Morte di una dinastia.
L’ESECUZIONE DELLA FAMIGLIA IMPERIALE.
In una notte di luglio di cento anni fa l’impero dei Romanov in Russia giunse a una sanguinosa fine. Tenuti prigionieri per mesi dai bolscevichi, il deposto zar Nicola II, la moglie Alessandra e i cinque figli vennero brutalmente uccisi. Le loro morti hanno alimentato il mistero attorno al loro destino.
la famiglia Romanov
Nicola II Romanov, in russo: Николай Александрович Романов?, Nikolaj Aleksandrovič Romanov (Carskoe Selo, 18 maggio 1868, 6 maggio del calendario giuliano[2] – Ekaterinburg, 17 luglio 1918), è stato l'ultimo imperatore di Russia[3].
Il suo titolo ufficiale era «Per Grazia di Dio, Imperatore e Autocrate di tutte le Russie (in russo: Божию Милостию, Император и Самодержец Всероссийский?, B
ožiju Milostiju, Imperator i Samoderžec Vserossijskij), zar di Polonia, diMosca, di Kiev, di Vladimir, di Novgorod, di Kazan', di Astrachan' e della Siberia; granduca di Finlandia e di Lituania; erede di Norvegia; signore e sovrano di Iberia, dell'Armenia e del Turkestan; duca dello Schleswig-Holstein, delloStormarn, di Dithmarschen e dell'Oldenburg».
trono, diventando semplicemente Nicola Romanov. Con la rivoluzione in patria e il catastrofico fallimento della Prima guerra mondiale all’estero, la dinastia dei Romanov, che nel 1913 aveva festeggiato tre secoli al potere, giunse a un rapida fine. Le forze bolsceviche tennero la famiglia prigione ria, spostandola di luogo in luogo, fino a una sanguinosa notte del luglio 1918 in cui furono tutti sterminati, vittime di un destino di cui si erano rifiutati di vedere le avvisaglie.
assalto al palazzo d'inverno
Cent’anni dalla tragedia.
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MARZO 1917
Lo zar Nicola II abdica. I Romanov rimangono sotto custodia a Carskoe Selo, ma il governo di Kerensij teme che li attacchino elementi radicali.
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AGOSTO 1917
La famiglia imperiale viene allontanata da Carskoe Selo e inviata, insieme a decine di cortigiani, alla località siberiana di Tobol’sk.
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MAGGIO 1918
A fine mese tutti i Romanov si riuniscono nella Casa Ipat’ev di Ekaterinburg, dove il 30 aprile erano già arrivati Nicola Alessandra e Marija.
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LUGLIO 1918
Nella notte tra il 17 e il 18 tutta la famiglia viene assassinata nel sotterraneo della Casa Ipat’ev. I loro corpi vengono sfigurati e sotterrati in segreto.
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1979
In una fossa comune si rinvengono i resti dei Romanov. La scoperta viene mantenuta segreta fino al crollo dell’Unione Sovietica.
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2007
Un una seconda fossa vengono ritrovati i resti di Aleksej e Marija, gli unici due figli dello zar che non erano ancora stati rinvenuti.
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CON LA TESTA NELLA SABBIA. Per Nicola, salito al trono nel 1894 dopo la morte del padre Alessandro III, abdicare fu probabilmente un sollievo. Descritto come un uomo limitato e privo di immaginazione, non era adatto, né per capacità né per temperamento, a governare in tempi tanto turbolenti. Indeciso cronico, quando doveva dare un ordine, rimandava fino all’ultimo istante, per poi ripetere semplicemente l’ultimo consiglio ricevuto. Tanto che, secondo una battuta che circolava a San Pietroburgo, le due persone più potenti di Russia erano lo zar e chiunque gli avesse parlato per ultimo. Nicola credeva fermamente nel suo diritto divino di regnare, convinzione condivisa dalla moglie Alessandra. L’Ochrana, la sua polizia segreta, un’organizzazione di violenti assassini, operava impunemente. Come leader, lo zar conobbe pochi successi. Dal 1904 al 1905 combatté e perse una guerra contro il Giappone, con un conseguente calo di prestigio sia in patria che all’estero. Nel 1905 una rivolta interna lo costrinse a istituire la duma, un corpo legislativo eletto del quale limitò l’autorità prima ancora che si tenesse la sezione iniziale, nel tentativo di restare aggrappato al potere. E quando nel 1914 scoppiò la Prima guerra mondiale, Nicola guidò il suo popolo in un conflitto che avrebbe esaurito le risorse della nazione e sarebbe costato milioni di vite.
