Il Tebano che sconfisse Sparta.
Fu un incredibile innovatore militare, artefice di tattiche e strategie che furono decisivi per le vittorie dei tebani sui campi di battagli. Ecco perché Cicerone lo definì “il più grande uomo della Grecia”.
Epaminonda (in greco antico: Ἐπαμεινώνδας, Epameinóndas; Tebe, 418 a.C. – Mantinea, 362 a.C.) è stato unpolitico e militare tebano.[1]
Grazie ad Epaminonda, Tebe uscí dal dominio di Sparta, assurgendo ad una posizione di maggior grado nella politica greca: egli sbaragliò la potenza militare spartana con la sua vittoria a Leuttra e liberò gli Iloti della Messenia, un gruppo di abitanti del Peloponneso che era stato schiavo degli Spartani fin dalla sconfitta nelle guerre messeniche dell'VIII secolo a.C.
Tra i libri non arrivati fino a noi de Le vite parallele di Plutarco ce n’è uno la cui perdita fa piangere il cuore degli storici militari: quello che mette a confronto le vite di Epaminonda e di Publio Cornelio Scipione, l’Africano. Due grandi comandanti che Plutarco potessero reggere solo l’uno il confronto dell’altro, e fossero altrimenti incompatibili. Il generale tebano Epaminonda ha lasciato scarsissime tracce di sé nei documenti storici, tanto che è sconosciuta persino la sua data di nascita, ma ciononostante quel poco che sappiamo di lui è stato sufficiente a far dire a Cicerone che fosse “il più grande uomo della Grecia” e a Montaigne che era “uno dei tre uomini più valorosi ed eccelsi che il mondo abbia mai conosciuto”. Epaminonda fu un grande innovatore militare sia in materia tattica sia strategica. È con lui che la tattica travalica il concetto di movimenti delle singole unità sul campo di battaglia, per ampliarsi fino a comprendere la battaglia stessa. E altrettanto grande fu come stratega, sconfiggendo e cancellando dalla storia la maggiore potenza militare che il mondo avesse fino allora conosciuto: Sparta.
Nel 378 a .C. Tebe e Atene si erano unite in una guerra contro Sparta, potenza egemone in Grecia dal 404 a .C., anno della fine della Guerra del Peloponneso. Un nuovo, ennesimo conflitto tra Greci, il cui unico effetto fu di dissanguare le già provate risorse delle opposte fazioni, in particolare quelle delle eterne rivali Sparta e Atene. Quest’ultima, infatti, sosteneva il peso della dispendiosissima guerra marittima, mentre la prima consumava le proprie forze in inconcludenti schermaglie di confine e per di più costretta a disperdere i propri preziosi opliti in estenuanti presidi di occupazione. L’unica a trarne beneficio, almeno dal punto di vista politico, era Tebe, che stava riguadagnando l’antico ruolo di potenza e ambiva a ottenere questo riconoscimento riunendo nuovamente sotto di sé la Lega Beotica (una federazione di poleis della Beozia, una regione storica della Grecia). Proprio nel 378, Tebe, con l’aiuto di Atene, si era liberata della dominazione spartana, inanellando da allora una serie di vittorie contro i celebrati opliti lacedemoni: scontri di piccola entità, ma che pure avevano conferito grande prestigio all’esercito tebano, nella battaglia di Tegira nel 375, quando i 300 appartenenti alla Banda sacra tebana, la prima formazione d’élite permanente greca, avevano sconfitto ben 1800 Spartani.
