giovedì 13 settembre 2018

La battaglia di Salamina

La battaglia di Salamina.
LA VITTORIA CHE CAMBIO’ IL MONDO.

Fu uno dei scontri più cruciali di sempre. Se i Persiani non fossero stati sconfitti dai Greci, la regione ellenica e il Mediterraneo avrebbero acquisito un’identità differente sotto l’influenza orientale.


La flotta persiana si apposta fuori dallo stretto, mentre quella ateniese è ancora ancorata sulle coste di Salamina
La flotta persiana entra nello stretto di Salamina o la notte prima della battaglia, come detto da Aristide, o il mattino prima dello scontro (per approfondire, vedi le varie ipotesi sullo schieramento della flotta persiana)


Dopo che i Corinzi si sono allontanati verso nord, i Greci sfondano la linea persiana e dividono l'esercito avversario
Mentre i Corinzi stanno facendo ritorno, un'azione combinata di Ateniesi ed Egineti infligge seri danni ai Persiani in disordinata fuga verso il Falero


La battaglia che si combatté di fronte a Salamina, nelle acque dell’Egeo, il 23 o il 24 settembre del 480 a.C. è stata universalmente giudicata una delle più importanti di tutti i tempi. La maggior parte degli studiosi ha sempre ritenuto, infatti, che se quel giorno le forze della lega panellenica non fossero riuscite a fermare le preponderanti armate del re persiano Serse I, la storia d’Europa sarebbe stata assai diversa: anziché infatti, gettare i presupposti che avrebbero favorito il clima di libertà delle poleis, culla dell’arte e del pensiero greco poi irradiatosi in Occidente, la conquista persiana della Grecia avrebbe portato l’intera regione ellenica e buona parte del Mediterraneo sotto diretta influenza orientale, con conseguenze incalcolabili e, comunque, determinando la formazione di un’identità del tutto differente da quella che invece conosciamo.

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 Immagine satellitare dell'isola di Salamina: lo stretto è lo specchio d'acqua che si trova al centro, dei cui accessi quello di destra fu teatro dello scontro.


Busto di Temistocle, capitano della flotta greca 

Temistocle del demo di Frearri (in greco anticoΘεμιστοκλῆςThemistoklês, "Gloria della legge"[1]Atene, tra il 530 e il 520 a.C. – 459 a.C. circa) è stato un politico e militare ateniese.

Tra i primi politici di spicco della giovane democrazia di Atene, condusse una politica a favore del popolo, ricevendo perciò il supporto delle classi meno abbienti della città, e generalmente in contrasto con le famiglie nobili. Elettoarconte nel 493 a.C., fu l'artefice della potenza navale di Atene, la cui flotta diventerà la più grande e potente di tutta l'antica Grecia.

UNA MINACCIA INCOMBENTE. La battaglia di Salamina fu uno degli episodi chiave della seconda guerra persiana, che seguiva il fallimentare tentativo, iniziato da Dario I pochi anni prima e infrantosi nel 490 a.C. a Maratona, di sottomettere l’Ellade al potere achemide. Morto Dario, il figlio Serse ne ereditò il progetto e la missione e nel 480 a.C. si preparò a invadere la Grecia alla testa di un immenso esercito, quantificabile intorno alle 700.000 unità ma da alcuni studiosi moderni portato, decurtando un po’ le cifre fornite dallo storico greco Erodoto, principale fonte relativa agli eventi, a superare il milione e mezzo di uomini.
Nella primavera del 480 a.C. l’armata persiana attraversò l’Ellesponto e marciò in direzione della Tessaglia, attraversando la Tracia e la Macedonia. Gli Ateniesi, temendo l’arrivo dei nemici, già da due anni stavano preparando, per volontà del generale Temistocle, una flotta ma il numero di uomini e di risorse non era certo sufficiente per sperare di far fronte allo sterminato esercito persiano. Alla fine del 480 a.C. si tenne a Corinto una grande riunione dei rappresentanti delle poleis greche: delle circa settecento città-stato, solo un decimo mandò i propri legati. Alcune città (la più importante fu Argo) nel frattempo si erano arrese o sottomesse all’incombente nemico ormai alle porte, mentre la maggior parte (tra cui Tebe) non superò lo scetticismo imperante  e preferì restare neutrale in attesa dell’esito dello scontro, che propendeva sulla carta decisamente a favore dell’invasore. L’assemblea di Corinto, a ogni modo, si chiuse con 31 poleis, tra cui Atene e Sparta, che accettarono di unirsi in una lega superando le reciproche diffidenze e i conflitti che spesso caratterizzavano lo scenario politico locale. Anche Egina, isola con cui Atene aveva in corso una contesa commerciale, alla fine aderì alla coalizione.

