La battaglia di Trafalgar (1805)
La spettacolare vittoria britannica sui francesi che infranse i sogni di Napoleone di costruire una grande flotta e confermò la supremazia navale che il Regno Unito aveva stabilito già nel corso del XVIII secolo.
Il 20 ottobre del 1805 al largo di capo Trafalgar, promontorio spagnolo a ovest di Gibilterra, sotto il micidiale tiro dei cannoni della Royal Navy, si infranse nel sangue l’ambizioso progetto di Napoleone Bonaparte di creare una grande potenza navale francese, presupposto necessario per forzare il Canale della Manica e sbarcare nelle Isole Britanniche. D’altro lato,la vittoria consegnò all’Inghilterra l’indiscusso predominio sui mar, un potere che Londra avrebbe orgogliosamente imposto al mondo intero per tutto l’Ottocento e fino alla Prima guerra mondiale. Gli eventi che portarono alla resa dei conti tra le due superpotenze presero le mosse, nel maggio 1803, dalla rottura del trattato di Amines, l’accordo siglato l’anno prima da Francia e Inghilterra che aveva chiuso le guerre rivoluzionarie e, negli auspici, avrebbe dovuto garantire l’Europa un lungo periodo di pace. Il patto invece si rivelò niente di più che un fugace armistizio. Sul fronte commerciale, Napoleone non solo non allentò le politiche protezionistiche stabilite dal Direttorio contro i prodotti inglesi, ma inasprì oltremisura i dazi doganali sulle merci provenienti dalle colonie; mentre sul piano politico usò la temporanea pace per allargare l’influenza francese sulla Svizzera e gli Stati tedeschi. Allarmato dal crescente espansionismo dei rivoluzionari, il governo britannico si convinse dell’impossibilità di una pace duratura e rifiutò di abbandonare Malta, come previsto nelle more della pace di Amiens, chiedendone anzi ufficialmente il possesso per dieci anni. Pur senza una formale dichiarazione di guerra, nel maggio 1803 la rottura delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi riaprì di fatto il conflitto.
I LIMITI DI NAPOLEONE IN MARE. Forte della sua superiorità numerica e tecnica, la Royal Navy provvide immediatamente a bloccare i porti francesi e a danneggiare il commercio di Parigi con le colonie; Napoleone dal canto suo rimise mano al vecchio progetto di invasione dell’Inghilterra e cominciò ad ammassare truppe, l’Armeé di Angleterre, al campo di Boulogne, sulla Manica, e a predisporre la costruzione del naviglio necessario all’impresa. D’altra parte Londra, che era a conoscenza del piano, posi di fronte ad ogni porto militare un blocco navale e mantenne una riserva lungo la Manica. All ’aquila corsa, che ne frattempo aveva incassato la discesa in campo della Spagna contro l’Inghilterra (alcuni bastimenti di Madrid erano stati catturati dai britannici), serviva un diversivo per alleggerire la pressione inglese e dare il via all’agognata invasione. Nel maggio del 1805, il novello imperatore ruppe gli indugi e ordinò all’ammiraglio Pierre de Villeneuve, comandante della flotta, di uscire da Tolosa per raggiungere le Antille. Questa manovra doveva attirare le navi inglesi a inseguirlo e allontanarsi dalla Manica; successivamente, Villeneuve avrebbe dovuto tornare indietro, con una rotta diversa dall’andata, con l’obiettivo di ricongiungersi alle flotte francesi e spagnole per prendere così il controllo del Canale. E qui Napoleone, geniale stratega terreste, mostrò tutti i suoli limiti come ammiraglio. Una flotta non è una formazione di artiglieria che può essere mossa sul terreno con agilità e prontezza; soprattutto, il mare ha incognite che il terreno non presenta: venti, correnti e difficoltà di comunicazione possono influire sull’esito di un piano al di là della sua iniziale validità. Villeneuve attraversò inutilmente l’Atlantico inseguito dalla flotta dell’ammiraglio inglese Horatio Nelson, quindi fece ritorno in Europa ma si batté con gli inglesi del contrammiraglio Robert Calder nella battaglia del Capo di Finistere, lungo la costa Nord della Spagna: uno scontro minore che vide i francesi perdere due navi, ma soprattutto impedì loro il progettato accesso alla Manica per scortare l’Armée nell’invasione. Ricongiuntosi con gli spagnoli, il 22 agosto Villeneuve arrivò nel porto di Cadice, al largo del quale incrociavano i vascelli di Nelson che, a questo punto, cessato l’allarme sulla Manica, avevano il compito di impedire l’accesso dei francesi al Mediterraneo.
Pierre Charles Jean Baptiste Sylvestre de Villeneuve (Valensole, 31 dicembre 1763 – Rennes, 22 aprile 1806) fu un ammiraglio francese, comandante la flotta franco-spagnola alla battaglia di Trafalgar.