L’intervento della diplomazia persiana aprì la possibilità di porre fine all’inconcludente spargimento di sangue: colloqui di pace, che Sparta e Atene accolsero senza indugi, concordando però una clausola di autonomia dalla quale convennero di escludere tutte le altre parti: Tebe per prima. E così ciascuna città minore dovette siglare singolarmente il trattato. Per Tebe questo significò la fine della Lega Beotica. In diplomazia non possono esserci ripensamenti, eppure Epaminonda, un Beotarca, ovvero uno dei comandati eletti che guidavano l’apparato militare tebano, convinse la sua delegazione a rimangiarsi la parola e a pretendere che il giuramento di Tebe avesse valore anche per tutte le città della Beozia. Tebe offriva a Sparta un invitante pretesto per una nuova aggressione e la potenza lacedemone ne approfittò intimando ai Tebani un ultimatum: o la firma o la guerra. E fu la guerra. A Sparta si era compreso che non era da Atene, pur con le sue inesauribili risorse economiche, a provenire il pericolo maggiore ma da Tebe. Tebe non pagava mercenari, ma confidava sul proprio piccolo esercito composto da contadini che onoravano l’antica fama di uomini fisicamente e moralmente più forti della Grecia. Non per nulla essi erano devoti a Ercole, che proprio a Tebe – “la ben coronata di mura”, come ricorda Omero – aveva avuto i natali: e fieramente rivendicavano questo legame dipingendo sui loro scudi la clava del semidio.
«Poiché mi sembra che abbia superato tutti i suoi contemporanei... in abilità ed esperienza nell'arte della guerra. Perché nella generazione di Epaminonda c'erano uomini famosi: Pelopida il Tebano, Timoteo e Conone, anche Cabria e Ificrate... Agesilao lo Spartano, che apparteneva a una generazione un po' più vecchia. Ancora prima di questi, ai tempi dei Medi e dei Persiani, c'erano Solone, Temistocle, Milziade e Cimone, Mironide e Pericle e alcuni altri ad Atene, e in Sicilia Gelone, figlio di Deinomene, e altri ancora. Fra tutti, se si dovessero confrontare le qualità di questi con la carriera militare e la reputazione di Epaminonda, si dovrebbero giudicare di gran lunga superiori le qualità possedute da Epaminonda.»
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(Diodoro Siculo, Bibliotheca historica, XV, 88.) |
Statua di Epaminonda, copia di un'opera dello scultore fiammingo del XVIII secolo, Peter Scheemakers, conservata al "The Temple of Ancient Virtue" presso la Stowe House
Gli Spartani erano inarrivabili in termini di addestramento, capaci di compiere sul campo di battaglia, in virtù del loro costante e maniacale esercizio, manovre impossibili per chiunque altro. Presi singolarmente i Tebani erano combattenti migliori dei Spartani, ma in battaglia questo vantaggio valeva poco. Sarebbe stata sufficiente una manovra al momento opportuno e gli Spartani avrebbero avuto ragione dei loro pericolosi rivali: con un attacco sul fianco, ad esempio, che essi compivano rapidamente, senza scompaginarsi e con implacabile efficacia. La battaglia che Epaminonda aveva in mente doveva essere risolutiva e ci riuscì rielaborando il principio della massa, il più antico della storia dell’arte militare, modificandone il senso profondo e portandolo là noi oggi lo troviamo: la massa va impiegata con rapidità e determinazione nel punto dove essa è decisiva. Lo stesso principio tattico che molti secoli dopo guadagnò innumerevoli vittorie alle colonne di picchieri svizzeri. La vittoria di Epaminonda a Leuttra, il 6 luglio 371 a .C., indebolì Sparta ma non scongiurò il pericolo che essa rappresentava per la piccola Tebe. Epaminonda ne doveva essere profondamente convinto, a differenza di molti suoi concittadini che coltivavano idee diverse e, come spesso accade nelle democrazie, non ne facevano mistero ostacolandolo per quanto possibile. Leuttra era solo un’opportunità che andava sfruttata cogliendo l’occasione per eliminare per sempre Sparta e la minaccia che esse rappresentava, non solo per Tebe, ma per tutta la Grecia.