Erodoto il maggior commentatore della battaglia di Salamina


IN ATTESA DEL NEMICO. l’avanzata terreste di Serse fu, inizialmente, fermata dalla valorosa resistenza del re spartano Leonida nello stretto passaggio delle Termopili, che insieme a un piccolo esercito riuscì, pur finendo massacrato, a rallentarne un po’ l’azione; poi però, aggirato l’ostacolo attraverso un sentiero di montagna e avuta ragione della retroguardia greca, l’esercito persiano poté gettarsi sulla Beozia e l’Attica e arrivare ad Atene, incendiando la città e massacrando i pochi che non avevano voluto evacuare sulla dirimpettaia isola di Salamina, situata nell’attuale golfo Saronico. Mentre le forze di Serse dilagavano sulla terraferma, la sua flotta veniva fermata presso Capo Artemisio da quella panellenica: quest’ultima, però, una volta giunta la notizia della disfatta alle Termopili dovette ripiegare al sud verso Salamina. Nel tentativo di contenere la pressione nemica, i Greci furono inoltre costretti ad allestire una seconda linea difensiva all’altezza dell’istmo di Corinto, che venne fortificato per chiudere al nemico la via del Peloponneso; e lì in effetti molti greci volevano ripiegare anche con la flotta, credendo più saggio avvicinarsi all’esercito terrestre in quanto ritenevano troppo esposta la posizione di Salamina. A ciò si oppose fermamente Temistocle, il qule non poteva certo permettersi di lasciare alla mercé del nemico gli ateniesi rifugiatisi sull’isola. le navi elleniche, dunque, rimasero ferme a Salamina e qui attesero la battaglia ormai imminente, anche perché i Persiani avrebbero dovuto cercare presto lo scontro se volevano procedere con la conquista, essendo estremamente problematico pensare di mantenere un esercito così numeroso lontano dalla base con l’autunno alle porte.
Relief of Xerxes at Doorway of his Palace, Persepolis, Iran.jpg

Serse I (in greco antico: Ξέρξης, trasl.Xérxēs, in persiano antico: 𐎧𐏁𐎹𐎠𐎼𐏁𐎠, Khšāyāršā, lett. "regnante sugli eroi";519 a.C. – 465 a.C.) è stato re di Persia e di Egitto dal 485 a.C. al 465 a.C. Viene generalmente identificato con il re persiano Assuero nel libro biblico di Ester, una delle sue mogli.

Le tre fasi della battaglia.
Lo schieramento. 
I persiani inviano una parte delle navi alleate egiziane a posizionarsi dalla parte opposta dell’isola, così da bloccare un’evenutale fuga nemica. La flotta viene invece schierata su tre linee in questo modo: sulla destra (più vicina alle coste dell’Attica) i navigli fenici, a sinistra (dalla parte di Salamina) quelli ioni, al centro le navi cilicie, licie e il resto delle imbarcazioni egizie. I Greci schierano invece su due linee sulla destra le navi spartane e corinzie guidate da Euribiade, mentre il resto della flotta, comandata da Temistocle, vede al centro i vascelli di Megara e Calcis e sulla sinistra, verso la riva dell’Attica, le triremi ateniesi.

Fase 1 – L’attacco persiano.
I Persiani attaccano entrando nello stretto. I Greci arretrano leggermente per raggiungere una posizione più vantaggiosa e attendere il favore della brezza mattutina. Poi, però, secondo la leggenda perché esortati dalla visione di una divinità, invertono la rotta.

Fase 2 – L’attacco greco.
I Greci attaccano speronando le triremi persiane con i rostri, e ne rovesciano e affondano parecchie. Le acque iniziano a ricoprirsi di relitti e uomini in mare, rendendo difficoltose se non impossibili le manovre della flotta nemica, che si trova imbottigliata a causa dell’esiguità dello spazio a disposizione e dei detriti.