Proveniva da una famiglia aristocratica della Provenza con antiche tradizioni militari. Uno dei suoi antenati aveva lottato con il paladino Orlando contro i mori in Spagna[1] ed un altro, membro dell' entourage del Re d'InghilterraRiccardo I Cuor di Leone, era morto nelle Crociate.[1]
IL GENIO DI NELSON. Nel frattempo, infatti, la situazione nell’Europa continentale era mutata. Visto che le forze riunite nella terza coalizione (Inghilterra, Austria e Russia) erano in procinto di sferrare un attacco terreste, Napoleone aveva deciso di trasferire in massa l’esercito, ribattezzato la Grande Armée , da Boulogne al fronte del Reno e del Danubio e ordinato alla flotta di lasciare Cadice e raggiungere Napoli per sbarcarvi le fanterie di Marina da impegnare in terra. Il 20 ottobre, con vento favorevole, Villenevue mollò gli ormeggi con rotta sud-est verso lo stretto di Gibilterra. Nelson per invogliarlo a scoprirsi aveva simulato una forte diminuzione dei vascelli che bloccavano il porto e l’ammiraglio francese, mosso non solo dagli ordini ma anche dall’orgoglio ferito del comandante accusato in patria di scarsa audacia, cadde in trappola.
Il giorno seguente, all’alba, la flotta inglese lo intercettò nelle acque di Trafalgar e cominciò una delle più importanti battaglie della storia navale di tutti i tempi. L’ammiraglio Nelson poteva contare su un totale di 27 vascelli, 6 fregate, 16810 uomini e 2164 cannoni; Villeneuve contava 18 vascelli, 7 fregate, 112500 uomini e 1326 cannoni. Ma l’apparente vantaggio numerico non poteva bastare a colmare il divario francese in termini di esperienza marinare degli ufficiali e di una lunga preparazione degli artiglieri. Altro elemento che risultò decisivo fu la capacità degli inglesi di sparare da ogni cannone un colpo al minuto (quindi in 60 secondi un vascello da 100 cannoni poteva riversare sul bersaglio 50 colpi dal suo fianco impegnato), mentre francesi e spagnoli sparavano con tempi almeno doppi se non tripli.
Il resto lo fece il genio di Nelson, o per meglio dire il tocco di Nelson, come lo stesso ammiraglio inglese lo battezzò, e che a Trafalgar rivoluzionò le tradizioni tattiche fino ad allora in uso nelle battaglie tra grandi velieri e adottò uno schieramento innovativo poi risultato vincente. Mentre Vielleneuve fece assumere alla sua flotta la classica formazione di linea – una lunga fila di circa cinque miglia, intervallando navi francesi e spagnole a distanza di circa trecento metri – il suo rivale schierò la flotta su due colonne quasi perpendicolari rispetto al nemico: quella di sinistra, con 11 vascelli e la sua Victory in testa; quella di destra, forte di 15 navi in linea, condotta dalla Royal Sovereign al comando dell’ammiraglio Cuthbert Collingwood. Queste due colonne avevano il compito di sfondare il blocco francese al centro per distruggere le ammiraglie nemiche; gli inglesi avrebbero poi affrontato una nave avversaria alla volta, dal centro alla retroguardia, prima che l’altra metà potesse intervenire. Se i vantaggi erano consistenti, non di meno lo erano i fattori di rischio. Il piano, infatti, avrebbe esposto al fuoco del nemico le prime navi delle due colonne d’attacco, senza possibilità di difesa, per quasi mezz’ora. Per ridurre al minimo lo svantaggio, Nelson decise di svolgere l’avvicinamento iniziale, fino al contatto con l’avversario, alla massima velocità.
Le fasi della battaglia.
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FASE 1: POSIZIONAMENTO.
Flotta franco spagnola
Alle otto del mattino del 21 ottobre l’ammiraglio francese Villeneuve ordina alle navi, giunte al largo dello scoglio di Trafalgar, di invertire la rotta e puntare verso nord in direzione di Cadice. L’avanguardia è al comando del francese Dumanoir-Lepelley sul Formidable (94 cannoni); al centro si trovano lo stesso Villeneuve sul vascello ammiraglio Bucentaure (80 cnnoni) e don Cismeros Vicente sul Santisima Trinidad (130 cannoni); segue subito dietro l’ammiraglio spagnolo don Alava sul Santa Ana da 112 cannoni; chiude la fila la retroguardia agli ordini di Gravina sul Principe de Asturias (112 cannoni).
Flotta inglese
Gli inglesi provengono da ovest suddivisi in due colonne parallele, una settentrionale, guidata da Victory dell’ammiraglio Nelson, e comprendente 11 vascelli, e una meridionale, guidata dal Royal Sovereign di Collingwood, composta da 15 vascelli.