Il suo capolavoro. Leuttra 6 luglio
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I Tebani posero il campo di fronte a quello spartano, su un rilievo poco distante che sbarrava la strada verso Tebe. Con una manovra riuscita dal punto di vista strategico, il re spartano Cleombroto si era aperto una strada per tornare a Sparta, contemporaneamente minacciando Tebe. Gli opliti alleati, circa 3mila sui 7mila dell’intera armata beota erano scoraggiati. I Tebani, al contrario, fecero addirittura pressione sul loro comandante affinché non indugiasse oltre e desse battaglia. Uno zelo superfluo, perché Epaminonda voleva lo scontro ed era sicuro della vittoria: sapeva infatti che la prepotente fisicità dei tebani poteva prevalere sul perfetto addestramento degli Spartani se la s’incardinava in una concezione di battaglia nuova, capace di riunire in un unico meccanismo bellico esperimenti e novità tattiche delle guerre precedenti. Alla primordiale idea tattica degli Spartani, che coreografa eleganti ed elaborati movimenti delle singole unità di opliti, Epaminonda ne oppose un’inedita, che coinvolgeva in un’unica armonia l’esercito intero.
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1. GLI SCHIERAMENTI CONTRAPPOSTI. Il re spartano Cleombroto offrì battaglia secondo tradizione schierando l’élite spartiate sulla destra e a seguire gli altri Spartani e gli alleati per complessivi 10mla opliti. Epaminonda fece leva su questa prevedibilità dei nemici per sorprenderli. Pur inferiori di numero, i suoi opliti (4000 Tebani e 3000 alleati) erano qualitativamente superiori agli Spartani ed egli li incolonnò in una formazione lunga ben cinquanta uomini, guidata dai 300 della Banda sacra: un esperimento che aveva già portato al successo nel 424 i Tebani con Pagonda nella battaglia di Delio contro gli Ateniesi, quando, però i ranghi di profondità erano appena venticinque. Ammassata oltre la metà della propria forza all’estremità sinistra, a Epaminonda poco restava per coprire il resto dello schieramento. Gli esitanti opliti della Lega beotica andavano tenuti lontani da una mischia prematura e soprattutto da una prematura e pericoloso sconfitta. A questo Epaminonda provvide con l’idea innovativa di disporli a scaglioni scalettati.
La battaglia di Leuttra (371 a.C.) mostrò i vantaggi portati dalle innovazioni tattiche di Epaminonda.
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2. L’ASSALTO DELLA COLONNA TEBANA. Le iniziali schermaglie tra cavallerie furono subito sfavorevoli agli Spartani, provocando anche qualche confusione nei loro ranghi, della quale approfittarono i Tebani con il loro fulmineo attacco. La formazione tebana dovette avere nella velocità, più che nel peso, il suo punto di forza: svincolati dalla necessità di mantenere un impegnativo allineamento laterale, la colonna tebana si precipitò addosso ai nemici con un impeto e una rapidità che sorprese gli Spartani quando probabilmente erano ancora impegnati in una delle loro complesse manovre. L’effetto sugli Spartani quasi fermi e forse confusi dovette essere dirompente e la colonna tebana invase la formazione avversaria dando vita a una mischia dove la forza e il numero ebbero il soppravvento. | ||
3.
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UN’IMPRESA DIFFICILE. Epaminonda concepì una strategia in due fasi: sottrarre innanzitutto a Sparta la sua fonte di sostentamento, liberando i suoi soggetti e i forzosi alleati, e quindi distruggere Sparta stessa. La prima fase si configurava come una vera e propria guerra di liberazione, carica di pulsioni etiche e non solo di motivazioni politiche, che Epaminonda assorbì dagli intransigenti filosofi pitagorici, assai influenti a Tebe: si trattava di liberare dalla schiavitù gli ilioti della Messenia e restituire l’indipendenza alle comunità del Peloponneso, proteggendoli dalle prevedibili ritorsioni spartane. Privato dei suoi schiavi e dei tributi dei popoli assoggettati, il sistema politico e sociale spartano sarebbe collassato per fame, perché nessuno avrebbe più coltivato la terra per gli Spartiati o li avrebbe finanziati affinché potessero dedicarsi esclusivamente alla guerra.