Fase 3 – La vittoria greca.
Le navi persiane ancora integre, ormai completamente bloccate e circondate da quelle greche, vengono assaltate dalla fanteria oplitica imbarcata, che abborda i navigli e vi sbarca dando vita a furiosi corpo a corpo. Alcune navi di Serse si ritirano. Al termine della battaglia, i persiani hanno perso circa 200 triremi, gli elleni solo 42. serse è costretto a ritirarsi e il suo piano d’invasione e conquista della Grecia fallisce.


La Olympias, ipotesi congetturale di ricostruzione di una trireme ateniese. Museo della marineria antica al porto del Falero.

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LE FORZE IN CAMPO. In base alle fonti antiche, Temistocle aveva a disposizione 310 navi (secondo Eschilio, che prese parte alla battaglia e dedicò alcuni versi all’evento nella tragedia I Persiani) a 380 (cifra fornita invece da Erodoto nelle sue Storie); di queste la maggior parte – circa 130, ma per Erodoto addirittura 180 – erano ateniesi. Si trattava in massima parte di triremi, ossia di navi con tre file di rematori disposte sulle due fiancate dello scafo, ma erano presenti anche alcune pentecontere, caratterizzate dalla presenza di 50 vogatori disposti in un unico ordine, 25 per lato, sui due fianchi. Serse dal canto suo poteva contare su una quantità di navigli di molto superiore, pur volendo considerare simbolico (ed eccessivo) il numero di 1000, più 207 più veloci delle altre, la stima oggi maggiormente accettata delle forze messe in mare dai persiani si aggira dalle 600 alle 800 triremi, oltre alle navi da trasporto. Molto difficile stimare le forze di fanteria imbarcate, che potrebbero ammontare rispettivamente a circa 22mila unità per i Greci (si trattava di opliti armati in maniera pesante) e dai 75mila ai 200mila per i Persiani. Il comando della flotta greca era stato formalmente assegnato dalla lega panellenica allo spartano Euribiade, tuttavia il capo de facto si rivelò Temistocle anche perché gli Ateniesi avevano fornito, come accennato il maggior numero di navi alla spedizione.

