giovedì 13 settembre 2018

La battaglia di Azio fine di una guerra fratricida


Battaglia di Azio (31 a.C).
La fine di una guerra fratricida.
La Repubblica romana nel 43 a.C. dopo gli accordi del secondo triumvirato:
Ad Azio andò in scena l’ultimo grande scontro della guerra civile della Repubblica, combattuta tra Marco Antonio e Ottaviano. Dopo la vittoria di quest’ultimo per Roma niente fu come prima.



Il 2 settembre del 31 a.C. nelle acque di Azio andò in scienza l’ultima grande battaglia combattuta  dalla Repubblica, nonché lo scontro chiuse definitivamente il lungo quindicennio di guerre civili che avevano insanguinato Roma. A fronteggiarsi furono Gaio Giulio Cesare Ottaviano, figlio adottivo di Giulio Cesare, e Marco Antonio, uomo politico assai spregiudicato, con il quale lo stesso Ottaviano era entrato in un decisivo conflitto dopo che questi, ad Alessandria, aveva nominato eredi dei territori orientali di Roma i figlia avuti da Cleopatra VII, regina d’Egitto e sua amante. Il conflitto tra i due aveva in realtà radici ben più profonde. Entrambi, insieme a Marco Emilio Lepido, avevano dato vita nel 43 a.C. al secondo triumvirato su imitazione di quello creato anni prima da Cesare, Pompeo e Crasso, allo scopo di stabilizzare la Repubblica, ripiombata nel caso dopo la fine violenta dello stesso Cesare. Tra gli obbiettivi del patto c’era anche quello di dare la caccia ai cesaricidi. Ma una volta eliminati questi ultimi a Filippi (42 a.C.) ed essersi spartiti i territori dominati dalla Repubblica, i tre iniziarono a sperimentare i primi screzi. Ottaviano si trovò dapprima ad affrontare e ad eliminare, l’ultimo anticesariano, l’ambizioso Sesto Pompeo, poi dovette fronteggiare lo stesso Lepido, il quale ruppe il patto per reclamare il possesso della Sicilia, che riteneva di suo appannaggio. Ottaviano però riuscì rapidamente ad aver ragione dell’avversario, sicché tutto il potere rimase concentrato nelle sue mani, per quanto concerneva i territori in Occidente, e di Marco Antonio, che invece aveva rivolto i suoi interessi verso Oriente.
sua alleanza con Antonio era sempre stata dubbia e poco stabile, mentre le loro continue riconciliazioni altro non erano che momentanei accomodamenti. Alla fine si giunse alla rottura definitiva. E per meglio dimostrare che Antonio non era più degno di essere cittadino romano, Ottaviano aprì il testamento dello stesso Antonio, da lui lasciato a Roma, e lo lesse davanti all’assemblea, dove designava come suoi eredi anche i figli che aveva avuto da Cleopatra”. Il conflitto divenne inevitabile: nel 31 a.C. Antonio, ormai ritenuto dai Romani un traditore, venne dichiarato nemico pubblico e Ottaviano, ottenuto il consolato, dichiarò guerra a Cleopatra, che nel frattempo si era sposata in Grecia con il amante.
 Marcus Antonius - Celopatra 32 BC 90020163.jpg

CLEOPATRAE REGINAE REGVM FILIORVM REGVM, testa con diadema a destra.ANTONI ARMENIADEVICTA, testa verso destra e sullo sfondo una tiara armena.
21 mm, 3.45 g, coniato nel 32 a.C.








UNA FLOTTA IMPONENTE. Lo scontro decisivo avvenne davanti al promontorio di Azio, nella Grecia occidentale. Il 2 settembre la flotta romana e quella d’Egitto si distesero l’una di fronte all’altra, in due semicerchi. Ottaviano schierava circa 400 navi, tra cui 260 veloci liburne, che facevano il loro esordio in tal frangente; la flotta di Antonio e Cleopatra aveva invece a disposizione circa 480 navigli di cui 300 forniti dalla regina egiziana, quasi tutte quadriremi e quinqueremi, navi di grandi dimensioni ben più pesanti e meno manovrabili rispetto alle agili e snelle imbarcazioni romane. Ottaviano dispose il fedele Marco Vipsanio Agrippa costituire l’ala sinistra seguiva al centro, Lucio Arrunzio e, infine, sulla destra, l’ala di Marco Lurio. La flotta egiziana schierava invece nell’ala sinistra Gaio Sosio, al centro Marco Ottavio e Marco Insteio, infine sulla destra Marco Antonio insieme a Lucio Publicola. In mezzo, appena dietro le navi di Ottavio, andò a posizionarsi Cleopatra a bordo della nave ammiraglia Anonias, accompagnata da 26 o,barcazopmo egizie.
La battaglia iniziò verso mezzogiorno, quando Sosio all’improvviso mosse le sue navi verso Mezzogiorno in direzione dell’isola di Leuca. Non è chiaro perché Sosio operò questo repentino spostamento: secondo alcuni storici, l’ordine fu dato da Antonio, secondo altri, al contrario, l’ammiraglio aveva intenzione di ritirarsi abbandonando il comandante romano al suo destino. Comunque sia, l’azione di Sosio diede modo ad Agrippa di applicare la tattica che aveva pensato per la battaglia: portare lo scontro in mare aperto in modo da sfruttare l’agilità delle liburne romane per attaccare le ben più onuste e lente imbarcazioni egiziane, e averne così ragione facilmente. Lurio, che si trovava di fronte a Sosio, iniziò così a retrocedere molto lentamente verso il mare aperto, imitato da Agrippa sul lato opposto, nella speranza di indurre il nemico a seguirlo. Arrunzio, invece rimase in posizione al centro dello schieramento fermo davanti a Ottavio.

