naturalmente la necessità di rendere la narrazione più coinvolgente e drammatizzata, soprattutto per soddisfare un pubblico vario, composto anche da gente poco istruita, che poteva ascoltare ciò che una persona più colta leggeva ad alta voce. Abbandonando il latino degli ecclesiastici e dei notai si entrava in contatto direttamente con una grande platea, spesso poco acculturata ma non ignorante, desiderosa di ascoltare storie ricche di riferimenti storici e culturali, espresse in una forma familiare e immediatamente comprensibile. Lo scopo del romanzo era soprattutto quello di intrattenere il lettore, più che di erudirlo.
Una volta affermatosi come genere letterario, il romanzo cominciò a differenziarsi in tipologie, a seconda dell’ambientazione geografica e storica nella quale gli autori collocavano le loro storie. Tra i primi a distinguersi furono i romanzi ispirati a storie e leggende di origine greco-romana , come la Guerra di Troia (Roman de Troie, 1160-1170 ca.) e le imprese di Alessandro Magno (Roman d’Alexandre, 1130 ca.). A stimolare la fantasia degli autori e l’interesse della loro platea erano i miti antichi e le creature fantastiche che li popolavano. La stessa figura dell’eroe greco-romano viene ripresa e, a volte in modo palesemente anacronistico, adattata a quella del cavaliere. La storia e la tradizione celtiche sono invece alla base dei romanzi di ambientazione bretone: Camelot, Re Artù, il gruppo dei Cavalieri della Tavola Rotonda sono elementi che discendono da tale influsso culturale e che si mescolano con materiale proveniente da tradizioni celtiche, germaniche e bretoni.
La Chanson de Roland è raffigurata nella Cattedrale d'Angoulême
La Chanson de Roland (o Canzone di Rolando o Orlando), scritta intorno alla seconda metà dell'XI secolo, appartiene al ciclo carolingio ed è considerata tra le opere più significative della letteratura medievale francese.
Come ogni testo di natura epica, essa trae spunto da un evento storico, la battaglia di Roncisvalle, avvenuta il 15 agosto 778, quando la retroguardia di Carlo Magno, comandata dal paladino Rolando prefetto della Marca di Bretagna e dagli altri paladini, di ritorno da una spedizione in Spagna fu attaccata e distrutta dai baschi - nella riscrittura epica trasformati in saraceni
Le due principali materie.
Il ciclo carolingio e quello bretone, entrambi sorti poco dopo l’anno Mille, sono i principali protagonisti della stagione dei romanzi medievali e comprendono numerosi testi di vari autori ed epoche. Il primo compone una sorta di epica dedicata alla figura del fondatore del Sacro Romano Impero, Carlo Magno, e a quella dei suo paladini, soprattutto Orlando (o Ronaldo): è con la Chanson de Roland, alla metà dell’XI secolo, che si fa nascere la scuola del romanzo francese. I paladini di Francia si oppongono soprattutto agli islamici di Spagna, costituendo quasi una premessa alle successive Crociate in Terrasanta.
Il ciclo bretone narra invece di un sovrano mitico, Re Artù, è ambientato tra la Bretagna e le Isole Britanniche ed è più orientato verso aspetti magici e fantastici. In sottofondo, benché mascherati da simbologie e tematiche cristiane, nelle storie di cavalieri della Tavola Rotonda sono ben visibili i residui di un paganesimo ancora ricco e articolato. La materia di Bretagna prese avvio dalla Historia regnum Britanniae, scritta nel 1135 dal chierico gallese Goffredo di Monmouthm na finì per inglobare racconti e leggende di varia provenienza.
miniatura con ritratto di Merlino
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STORIE DI VIRTU’ CAVALLERESCHE. Se le fonti di ispirazione erano diverse e legate all’influsso culturale dell’ambiente nel quale videro la luce, nella loro forma più tipicamente matura i romanzi medievali presentano caratteristiche comuni, che ancora oggi li rendono facilmente riconoscibili, al di là dell’ambientazione storica. Innanzitutto, le situazioni e gli ideali descritti erano quelli cavallereschi: le scelte, le azioni, le parole dei protagonisti dovevano veicolare gli ideali cristiani e celebrare le virtù e la grandezza del paladini della fede. Anche l’amore era un elemento fondamentale, naturalmente inteso in senso strettamente cortese, ma comunque descritto in maniera tale da regalare palpiti al pubblico delle dame, che doveva immedesimarsi nelle figure idealizzate delle donne descritte nelle storie. In effetti, il coinvolgimento di un pubblico femminine sempre più vasto (le castellane del XII o XIII secolo ricevevano talvolta un’istruzione più ricca rispetto a quella dei maschi) rappresentò una sfida per gli autori e i cantastorie di corte, che dovevano tenere in debito conto le richieste di un pubblico dalla sensibilità diversa da quella virile alla quale erano stati abituati. Per quanto riguarda l’ambientazione, erano frequenti le escursioni nel mistero e anche in geografiche erano molto limitate e chi frequentava la corte spesso non si spingeva oltre i confini dei territori sottoposti alla sovranità del proprio signore. Poiché i romanzi medievali erano opere destinate in prima istanza a un pubblico cortese, nel senso proprio del termine, era naturale che i protagonisti di tali storie fossero cavalieri eroici e che gli ideali e i propositi che li ispiravano e li guidavano fossero quelli che permeavano la società e la politica dell’epoca. Essi apparivano come intrepidi difensori della cristianità, sempre pronti a riparare i torti che si presentavano loro innanzi.