La seconda condizione, la distruzione fisica di Sparta, sarebbe stata la sicura garanzia di un risultato
duraturo nel tempo e più facile da attuare dopo il conseguimento degli obiettivi della prima fase. Epaminonda, sfidando i concittadini contrari al suo progetto, si lanciò in questa impresa con un grande esercito della lega Beotica a pochi giorni dalla fine del suo mandato di Beotarca e convincendo i suoi colleghi a fare altrettanto. Su invito dei cittadini di Mantinea, ribellatisi agli Spartani, nell’inverno del 370 invase il Peloponneso alla testa di un’armata di 40-50mila uomini, tra i quali molti alleati peloponnesiaci, primo a violare quella terra da 350 anni, con un’altra invenzione strategica: la guerra preventiva. Una tipologia di guerra non inedita ma mai realizzata prima in una forma così evoluta e su scala tanto grande, persino nella scelta della stagione, inusuale nella Grecia agraria abituata a combattere brevi guerre estive in concomitanza con la stagione dei raccolti. La prima fase della strategia di Epaminonda ebbe successo, ma si rivelò più impegnativa del previsto. Richiese la fondazione di una cintura di fortezze (Messene, Megalopoli e Mantinea) attorno alla Laconia per stringerla d’assedio, e la formazione e l’insediamento al potere di affidabili élite democratiche in quelle città. Un’impresa difficile che richiese nuove azioni militari. Il 4 luglio del 362, dopo quasi un decennio di guerre e dopo aver subito devastanti invasioni del Peloponneso, gli Spartani orgogliosamente cercarono un’ultima disperata rivincita nella battaglia di Mantinea ma trovarono solo un’altra sconfitta. Epaminonda però su quel campo perse la vita proprio nel momento della vittoria: dopo aver dedicato tutta l’esistenza alla distruzione di Sparta, era morto in una battaglia priva d’importanza. La strategia di Epaminonda aveva avuto successo, ma si era anche rivelata troppo dispendiosa in termini sia politici sia economici per la Beozia.
Sparta ormai, era infatti il fantasma di ciò che era stata e spaventava le città greche molto meno di Tebe: raggiunta la libertà e la democrazia per gli alleati di Tebe si poneva un altro obiettivo, l’autonomia, che li riassumeva tutti. Epaminonda morì quando più sarebbe stato indispensabile alla sua patria e alle sue idee: solo il suo prestigio e la sua storia personale avrebbe potuto tenere unita la Lega beotica che si rivoltò contro Tebe indebolendola e aprendo lo scenario all’ingresso di un’altra protagonista con ambizioni, questa volta, dichiaratamente imperiali: la Macedonia di Filippo II e di Alessandro il Grande.
Morte di Pelopida di Andrej Ivanov(1805-1806); Pelopida fu il braccio destro di Epaminonda e, assieme a lui, artefice dell'ascesa di Tebe
La guerra preventiva di Epaminonda.
Per Epaminonda la sicurezza di Tebe dipendeva in primo luogo dalla liberazione dei popoli che Sparta teneva in soggezione e schiavitù: un obiettivo che raggiunse grazie a una raffinata analisi strategica del concetto di guerra preventiva. Gli anglosassoni distinguono due tipi diversi di guerra preventiva: la preemptive e la preventive war. La preementive war configura l’attacco di un contendente debole che compie una difesa anticipata alla presenza di una minaccia imminente da parte di un nemico più forte. Una mossa aggressiva, ma con motivazioni difensive: attacco il mio avversario prima che lui attacchi me, perché solo prendendo l’iniziativa e sorprendendolo ho possibilità di salvarmi. La preventive war, al contrario, è una guerra puramente offensiva intrapresa da un belligerante forte per mantenere il vantaggio su un suo avversario più debole: attaccandolo preventivamente evita così che abbia il tempo per rafforzarsi e quindi diventi più difficile da sconfiggere. Epaminonda intraprese contro Sparta una preementive war, per evitare il rischio che Tebe divenisse vittima di una preventive war spartana. A breve termine Sparta sarebbe stata sufficientemente debole da essere sconfitta, a lungo termine la sua struttura sociale classista non aveva futuro per puri motivi demografici: era a medio termine che poteva tornare pericolosa per Tebe ed Epaminonda intendeva impedire questa minaccia mortale con una guerra preventiva.
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Articolo in gran parte di Nicola Zotti pubblicato su GUERRE E GUERRIERI di dicembre 2016-gennaio 2017 altri testi e foto da wikipedia.
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