L’arma segreta di Agrippa: l’arpagone.

Ad Azio si rivelò vincente, oltre all’impiego delle liburne, un congegno perfezionato da Agrippa nella battaglia di Nauoloco (36 a.C.) combattuta contro Sesto Pompeo: l’arpagone (harpago). Utilizzato per l’abbordaggio delle navi nemiche, era un grosso arpione di ferro, lanciato da una catapulta contro la fiancata della nave nemica e alla cui estremità era legato un grosso cavo ricoperto di metallo per impedire che venisse tranciato. Una volta arpionata, la nave poteva essere facilmente rimorchiata e poi abbordata dai fanti di marina, che sbarcavano sul ponte e vi ingaggiavano battaglia come se si fossero trovati sulla terraferma. L’arpagone si rivelò più leggero e maneggevole del corvus, (vedi battaglia di Capo Encomo su questo blog), una passerella lunga 10 metri e larga poco più di uno che aveva fatto il suo esordio con successo, nel III secolo a.C. durante la prima guerra punica.

  
Il tentativo di attirare le due ali nemiche in mare aperto, tuttavia, fallì. Volendo perseverare nel piano, a quel punto Agrippa decise il tutto per tutto e accelerò bruscamente verso il largo: stavpòta Publicola abboccò e decise di inseguirlo, abbandonando lo schieramento e costringendo Ottavio, rimasto immobile al centro, a spostarsi in fretta verso nord per coprire il buco e tenere unita la formazione. Nello spostamento, però, Ottavio fu attaccato da Arrunzio, che lo bloccò costringendolo alla lotta. Cleopatra, che era posizionata sul retro di Ottavio, avrebbe potuto sfruttare lo spazio creatosi al centro dell schieramento per attaccare a sua volta con tutte le navi: tuttavia non lo fece, anzi decise di ritirarsi. Accortosi della fuga dell’amante, Antonio perse la testa e abbandonò a sua volta la posizione per inseguirla, lasciando i suoi uomini nel bel mezzo della battaglia. L’atteggiamento del comandante fu duramente stigmatizzato dai contemporanei: se Plutarco commentò laconicamente che “Cleopatra lo riconobbe e lo fece salire sulla sua nave, dove Antonio restò a prua, solo, in silenzio”, Velleio Patercolo sentenziò che i soldati, non essendosi inizialmente accorti della clamorosa diserzione di Antonio, “si comportarono come il migliore dei comandanti, mentre il comandante agì come il più vile dei soldati”.

AUGUSTUS RIC I 267-2370391.jpg
Testa di Augustoverso destra;La rappresentazione di un arco di trionfocon quadriga e la scritta IMP CAESAR, eretto per la
Argento, 20 mm, 3.47 gr, 1 h; zecca di Roma? coniato nel 30-29 a.C.

La liburna.
Navis cetera, con due ordini di rematori, costruita sul modello delle imbarcazioni dei pirati liburni. Più leggera della trireme e con maggiore mobilità.
Prendeva il nome dalle navi usate dai pirti Liburni della Dalmazia, imbarcazioni molto leggere e veloci, con uno o al massimo due ordini di remi. Le liburne comparvero per la prima volta nelle flotte romane in occasione della battaglia di Azio, dimostrandosi determinanti per la vittoria, e da allora entrarono a far parte in gran numero delle flotte romane, al punto da diventare sinonimo di nave da guerra.
La vela era di forma quadrata, inferita (ossia legata) a un pennone orizzontale e i suoi spigoli inferiori erano tesati mediante scotte legate sul ponte o al pennone inferiore.
Lo scafo era lungo 20-23 metri. La liburna contava di solito due ordini di remi, ma potevano arrivare a sei.
Caratteristiche tecniche:
lunghezza: 30 m.
larghezza dello scafo: 5m.
pescaggio medio: 1 m.
propulsione: due ordini di rematori per lato
interscalmo: 80 cm.
equipaggio ai remi: 60-80
equipaggio di governo: 8-10
fanti imbarcati: 50
velocità: 8 nodi  

Le fasi della battaglia.