Ciononostante l’ultimo zar rimase cieco alla propria crescente impopolarità, convinto che il popolo lo amasse ugualmente. Il popolo, però, aveva opinioni diverse. La propaganda bolscevica l’aveva soprannominato Nicola il Sanguinario.
Il palazzo d’inverno a San Pietroburgo.
Nicola II e la famiglia non vivevano in quest’imponente palazzo della capitale russa, dimora degli zar dal XVIII secolo, bensì nel palazzo di Alessandro a Carskoe Selo, una trentina di chilometri di distanza. Lì Alessandra, di origine tedesca e non familiarizzata con la lingua russa, non sentiva il rifiuto che la corte manifestò nei suoi confronti fin dall’inizio. Inoltre, stare lì permise alla zarina di mantenere il segreto sull’emofolia dello zarevic, malattia che poteva impedirgli di diventare l’erede al trono.
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Nel settembre 1915, nel corso della Prima guerra mondiale, Nicola si recò al fronte per prendere personalmente il comando delle forze russe. La zarina rimase a occuparsi delle questioni interne, e l’influenza di Rasputin in patria misero il popolo russo contro lo zar e la sua famiglia. I tempi erano maturi per una rivoluzione.
La malattia dei re e i poteri del mistico.
Grigorij Efimovič Rasputin (Novych), in russo: Григо́рий Ефи́мович Распу́тин (Но́вых)? (Pokrovskoe, 21 gennaio 1869– San Pietroburgo, 30 dicembre 1916, 9 gennaio 1869 – 17 dicembre 1916 secondo il calendario giuliano[1]), è stato un misticorusso, consigliere privato dei Romanov e figura molto influente su Nicola II di Russia, in particolare dopo l'agosto 1915, quando lo zar prese il comando dell'esercito nella prima guerra mondiale.
https://it.wikipedia.org/wiki/Grigorij_Efimovič_Rasputin
L’emofilia si tramandava nella famiglia della zarina Alessandra, che la eredità dalla nonna, la regina Vittoria del Regno Unito, passandola poi al figlio Aleksej. Questa malattia genetica compromette la capacità del sangue di coagulare, facendo sì che le ferite anche lievi possano causare problemi seri. Nel caso di Aleksej, pure un piccolo colpo poteva provocare la rotua di un vaso sanguigno, scatenando gravi emorragie. Particolarmente delicate erano le se articolazioni. Lo sviluppo, negli anni cinquanta, di un agente che aiutasse a controllare le emorragie arrivò troppo tardi per Aleksej, la cui sola speranza, così credeva sua madre, risiedeva nei poteri curativi di Rasputin.
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Ritratto ufficiale della famiglia imperiale realizzato dalla Compagna Levitskij nel 1913. Da sinistra a destra, in piedi: la granduchessa Marija e la zarinaAleksandra Fëdorovna; seduti: la granduchessa Ol'ga, lo zar Nicola II, la granduchessa Anastasia, lo zarevicAleksej e la granduchessa Tat'jana.
Alla ricerca della tranquillità.
