A piedi verso la vittoria.
Noi immaginiamo sempre le battaglie medievali come scontri tra guerrieri in sella a nobili cavalcature. Ma da un certo punto in avanti, sono state le fanterie a fare il grosso del lavoro, trasformando la guerra in modo radicale e portando al tramonto il mito della cavalleria.
A partire dalla metà del IX secolo, nei racconti dei contemporanei il ruolo di protagonista principale dei combattimenti terresti era riservato ai nobili cavalieri. Proprio per questa ragione, per lungo tempo gli storici sono rimasti convinti che la battaglia medievale consistesse sostanzialmente in uno scontro frontale tra formazioni opposte di cavalleria, senza particolari accorgimenti tattici se on quello di schierare i guerrieri in ordinate linee parallele, destinate a caricare una dopo l’altra, e che i fanti, in tutto questo, fossero poco più che spettatori. Quest’immagine contiene un fondo di verità, che emerge proprio dagli scritti dell’epoca. Gli estensori delle cronache medievali, di norma, sono molto avari di dettagli quando riportano avvenimenti militari in generale, e si dimostrano assai poco interessati a quelli tattici (oltre che per nulla competenti). Nella maggior parte dei casi si limitano a celebrare le gesta dei nobili cavalieri, per esaltarne la statura morale più che l’abilità bellica. Tutto il resto è relegato in uno sfondo sfocato e irrilevante.
GLI UMILI GUERRIERI APPIEDATI. Gli studiosi moderni sono giunti, però, ad altre conclusioni. Dopo aver costituito il nerbo delle armate d’epoca classica (pensiamo, per esempio, alle legioni romane), le fanterie non scomparvero affatto dagli eserciti, nemmeno in seguito alle invasioni barbariche. La loro funzione, tuttavia, divenne secondaria, di appoggio alla cavalleria pesane, che era costituita dai nobili e dai loro accompagnatori, non aristocratici ma anch’essi a cavallo. Indubbiamente il fante feudale dell’alto Medioevo era molto meno addestrato e peggio equipaggiato del cavaliere, per il quale la guerra rappresentava lo scopo stesso della vita. D’altra parte, tra i due vi era una differenza altrettanta netta in termini di status sociale, che sul campo di battaglia si traduceva in una pesante sudditanza psicologica degli uomini a piedi nei confronti dei loro avversaria cavallo. Per i cavalieri era quasi umiliante combattere contro avversari di ceto inferiore: non c’era gloria a uccidere un plebe, e nemmeno si poteva pretendere un riscatto dalla sua cattura. Il rischio di rimanere uccisi o feriti dai fanti era assi remoto, vista la differenza nella preparazione militare e nell’equipaggiamento, ma non poteva essere eluso del tutto. Gli uomini a piedi, che costituivano il seguito di ciascun cavalieri, raggruppati alle sue spalle in un’unica massa, si limitavano ad attendere che lo scontro si risolvesse a favore dell’una o dell’altra schiera e raramente venivano coinvolti. I fanti assistevano il loro signore fornendogli una lancia di ricambio, andando occasionalmente in suo soccorso se lo vedevano in percolo e trascinandolo in salvo qualore fosse disarcionato. Inoltre, nel loro insieme, costituivano una sorta di baluardo umano nel caso in cui i cavalieri si trovassero o in difficoltà e fossero costretti a ripiegare, per riorganizzarsi attorno agli stendardi oppure per abbandonare il campo di battaglia. Perché le cose cambiassero dovettero passare secoli, durante i quali la fanteria riacquistò faticosamente fiducia nei propri mezzi, contendendo alla cavalleria una supremazia militare a cui era indissolubilmente legata la sua supremazia sociale. Mettere in crisi la superiorità dei nobili a cavallo comportava il rovesciamento di un modo e l’inizio di una nuova epoca.
spade medievali
La guerra medievale è la guerra nel Medioevo europeo. Sviluppi tecnologici, culturali e sociali resero inevitabile una vistosa trasformazione nel carattere della guerra come veniva praticata nell'antichità, cambiando le tattiche ed il ruolo della cavalleria ed artiglieria[1]. Simili schemi bellici esistevano in altre parti del mondo.