Lo schieramento: le due flotte si schierano l’una di fronte l’altra a semicerchio, suddivise in due linee. L’ala sinistra di Ottaviano è comandata da Marco Vipsanio Agrippa, quella destra da Marco Lurio, con al centro le navi di Lucio Arrunzio. Marco Antonio rispnde collocandosi sulla destra insieme a Lucio Publicola; la sua ala sinistra obbedisce a Gaio Sosio, mentre il centro è affidato a Marco Ottavio e Marco Insteio, dietro il qulesi posizione Cleopatra a bordo della nave ammiraglia Antonias, accompagnate da altre 26 imbarcazioni egizie.
FASE 1 – Le flotte restano immobili fino a mezzogiorno, quando all’improvviso Sosio dà ordine alle sue navi di muoversi verso sud in direzione dell’isola di Leuca. In risposta Lurio, seguendo gli ordini di Agrippa, inizia a retrocedere verso il mare aperto, seguito dallo stesso Agrippa sul lato opposto dello schieramento. Resta invece fermo il centrodi Arrunzio. Lo stesso fanno gli egiziani: Publicola e Antonio, sulla destra, e Ottavio al centro, a loro volta immobili a loro posto.
FASE 2 – Fallito il tentativo di attirare le due ali in mare aperto, Agrippa accelera improvvisamente verso il largo. Publicola decide di inseguirlo abbandonando lo schieramento, e costringendo Ottavio, al centro, a spostarsi verso nord per tenere unita la formazione. Viene però a scontrarsi con Arrunzio che lo blocca. A questo punto Cleopatra potrebbe sfruttare lo spazio creatosi al centro dello schieramento per attaccare a sua volta, invece scappa attirando con sé Antonio che abbandona clamorosamente la battaglia per inseguirla.
FASE 3 – Sfruttando la superiorità numerica   e la maggiore agilità, le navi romane attaccano le più pesanti imbarcazioni avversarie e le arpionano con l’arpagone; poi una volta abbordate vi trasferiscono i fanti ingaggiando battaglia sui ponti. Antonio e Cleopatra, incalzati dal futuro imperatore, poco dopo si suicidano.



Via dei Fori Imperiali: statua di Augusto, replica moderna dell'originale classico in

LA PRIMA PROVINCIA IMPERIALE. Il ritiro di Cleopatra (con le sue navi) e di Antonio lasciò lo schieramento egiziano, che aveva già sopportato varie perdite, in inferiorità numerica di fronte al nemico: i Romani a quel punto misero in atto la tattica elaborata da Agrippa e iniziarono ad attaccare la flotta avversaria sfruttando la grande leggerezza e manovrabilità, che oltretutto consentiva loro di evitare agevolmente i tentativi di speronamento egiziani. L’arma vincente, oltre alle liburne (che da quel momento in poi avrebbero decretato il rapido tramonto delle grandi navi da guerra come le quadriremi o le quinqueremi) si rivelò l’arpagone (harpago) una sorta di grande arpione di ferro perfezionato dallo stesso Agrippa, che agganciava le navi e ne consentiva il facile abbordaggio: dopo di che sui ponti poteva ingaggiarsi la battaglia da parte della fanteria come se si fosse sulla terraferma. Soverchiati dalla superiorità romana nel corpo a corpo, gli egiziani dovettero soccombere, mentre Antonio fu costretto a subire, oltre all’umiliazione della sconfitta, anche quella di vedere, nell’agosto successivo, tutta la sua flotta e le truppe passare dalla parte di Ottaviano che aveva appena invaso l’Egitto. Il resto è noto: incalzati dall’avversario, prima Antonio e poi Cleopatra si tolsero la vita, lasciando Ottaviano padrone dell’Egitto. La vittoria di Azio e la conquista di quella che sarebbe diventata di lì a poco la prima provincia imperiale diedero a Ottaviano un prestigio enorme perché non solo scrissero la parola fine sull’ultima guerra civile repubblicana, ma permisero a Roma di unificare l’intero bacino del Mediterraneo, che ora diventava un lago romano o Mare Interum. Due successi che lo fecero salutare come un padre della patria e gli aprirono la strada verso il principato, chiudendo l’epoca repubblicana e sancendo l’inizio di quella imperiale.


Articolo in gran pare di Elena Percivaldi pubblicato su LE GRANDI BATTIGLIE NAVALI, Sprea Editori, altri testi e foto da wikipeida.   

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