Anticipazioni scultoree.
L’affermazione del romanzo medievali non è un momento importante solo all’interno della letteratura, ma rappresenta anche un evento decisivo per le arti figurative, dal momento che contribuì allo sviluppo laico della miniatura, a partire dal XIII secolo.
La decorazione dei testi con disegni in grado di descrivere le scene più significative del racconto uscì dall’ambito strettamente ecclesiastico e andò a impreziosire i volumi dedicati alle imprese cavalleresche, rendendole ancora più coinvolgenti.
La letteratura romanzesca influenzò l’arte figurativa in modo ancora più diretto nella scultura. In Italia, è il caso dei rilievi che adornano la Porta dei Leoni della basilica di San Nicola a Bari o la Porta della Pescheria del duomo di Modena, entrambe riportanti scene dal ciclo arturiano che addirittura precedono la stesura dei romanzi più importanti a essa dedicati. Queste operre scultoree possono essere considerate prove della popolarità e diffusione di cui il romanzo medievale godette fin dall’inizio della sua diffusione.
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EROI (QUASI) SENZA MACCHIA. Onore, compassione e agire disinteressato sono i valori che emergono dalle loro imprese, così come assoluta doveva essere la fedeltà al signore a cui avevano prestato giuramento (e nel quale voleva riconoscersi il signore di ogni castello in cui il romanzo sarebbe stato letto). Infine, l’eroe ideale delle storie medievali doveva essere capace di amare incondizionatamente la sua signore, nella sublimazione di quell’amore che, come abbiamo visto, era un elemento fondamentale del romanzo (caratteristica che si è conservata nei secoli) e doveva diventare uno dei motori principali della narrazione. L’amore diventava il tramite tra l’ideale trascendente sotteso nel romanzo e l’azione che si sviluppava nella trama. Il successo riscosso dal romanzo medievale, inteso come genere, travalicò gli ambiti geografici da cui erano scaturite le prime ispirazioni e spinse autori di tutta Europa a dedicar visi: anche la Spagna, il Portogallo, l’Italia e la Germania poterono vantare la propria produzione letteraria. Tra gli autori più importanti e celebrati, però, un posto d’onore spetta senz’altro al francese Chretien de Troyes, il quale, alla fine del XII secolo, rielaborò i temi del romanzo bretone, inserendovi l’elemento amoroso. E cantando le gesta di Parsifal, Galvano, Ginevra e Lancillotto, guadagnò fama imperitura. Questo genere letterario continuò a incontrare il favore dei lettori, rilanciato di volta in volta dai vari revival dell’epoca cavalleresca (come quello avvenuto a fine Trecento e così mirabilmente descritto da Johann Huizinga nell’Autunno del Medioevo) fino al Cinquecento, quando le mutate condizioni storiche e culturali, ma anche la diffusione della stampa, che rendeva possibile raggiungere un pubblico diverso, alla ricerca di forme narrative nuove e più moderne, ne decretò l’inevitabile tramonto: il Morgante di Luigi Pulci (1478) e soprattutto l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto (1516) possono considerarsi gli eredi del romanzo cavalleresco, in un periodo in cui, nelle raffinate corti italiani, sbocciavano gli ultimi fiori del mondo feudale.
A certificare la morte definitiva del genere ci penserà lo spagnolo di origine ebraica Miguel de Cervantes con il suo capolavoro Don Chisciotte della Mancia. Pubblicata tra il 1601 e il 1615, l’opera rielabora in chiave ironica e in forma satirica proprio le rappresentazioni degli ideali, dei personaggi e delle ambientazioni che avevano reso il genere romanzesco così amato e così popolare.
Chrétien de Troyes
Frontespizio del Roman de Perceval
Un’ origine “volgare”.
Quando si indaga sulle origini del romanzo, è il termine stesso a fornire un indizio fondamentale. La sua etimologia, infatti, è da ricercarsi all’interno dell’espressione latina romanice loqui, con la quale gli antichi Romani indicavano una lingua diversa da quella latina. In Francia, l’avverbio romanice venne trasformato in un aggettivo, modificato in romanz e successivamente utilizzato proprio per indicare non la lingua volgare, bensì un testo scritto in tale parlata. Solo nel Duecento il termine cominciò a essere impiegato esclusivamente in riferimento alla narrazione in prosa che oggi conosciamo come romanzo. Oggi il vocabolo ha assunto connotazioni leggermente differenti a seconda dell’ambito culturale in cui viene utilizzato.
Così, se il francese roman indica qualunque tipo di narrazione scritta strutturata, in inglese con romance si fa riferimento esclusivamente al genere medievale, oppure a una storia di argomento sentimentale e amoroso.
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Articolo in gran parte di Luigi de Forti pubblicato su Medioevo misterioso, edizioni Sprea. Altri testi e immagini da Wikipedia.
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