In Cina attorno al XV secolo gli eserciti passarono da una struttura imperniata su masse di fanteria al modello di forze armate che avevano il proprio nerbo nella cavalleria, ad imitazione dei popoli nomadi della steppa. Il Medio Oriente ed il Nordafrica usavano metodi ed equipaggiamenti simili a quelli europei, e si verificò un considerevole scambio di tecniche e di tattiche fra le due culture. È opinione piuttosto diffusa che il Medioevo in Giappone si sia protratto fino al XIX secolo. Analogamente in Africa - nel Sahel e nel Sudan stati come il regno di Sennar e l'impero Fulani impiegarono tattiche ed armi medievali per tutto l'Ottocento.
Le armi contadine.
Falci o falcetti, forconi, roncole da potatura, coltelli da macellazione: comuni attrezzi contadini capaci di trasformarsi, con pochi semplici accorgimenti, in armi letali. Le prime milizie feudali si armarono così, adattando alle necessità della guerra gli oggetti del lavoro quotidiano. Qualche volta era sufficiente staccare la parte metallica dal manico di legno originario per sostituirlo con uno più lungo e solido, in altri casi occorreva un piccolo intervento del fabbro, ma il risultato era un’arma immediatamente utilizzabile per la difesa dei campi dagli attacchi di nemici a cavallo.
L’esperienza in combattimento servì a migliorare l’efficacia di questi strumenti, trasformandoli in armi raffinate. Asce e accette, per esempio, da sempre utilizzate anche in guerra divennero più grandi e, corredandole con un puntale nella parte superiore, divennero le antenate delle alabarde, capaci di colpire anche di stocco e non soltanto con il fendente.
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IL COSTO DEI CAVALIERI. Com’è facile intuire, una simile organizzazione recava in sé un aspetto estremamente negativo: coinvolgere in una campagna militare un gran numero di bocche da sfamare, per di più prive di una significativa utilità bellica, era del tutto antieconomico. Ed era altrettanto svantaggioso far ricadere tutto il peso su un’unica componente. A maggior ragione se questa risultava la più costosa in termini economici e la più importante dal punto di vista politico e sociale, al punto che la perdita dei suoi membri rischiava di mettere in ginocchio la comunità.
Secondo la logica militare era dunque inevitabile che le cavallerie cercassero di dotarsi di un supporto di buoni ed economici fanti, cosa che infatti avvenne, anche nel pieno del loro periodo dominante. In particolare, esse prediligevano i lancieri, addestrati a formare un minaccioso istrice capace di intimidire i cavalli degli avversa e di contrastarne le fanterie, e i tiratori, in grado di colpire dalla distanza. L’unico limite di questa organizzazione era dettato dalla disponibilità finanziaria , peraltro aggrava dalla scarsa circolazione monetaria: le truppe più professionali erano mercenarie e anche le formazioni feudali dovevano essere pagate se la loro ferma proseguiva oltre i doveri imposti dai vincoli di sudditanza.
Battaglie importanti come quella di Hastings (vedere riquadro sotto), che nell’ottobre del 1066 diede al normanno Guglielmo il Conquistatore la corona d’Inghilterra, ci ricordano che la vittoria sul campo era spesso figlia di un’efficace cooperazione tra cavalleria e fanteria. Ma non dobbiamo dimenticare che gli avversari anglosassoni di Guglielmo erano una forza di sola fanteria e, anche se alla fine furono sconfitti, affrontarono la battaglia convinti di poterla vincere. Nel corso di una campagna bellica, le fanterie avevano molte occasioni per rendersi utili, anzi indispensabili: svolgevano lavori gravosi che avrebbero affaticato i cavalieri; erano preziosi quando si trattava di contestare al nemico terreni proibiti alla cavalleria come paludi, boschi e zone accidentate, e in ogni altra missione in cui usare un uomo a cavallo sarebbe risultato eccessivamente dispendioso; infine, visto l’importante ruolo degli assedi in epoca medievale, durante i quali anche i cavalieri dovevano combattere smontati, erano le fanterie a costituire l’arma principale del combattimento. Tutti questi motivi, nel corso dei secoli, si sarebbero rivelati decisivi per riportare la fanteria al ruolo che aveva avuto durante l’antichità: quello di regina dei campi di battaglia.