Nel luglio del
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dislocazione di Ekateinburg
GLI ULTIMI GIORNI. Gli ultimi civili a vedere i Romanov vivi furono quattro donne portate dalla città per pulire Casa Ipat’ev. Marija Starodumova, Evdokija Semenova, Varvara Driagina e una non identificata quarta domestica diedero alla famiglia un briciolo di respiro dalla noia del confino e un ultimo contatto con il mondo esterno. La testimonianza di queste donne ci ha fornito un ritratto più umano della famiglia ormai condannata. Nonostante il divieto di parlare ai Romanov, le domestiche ebbero comunque la possibilità di osservarli da vicino. All’inizio furono colpite dal contrasto dei racconti sull’arroganza della famiglia, diffusi dalla propaganda anti-zarista e le persone modeste che si trovavano davanti. Le granduchesse erano ragazze normali. Quanto al povero, fragile Aleksej, a Evdokija Semenova sembrò la personificazione della sofferenza. Come molti prima di lei, la donna fu in particolar modo colpita dai suoi occhi dolci, che trovò pieni di tristezza. I Romanov comunque furono felicissimi del diversivo. Le sorelle si precipitarono ad aiutare a sfregare i pavimenti, cogliendo l’opportunità per parlare con le domestiche a dispetto del regolamento. Semenova riuscì addirittura a dire qualche parola gentile ad Alessandra. Una delle scene che sia Semenova che Starodumova ricordarono con grande chiarezza fu quando Jurovskij si sedette accanto allo zarevic (figlio dello zar), informandosi sulla sua salute. Una scena resa sinistra, in retrospettiva, dal fatto che Jurovskij era perfettamente consapevole che a breve sarebbe stato il carnefice del bambino. I Romanov dovevano essere uccisi perché erano il simbolo supremo dell’autocrazia. Ironia della sorte era che a Ekaterinburg i bolscevichi li avevano spogliati di ogni tracci di aristocrazia. Per dirla con le parole di Evdokija Semenovoa: -“Non erano déi. Erano persone normali come noi. Semplici mortali”. La notte del 16 luglio fu inviato a Mosca un telegramma che informava Lenin della decisione di trucidare i prigionieri. All’una e trenta del mattino Jurovskij informò i Romanov che il conflitto tra le armate rossa e bianca stava minacciando la città e che, per la loro stessa sicurezza, dovevano essere trasferiti nel seminterrato.
Jakov Michajlovič Jurovskij, 1918
Una famiglia prigioniera.
Dopo l’abdicazione di Nicola II nel marzo 1917, le condizioni della prigionia dei Romanov peggiorarono progressivamente. I primi mesi li passarono nel lusso nel palazzo di Alessandro a Carskoe Selo, vicino a San Pietroburgo. Invece l’estate furono mandati a Tobol’sk, in Siberia, dove la residenza era molto più rustica, ma potevano godere di una buona accoglienza da parte dei locali. Infine, dopo che i bolscevichi salirono al potere, nella primavera del 1918, la famiglia venne trasferita a Ekaterinburg, città conosciuta per il suo fervore anti-zarista. Lì gli vennero confiscate le macchine fotografiche, ragion per cui non ci sono arrivate immagini loro nella casa in cui sarebbero stati uccisi.
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L’ULTIMA NOTTE. Non ci sono prove che i Romanov non abbiano reagito con docilità. Portando in braccio lo zarevic, Nicola guidò in cantina la propria famiglia e i quattro servitori rimasti con loro : il medico di famiglia Evgenih Botkin, la cameriera Anna Demidova, il cuoco Ivan Kharitonov e il domestico Aleksej Trupp. Riuniti tutti insieme in quel luogo angusto e spoglio, apparivano ancora ignari del proprio destino. Furono portate tre sedie per Alessandra, Nicola e Aleksej, mentre gli altri rimasero in piedi. Jurovskij si avvicinò con i carnefici dietro di lui sulla soglia e lesse ai prigionieri attoniti una dichiarazione preparata: “il praesidium del soviet regionale, adempiendo al dovere della rivoluzione, ha decretato che l’ex zar Nicola Romanov, colpevole di innumerevoli sanguinosi crimini contro il popolo, debba essere fucilato”. Quando Jurpvskij terminò la lettura, le guardie cominciarono a sparare. I racconti sono contrastanti, ma la maggioranza concorda nel dire che lo zar sia stato il bersaglio principale e che morì in seguito a diversi colpi di arma da fuoco. La zarina spirò per un proiettile sulla testa. mentre la stanza si riempiva del fumo degli spari, tutto la disciplina del plotone svanì. Le granduchesse sembravano non essere ferite dai proiettili, che erano rimbalzati sui loro corpi (si scoprì in seguito che, durante l’assalto iniziale, i gioielli tempestati di diamanti cuciti sui vesti avevano agito come un’armatura).