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FASE 2: ATTACCO INGLESE.
A partire da mezzogiorno, e per circa mezz’ora, i franco-spagnoli hanno nel proprio campo di tiro le navi ammiraglie inglesi dirette a tutta velocità contro la colonna nemica. Ma il tiro dei napoleonici causa pochi danni e alla 12 e 20 il Royal Sovereign passa di poppa alla Santa Ana e la devasta con l sue batterie. Identico destino tocca anche al Fougeux. Più tardi
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FASE 3 INFURIA
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FASE 4: INSEGUIMENTO INGLESE ED EPILOGO.
Le sorti della battaglia sono segnate e i vascelli inglesi, rinvigoriti dalla vittoria a portata di mano, si gettano all’inseguimento delle navi nemiche in fuga. Poco prima delle cinque del pomeriggio l’esplosione del vascello francese Achille decreta la fine dello scontro. L’alleanza franco-ispanica ha perso 17 vascelli e oltre 10mila uomini tra caduti e feriti, mentre da parte loro gli inglesi contano solamente 456 morti e 1153 feriti, senza alcun vascello perduto o inutilizzabile. I vincitori di Trafalgar tentano persino di rimorchiare alcuni dei battelli francesi catturati, ma un’improvvisa tempesta li costringe ad abbandonare l’impresa.
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Vascello di prima classe a tre ponti dalla lunghezza di circa
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COMPIERE IL PROPRIO DOVERE. Nelle prime ore del mattino del 21 ottobre le due flotte si avvistarono. Sulla condotta dell’ammiraglio Villeneuve il dibattito è ancora aperto. Resta da stabilire se avesse compreso per tempo la tattica di Nelson, e provveduto a disinnescarla programmando di accerchiare le due file inglesi e serrarle in una tenaglia. Per farlo avrebbe dovuto contare sul perfetto coordinamento delle due estremità della flotta, chiamate a convergere sulle ammiraglie inglesi e con un vento più sostenuto. Invece la battaglia si combatté praticamene al rallentatore in una situazione di bonaccia e, mentre la retroguardia spagnola rispose agli ordini convergendo sul centro, l’avanguardia francese, comandata dal contrammiraglio Dumanoir Le Pelley, lo fece in ritardo, salvo poi fuggire di fronte alle navi inglesi. Gli ordini di Villeneuve arrivarono per tempo o soltanto quando la situazione era ormai compromessa? Sulla risposta a questa domanda ruota ancora oggi la valutazione del suo valore di ammiraglio, che oscilla dall’esaltazione a ìl vituperio.
Alle 11,45, in procinto di iniziare la battaglia, Nelson issò sulla Victory il galvanizzante segnale a bandiere “England expects that every man will do his duty (l’Inghilterra si aspetta che ogni uomo compia il proprio dovere”), accolto con entusiasmo dagli equipaggi. Poco prima di mezzogiorno e per circa mezz’ora le navi franco-spagnole ebbero nel proprio campo di tiro le due navi capofila inglesi, dirette su di loro, e iniziarono a sparare unilateralmente, causando però pochi danni. Alle 12 e 20 il Royal Sovereign perforò per primo la linea nemica, scaricando una micidiale bordata attraverso le vetrate poppiere del vascello spagnolo Santa Ana. I 50 colpi a doppia palla sparati dalla murata sinistra del vascello britannico spazzarono longitudinalmente i ponti del vascello spagnolo come un uragano e causarono un massacro. Intanto Nelson, con la colonna settentrionale, accostava provvisoriamente verso nord per simulare un attacco su rotte parallele, stratagemma che mantenne l’avanguardia francese sotto l’allarme della falsa minaccia, impossibilitata a fornire soccorso al centro della fila in tempo utile per sovvertire l’esito della battaglia.
Lord Nelson ferito a morte e sorretto dal cappellano Alexander Scott insieme con i medici Neil Smith e William Beatty durante la battaglia di Trafalgar
Lo svantaggio francese: i perché della sconfitta.
Napoleone privilegiò sempre le truppe di terra, condannando
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La déblache di Tralfagar sembrò all’inizio soltanto una parentesi sfortunata nella scintillante parabola di Napoleone; le forze dell’imperatore ottennero infatti poco dopo brillanti vittorie sugli austriaci a Ulm, con la successiva presa di Vienna e, su austriaci e russi ad Austerlitz. La battaglia però produsse numerose conseguenze a lungo termine e in retrospettiva si può dire che fu la condizione necessaria, anche se non sufficiente, per la sconfitta finale di Napoleone e dei suoi sogni di egemonia sull’Europa.
Articolo in gran parte di Mario Galloni pubblicato su LE GRANDI BATTAGLIE NAVALI Sprea Editori. Altri testi e immagini da Wikipeida.
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