L’arazzo di Bayeux e la battaglia di Hastings.
Ecco cosa racconta l’arazzo, una foto d’epoca.
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IL VIAGGIO DI HAROLD.
Dopo un viaggio durante il quale attraversa il canale della Manica il re inglese Harold II arriva nella Picardia francese retta da Guy de Ponthieu, che lo cattura. Ci sono diverse versioni di questo viaggio: da quella di Harold che andava in Francia per discutere della successione al trono inglese fino a quella di una battuta di caccia e pesca, durante la quale naufragò davanti alle coste francesi. In ogni caso l’arazzo mostra Harold che giura sulle sane reliquie la sua fedeltà al duca Guglielmo prima di fare ritorno in Inghilterra.
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LO SBARCO NORMANNO.
I Normanni varano navi, caricano armi e vino e Guglielmo – deciso a prendere il trono inglese – attraversa il mare a bordo di una grande nave. I cavalli sbarcano e i cavallerizzi normanni vanno ad Hastings alla ricerca di foraggio e viveri. Guglielmo ordina di fortificare l’accampamento normanno stabilito ad Hastings e riceve notizie sui movimenti di Harold. Sull’arazzo si vedono i soldati arringati da Guglielmo che lasciano Hastings per scontrarsi con il re Harold.
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La battaglia è già iniziata e in questa scena muoiono Leofwine e Gyrth, fratelli di Harold. I soldati di entrambi gli schieramenti si scagliano uno sull’altro in massa e in molti muoiono; in questo frammento dell’arazzo i Normanni abbattono la scorta reale sassone. In questa scena figura anche la morte del re inglese. Si ritiene che la freccia conficcata nell’occhio di Harold, così come viene mostrata nell’arazzo potrebbe simbolizzare il tradimento di Harold al suo giuramento di fedeltà a Guglielmo. Questo documento unico fu ricamato con lane colorate su tela di lino nell’XI secolo, misura oltre
seo dell’arazzo di Bayeux.
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La battaglia di Hastings e i nuovi eserciti continentali.
L’esercito sassone del re Harold II si accampò al tramonto del 13 ottobre 1066 sulla collina di Caldbec, a circa
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Colpire da lontano.
gruppo di arcieri in posizione di battaglia
I tiratori erano la componente della fanteria più importante per la cavalleria feudale, ma anche la più difficile da procurarsi. Un’efficace milizia di arcieri richiedeva un lungo e costante addestramento, mentre per creare una formazione di balestrieri serviva una popolazione benestante, in grado di dotarsi dell’arma (costosa) e di mantenerla efficiente. Spesso, quindi, i tiratori erano mercenari o prerogativa dei borghi o dei contadi più ricchi, che in molti casi erano proprio gli avversari dei signori feudali, a cui i tiratori fornivano un supporto utile. Quando la cavalleria doveva combattere appiedata era relativamente poco numerosa e orientata a impegnarsi in combattimenti corpo a corpo, nei quali le sue armature e il suo addestramento facevano la differenza.
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L’ORGOGLIO DEI COMUNI. Le forze che rovesciarono l’egemonia della cavalleria nobile in favore dei fanti maturarono all’intero dei ceti borghesi e plebei. All’alba del nuovo millennio, la messa a cultura di nuovi territori e il loro sfruttamento sempre più intensivo ed efficace, il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e la crescita demografica svilupparono, nel tempo, conseguenze importantissime, destinate a cambiare in modo profondo la società europea.
Per quanto rigido e ben strutturato, il sistema feudale celava infatti alcuni elementi di debolezza interna che attendeva solo di essere sfruttati da ceti in cerca di affermazione e di crescita nella scala sociale medievale.