Uno dei carnefici, un ubriacone di nome Ermakov, perse il contro e cominciò a colpire i Romano con una baionetta. Dopo venti minuti di puro orrore, l’intera famiglia e il seguito, colpiti da proiettili, armi da taglio o a mani nude, erano tutti morti. Gli undici corpi furono trascinati fuori di casa e caricati su una camionetta. Gli studiosi ritengono che i corpi siano stati dapprima scaricati in una miniera poco profonda chiamata Ganina Jama, che i bolscevichi tentarono di far crollare con delle granate. Ma il pozzo rimase intatto, così i corpi furono portati via in tutta fretta. Lungo il tragitto la camionetta si impantanò nel fango e due corpi, che ora si crede essere quelli di Aleksj e Marija, furono gettati nella foresta. Gli altri nove furono cosparsi di acido, bruciati e sepolti in una fossa comune non molto lontano da lì.
La casa a destinazione speciale.
La casa Ipat’ev era circondata da una palizzata di legno così alta che da dentro non si riuscivano a vedere le chiome degli alberi. Alcuni giorni dopo l’arrivo della famiglia, i carcerieri tinteggiarono di bianco i vetri delle camere da letto. In quelle stanze nel mese di giugno compirono gli anni successivamente la zarina Alessandra (46), Tat’jana (21), Anastasija (17) e Marija (19). Il 14 luglio un sacerdote locale, padre Storozev, venne chiamato per celebrare la messa: fu una delle ultime persone a vedere la famiglia imperiale viva. Tre giorni dopo i Romanov e i loro quattro domestici vennero massacrati in una stanza di tre metri per quattro della “Casa a destinazione speciale”, come la chiamavano i carcerieri.
Successivamente la casa fu sede di un museo della rivoluzione e di uno anti –religioso fino a che, nel 1977, quando si avvicinava il sessantesimo anniversario della Rivoluzione d’ottobre, Boris El’cin, in quel momento capo del Partito comunista provinciale, diede ordine di demolirla per evitare che diventasse luogo di pellegrinaggio di elementi anti-rivoluzionari.
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Anastasija e la storia di Anna Anderson.
Subito dopo la morte dei Romanov si sparse la voce che alcuni di loro fossero sopravvissuti all’esecuzione. Al centro delle più famigerate rivendicazioni del patrimonio di famiglia fu Anastasija. Nel 1920 una donna, tratta in salvo da un canale di Berlino e senza documenti di identità, raccontò alle autorità di essere Anastasija, narrando una dettagliata storia di come fosse scampata al massacro. In seguito si trasferì negli Stati Uniti, cove si faceva chiamare Anna Anderson. La donna continuò a sostenere di essere Anastasija fino alla morte nel 1984. gli ultimi corpi dei Romanov furono rinvenuti nel 2007, mettendo così fine a ogni dubbio che qualcuno potesse essere sopravvissuto. La storia di Anderson affascinò il pubblico e ispirò il film Anastasija (1956) con Ingrid Bergam.
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Articolo in gran parte di Toby Saul collabora regolarmente a History e scriva di arte e storia su The times literary supplement, oltre che su altre pubblicazioni, pubblicato su Storica National Geographic del mese luglio 2018 – altri testi e immagini da Wikipedia
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