LIBERARE LA TERRA DEI PADRI. Nell’ultima decade di settembre, l’armata persiana partì dal porto ateniese del Falero ed entrò, nottetempo, nello stretto che separa l’isola di Salamina dalle coste dell’Attica. Le navi si posizionarono lungo una linea che dall’isola ora di San Giorgio si estendeva verso il promontorio di Cinosura, accerchiando così virtualmente la flotta greca posta nella baia di Ambelaki. Una parte delle navi di Serse si dispose poco oltre, tra Salamina, l’isola di Psttallia e la costa attica, in modo da chiudere ogni via di fuga, così come un altro gruppo di navi, che facevano parte del contingente egiziano alleato, fu inviato dalla parte opposta a serrare il Canale di Megara. I Greci si accorsero tardi che i Persiani erano in posizione di 
combattimento, ma anziché perdersi d’animo si schierarono a loro volta. All’alba del giorno 20 boedromione – il terzo mese del calendario attico – ossia secondo le ipotesi più accreditate il 23 o 24 settembre 480 a.C. la battaglia iniziò con gli elleni intonanti il loro inno di guerra, che secondo Eschilo suonava così: “Avanti, figli della Grecia, liberate la terra dei padri, liberati i vostri figli, le vostre donne, gli altari dedicati agli déi dei vostri avi, e le tombe dei vostri antenati: ora c’è la guerra per tutte le cose”. I Persiani si stupirono del coraggio dei nemici ma confidarono sulla loro schiacciante superiorità numerica: tanté che Serse, certo della vittoria, aveva addirittura fatto allestire il proprio trono sulla cima di una collina costiera per godersi in santa pace lo spettacolo. I Persiani invece dovettero accorgersi ben presto che il loro numero soverchiante, lungi dal costituire un vantaggio, in realtà li penalizzava: lo spazio a disposizione nel braccio di mare, infatti, era troppo stretto e i margini di manovra inesistenti per così tante navi tutte insieme, sicché le stesse rischiavano continuamente di cozzare le une contro le altre ancora prima di arrivare a misurarsi con gli avversari. La situazione, insomma, era simile  a quella che via terra Serse aveva sperimentato alle Termopoli: i suoi erano in tanti, ma rischiarono di rimanere schiacciati in uno spazio angusto che ne vanificava il vantaggio numerico. Sulle prime i Greci arretrarono leggermente, vogando all’indietro forse per poter raggiungere una posizione ritenuta più vantaggiosa, ma poi – leggenda vuole per la comparsa di una divinità femminile che li esortò a procedere – decisero di avanzare e attaccare il nemico con tutta la forza che disponevano. Le triremi greche furono spedite in avanti e affondarono i loro rostri negli scafi nemici, in alcuni casi ribaltandoli, ma il più delle volte creando danni tali causandone il rapido affondamento. In questo modo le triremi greche non solo neutralizzarono l’offensiva della prima linea avversaria, ma causarono un vero e proprio ingorgo di vascelli semidistrutti che impedirono alle sopraggiungenti seconda e terza linea persiana qualsiasi margine di manovra. Procedendo, i vascelli di Serse si trovarono imbottigliati nella mischia: i Greci ebbero così buon gioco ad affondarli oppure ad abbordarli, facendovi sbarcare i propri opliti e ingaggiando con la fanteria persiana furiosi combattimento corpo a corpo. I più animosi in battaglia furono proprio gli Ateniesi, i quali avevano l’intenzione di vendicare la loro città distrutta e i propri concittadini massacrati dagli invasori, per cui gettarono il cuore oltre l’ostacolo e si batterono come leoni.
Diekplous vs. abbordaggio.
Una delle tattiche più utilizzate nelle battaglie navali antiche era il diekplous, adottato in questo periodo dai Persiani e in parte dai Greci dell’Asia.  Si trattava di un attacco a colonna compiuto nei confronti della linea centrale nemica: la nave capofila, una volta raggiunto il naviglio avversario, anziché puntarlo direttamente per speronarlo virava all’improvviso  passando di fianco allo scafo e ne tranciava i remi. A questo punto, immobilizzata, la nave colpita poteva essere speronata da quella seguente. Per eseguire efficacemente questa complessa manovra era necessario possedere rematori ben addestrati e perfettamente sincronizzati, e soprattutto un naviglio abbastanza leggero e manovrabile. Le navi greche impiegate a Salamina erano troppo onuste per usare questa tattica e optarono per lo speronamento, che viceversa risultava più efficace grazie al maggior peso dello scafo lanciato. Il tonnellaggio superiore garantiva anche una miglior resistenza ai venti e ne caso la nave venisse speronata  a sua volta. La ragione della grande stazza delle triremi greche dipende, probabilmente, dalla presenza a bordo degli opliti, che erano fanti armati in maniera   pesante.

UN’INCREDIBILE SCONFITTA. Vistasi a quel punto quasi perduti, i navigli della Fenicia e di Cipro iniziarono a ritirarsi verso il Falero. Secondo lo storico Diodoro Siculo, la ritirata delle unità che erano ritenute le migliori scatenò il panico nello schieramento persiano e l’emulazione degli altri navigli superstiti, che dunque si diedero alla fuga in maniera disordinata, secondo Erodoto addirittura lottando e ostacolandosi tra loro. Molti di essi, tuttavia, furono intercettati e neutralizzati dalle navi di Egina, che si erano mosse a sbarrare loro la strada. Le sorti della battaglia furono così segnate. Al termine dello scontro, Serse aveva perso circa 200 triremi, mentre sul fronte greco i navigli affondati erano soltanto una quarantina. Moltissimi Persiani, inoltre, stando ad Erodoto, erano affogati durante le  fasi di speronamento perché, a differenza dei Greci che, pur caduti in mare si salvarono a nuoto, non sapevano nuotare. Il re persiano non volle assistere fino in fondo alla propria incredibile sconfitta: quando si era accorto che la battaglia era persa, aveva lasicato il suo trono per rientrare al campo e meditare il da farsi. La déblache di Salamina inflisse un duro colpo al prestigio del sovrano e lo indusse, dopo le successive e altrettanto decisive sconfitte a Platea e Micale (479 a.C.), a rinunciare a ogni proposito di conquista della Grecia.

Articolo in gran parte di Elena Percivaldi  pubblicato su LE GRANDI BATTAGLIE NAVALI editore Sprea. Altri testi e immagini da Wikipedia.





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