Antiche usanze germaniche sopravvissute per secoli, come i pascoli comuni o i giudici eletti dagli uomini liberi,avevano tenuto in vita, sotto la cenere, la brace di una coscienza collettiva, capace di riaccendersi a difesa di questi e di altri diritti acquisiti. Inoltre, alcune località ininfluenti nel gioco politico, perché remote, povere o difficilmente accessibili, avviarono spontaneamente forme di autogoverno che nessun potere feudale si diede la pena di contrastare. In aggiunta a ciò, in certe provincie sparse per tutta l’Europa i vincoli feudali erano stati allentati intenzionalmente: re e imperatori avevano un interesse specifico a sottrarre al dominio di feudatari inaffidabili il controllo di aree strategiche, assumendone personalmente il controllo. Anzi, più in generale il processo di costruzione di realtà nazionali e l’affermazione delle monarchie assolutiste richiedeva necessariamente un indebolimento dei feudatari in favore dell’instaurazione di un rapporto diretto tra il sovrano e il suo popolo. Quando però il potere politico entrava in crisi e si indeboliva in modo sostanziale, come avvenne in modo eclatante nel caso del conflitto fra Chiesa e Impero a cavallo tra XI e il XII secolo, quei pochi casi isolati presero sempre maggiore vigore, fino al punto da trasformarsi, nel loro insieme, in un fenomeno dirompente e sempre più imitato. La libertà e l’indipendenza così guadagnate, seppure in modi tanto diversi, divennero motivo d’orgoglio, dando origine a cambiamenti politici e sociali che si dimostrarono benefici anche dal punto di vista economico. Borghesi e contadini, cresciuti di numero, diventavano forti, ricchi e sempre più consapevoli del proprio ruolo e delle proprie ambizioni.
Sul campo di battaglia, tutto questo si traduceva in una forza morale e organizzativa capace di resistere fieramente alla carica dei cavalieri e sconfiggerli in combattimento. Tali imprese avevano ben poco a che fare con le innovazione nelle tecnologie militari,dipendendo invece da fattori umani: autostima, solidarietà di gruppo, coraggio e motivazione a distinguersi in battaglia. Una carica di cavalleria, anche in campo aperto, non era irresistibile: i cavalli sono animali dotati di buon senso e si fermano di fronte agli ostacoli, come le formazioni serrate di fanti. Contrapponendo alla lancia del cavaliere un’arma altrettanto lunga oppure imparando ad arroccarsi in un muri di scudi, un uomo a piedi poteva attendere la carica con ragionevoli speranze di potervi resistere e infliggere perdite anche gravi all’avversario.
Il trecento, il secolo della svolta.
Lo schieramento delle truppe fiamminghe durante la battaglia degli speroni d'oro- Incisione sul baule di Oxford.
Nel corso della prima metà del Trecento, armate di borghesi e contadini composte quasi elusivamente da fati riportarono decine di vittorie sulle cavallerie nobili feudali, determinando così la fine della loro secolare supremazia sui campi di battaglia. Le fanterie vincevano indipendentemente dalle armi che imbracciavano, solamente in virtù della straordinaria solidità e della determinazione acquisite. A Courtrai, l’11 luglio 1302, i fiamminghi si dimostrarono abili nella scelta di una buona postazione difensiva, da cui furono in grado di respingere i ripetuti assalti della cavalleria francese, facendone strage. A Boroughbridge,il 16 marzo 1322, le fanterie inglesi sconfissero i baroni ribelli schierandosi a difesa di un ponte e di un guado con picchieri al centro e arcieri sui fianchi, e resistendo così a numerose cariche di cavalleria. A Vottem, il 18 luglio 1346, la cavalleria dell’Hainault caricò frontalmente le milizie cittadine di Liegi e venne sconfitta, nonostante i fanti fossero armati solamente di armi corte, descritte nelle cronache come “asce, martelli di ferro,di piombo, bronzo e acciaio.
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L’ADDESTRAMENTO E’ TUTTO. L’impresa, però, richiedeva preparazione e addestramento: una massa di cavalieri al trotto faceva tremare il terreno, il fragore ritmico degli zoccoli dei cavalli era assordante, la vista di quegli uomini coperti di ferro che si avvicinavano veloci a lance spianate era terrorizzante. Bastava un minimo sbandamento, anche un solo uomo spaventato che cercava di sottrarsi allo scontro, e il panico si diffondeva come il fuoco nell’erba secca: un varco si apriva nella formazione e i cavalieri ne approfittavano con risolutezza, per allargarlo fino a trasformarlo in una voragine. Gli stessi animali si trasformavano in armi, che travolgevano con la loro massa chiunque opponesse resistenza. A quel punto per i fanti era la fine, perché dall’alto delle loro possenti cavalcature che li ricoprivano, i cavalieri erano ormai in vantaggio e potevano farli letteralmente a pezzi. Se però le schiere appiedate rimanevano compatte, la coesione e la determinazione dei fanti no vacillava, il coraggio non li abbandonava e la voglia di uccidere il nemico cresceva con il suo avvicinarsi, allora la situazione tattica si ribaltava ed erano i cavalieri a trovarsi nei guai.
La combinazione fra urto e tiro rappresentava una formula vincente. I legionari romani l’avevano impiegata alla perfezione: la conquistarono il mondo conosciuto scagliando il pilum a breve distanza per poi aggredire il nemico corpo a corpo con il gladio. In epoca medievale le fanterie si specializzarono, con le truppe da mischia nettamente distinte da quelle da tiro. Le due tipologie compensavano vicendevolmente i loro punti di debolezza, esaltando al contempo elli di forza: i tiratori avrebbero protetto i commilitoni da quelli degli avversari, ingaggiandoli alla distanza, e avrebbero tentato anche di indebolire le fanterie da mischia nemiche. Analogamente, le fanterie pesanti avrebbero difeso quelle leggere, attendendo il momento propizio per intervenire e decidere le sorti della battaglia.
Uno schema tattico apparentemente semplice ma di applicazione complessa, che doveva risolvere problemi come la proporzione tra fanteria pesante e leggera, i movimenti di supporto reciproco, la tempistica delle rispettive funzioni.
L’apoteosi della picca.
Combattimento tra picchieri in un'incisione di Hans Holbein il Giovane
Metodo di impiego della picca in combattimento
Il passaggio fondamentale dalla guerra medievale a quella rinascimentale fu rappresentato dall’avvento della picca, che smise di essere la principale arma da mischia delle formazioni di fanteria, diventarne l’unica. L’uso della lancia estremamente lunga (fino a
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IL CARROCCIO CHE FECE EPOCA. Guglielmo il Conquistatore, nella già citata battaglia di Hastings, trovò difficoltà a sfondare il muro di scudi degli anglosassoni, benché costoro fossero armate di asce e non di armi particolarmente lunghe. E se alla fine il normanno riuscì nel suo intento lo dovette principalmente all’ottimo lavoro svolto dai suoi umili arcieri. Al contrario, lo storico insuccesso riportato a Legnano, nel 1176, dall’imperatore Federico Barbarossa (sconfitto in Italia, dopo un ventennio di guerre, anche a causa del fallimento dei precedenti assedi di Ancona e Alessandria) si dovette prima di tutto alla testarda pervicacia con cui provò a umiliare i Comuni lombardi con la sua cavalleria nobile, anziché sgretolarne gradatamente la resistenza grazie ai tiratori plebei. La fermezza dei fanti lombardi stretti attorno al Carroccio avrebbe conosciuto un numero sempre maggiore di imitatori nei secoli successivi, in particolare dagli inizi del Trecento. Nella prima metà di quel secolo, infatti, le vittorie delle fanterie sulle armate di cavalleria non furono più casi isolati ed episodici, ma divennero sempre più frequenti: il tramonto della cavalleria come arma dominante del campo di battaglia era inesorabilmente avviato.
Il secolo precedente era stato contrassegnato, oltre che dal generale miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, dal consolidarsi di un’economia basata sulla moneta. L’aumento della valuta circolante aveva permesso ai feudatari, ma anche ai borghesi, di reclutare un numero maggiore di soldati professionisti, e anche di tenere a ferma più lunga le armate locali. Tutto ciò rispondeva all’esigenza di svolgere campagne militari di più lunga durata, anche nei periodi di raccolto, oppure di presidiare in modo permanente piazzeforti e luoghi considerati strategici.
L’Europa che si affacciava al Rinascimento non aveva ancora smesso di coltivare con orgoglio il mito della cavalleria, ma era ormai evidente che affidasse le sue guerre ai fanti.
ARTICOLO IN GRAN PARTE PUBBLICATO SU MEDIOEVO MISTERIOSO SPREA EDITORI, ALTRI TESTI E IMMAGINI DA WIKIPEDIA. E NUMERO SPECIALE STORICA NATIONAL GEOGRAFIC I REGNI CRISTIANI E LE CROCIATE
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