Federico I di Hohenstaufen cercò di dare nuova durevolezza a un impero sul viale del tramonto. Ecco la storia del sogno che Barbarossa non poté realizzare.
Busto in bronzo di Federico Barbarossa datato 1173https://it.wikipedia.org/wiki/Federico_Barbarossa
il Sacro Romano Impero al tempo di Barbarossa
Il 10 giugno 1190, in una torrida giornata mediorientale, trovava la morte una delle figure più carismatiche e controverse del Medioevo. Federico I di Hohenstaufen, imperatore del Sacro Romano Impero, stava accompagnando l’esercito crociato in marcia verso la Terrasanta , riconquistata tre anni prima dal Saladino. Nonostante i 70 anni, aveva risposto ugualmente, insieme ai sovrani di Francia e Inghilterra, all’appello del papa per liberare Gerusalemme dagli infedeli il caldo soffocante delle lande anatoliche aveva costretto l’anziano imperatore a guidare il suo cavallo nel fiume. Non è chiaro come, ma annegò. Il grande monarca che aveva cercato di restituire autorevolezza a un impero ormai in declino, e che per trent’anni aveva guerreggiato con tanti feudatari irrequieti e con i Comuni lombardi (che lo chiamavano “Barbarossa” per via dei capelli fulvi) nel tentativo di riportarli all’obbedienza, passava così dalla Storia al mito.
IL RE DELLA CONCORDIA. Se per alcuni Federico di Hohenstaufen fu un monarca giusto e clemente con i nemici, inflessibile nei confronti dei ribelli, per altri fu solo un tiranno e uno scismatico, che contrappose al pontefice ben tre antipapi. In realtà il Barbarossa fu questo e molto di più, ragione per cui il Romanticismo tedesco ne fece un eroe che rese grande la Germania , il padre morale della nazione che andava allora nascendo, mentre per gli italiani che cercavano di emanciparsi dallo straniero (l’Impero asburgico, tedesco di cultura e di lingua) rimase il simbolo dell’oppressione. Eppure la sua storia era iniziata sotto il segno della concordia. Su di lui cadde infatti la corona quando, all’indomani della morte di Corrado III, fu necessaio trovare una figura in grado di scrivere la parole fine alle lotte che per decenni insanguinavano la Germania , opponendo la casata sveva dei Welfen a quella dei Waiblingen. Federico discendeva da entrambe: il padre era Federico II duca di Svevia, la madrea Giuditta di Baviera; il primo possedeva il castello di Waiblingen nel Baden-Wurttemberg, dove il figli aveva visto la luce tra il 1118 e il 1125; la seconda era imparentata con i Welfen, il cui massimo rappresentante era quell’Enrico il Superbo che anni addietro aveva conteso proprio a Corrado III la corona. Welfen contro Waiblingen dunque, guelfi contro ghibellini: un conflitto che più tardi, cambiando riferimenti, si sarebbe allargato all’Italia definendo rispettivamente i partigiani di papato e impero.
Rosso malpelo
I Lombardi soprannominarono Federico Barbarossa per via della barba fulva. L’intento era però spregiativo. Ai più colti richiamava alla memoria Nerone, anche lui dotati di “barba di rame” (questo significa il suo appellativo, Enobarbo), per gli altri si ricollegava al diffuso pregiudizio che voleva legati al demonio i possessori di chiome rosse (rare): una caratteristica che permetteva, secondo le credenze popolari, di riconoscere anche le streghe.
Per i cronisti, l’imperatore, oltre ai capelli fulvi e mossi, aveva occhi celesti penetranti, mani lunghe e affusolate; non troppo alto ma snello, era forte e ben proporzionato, con denti bianchi e regolari. A descriverlo così sono il tedesco Rahewino e il lodigiano Acerbo Morena, che lo conobbero di persona, ma i suoi tratti sono tipici del sovrano germanico tradizionale: il medesimo aspetto viene attribuito anche a Teodorico re dei Goti secoli prima, da Sidonio Apollinare.
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PUGNO DI FERRO CON I COMUNI. Il 4 marzo 1152 Federico fu eletto re di Germania,. La scelta fu felice, almeno sulle prime, e diede modo al sovrano, giovane ma dotato di grande acume politico e di forte personalità, di tacitare le teste più calde di dedicarsi a un problema non da poco dell’impero. La mancanza di un forte potere centrale aveva infatti favorito, nell’Italia centro-settentrionale, la nascita e lo sviluppo dei Comuni, che esercitavano di fatto, se on ancora di diritto, molti poteri erosi alla medesima autorità imperiale: eleggevano i propri rappresentanti (i consoli), imponevano tasse, amministravano la giustizia e controllavano le vie di comunicazione. Il Barbarossa aveva scoperto quest’allarmante realtà quando, nel marzo del 1153 a Costanza, alcuni mercanti di Lodi si erano presentati al suo cospetto per denunciare la prepotenza di Milano, rea di aver distrutto per ben due volte la loro città, oltre che Como, tiranneggiando su tutte le altre. Federico avrebbe dovuto varcare le Alpi per cingere prima la corona d’Italia e poi quella imperiale a Roma. Ne approfittò per accogliere le proteste e muovere guerra a Milano e ai suoi alleati, e già che c’era, per pianificare l’espansione nel Mezzogiorno occupato dai Normanni. A Roncaglia, nei pressi di Piacenza, convocò una dieta in cui ribadì i suoi diritti contro quelli che considerava solo degli usurpatori. Oltre all’orgoglio, lo supportava il papa, che chiedeva il suo intervento per liberarsi di un pericoloso agitatore, Arnaldo da Brescia: un eretico fautore della moralizzazione del clero corrotto, spintosi fino alla costituzione, a Roma, di un libero Comune che si opponeva al potere pontificio. Lungo la strada Barbarossa distrusse Asti e Chieri, che si erano ribellate al suo fedele Guglielmo marchese di Monferrato, e poi Tortona, alleata di Milano. Infine consegnò al nuovo papa Adriano IV la testa di Arnaldo e ottenne la corona.. il Senato romano, tutt’altro che intenzionato ad avere a che fare con l’ingombrante tedesco, lo costrinse però a una sanguinosa battaglia. Ormai in Italia, Federico accarezzò il sogno di spingersi nel mezzogiorno per conquistare il regno normanno di Sicilia, ma non riuscì nel suo intento (anche per l’opposizione dei suoi, che volevano tornare in Germania) e fu costretto a rinunciare. La questione italiana, però, era solo rimandata e si ripresentò nel 1158, quando Milano ricostruì Tortona con l’approvazione del pontefice, che per garantirsi protezione da Federico si era alleato con i Normanni. Forte dell’appoggio giuridico fornitogli dal prestigioso Studium di Bologna, Federico convocò una nuova dieta a Roncaglia, in cui rivendicò, a voce alta, tutte le regalie che gli spettavano, proibendo anche le leghe tra città. Si trattava di una tacita dichiarazione di guerra.
Mentre Milano rialzava la testa, seguita da Brescia e Crema, saliva sul soglio pontificio, con il nome di Alessandro III, Rolando Bandinelli, suo acerrimo nemico, che si schierò dalla parte dei Comuni. L’imperatore, per tutta risposta, fece eleggere antipapa il suo fedele Ottaviano dei Crescenzi con il nome di Vittore IV: ne nacque uno scisma che, nonostante varie scomuniche, avrebbe visto ben tre antipapi di creazione imperiale. Intanto una nuova campagna militare portava alla distruzione di Crema, alleata di Milano, e poi della stessa Milano, che capitolò nel marzo 1162 dopo un assedio durato quasi un anno. La città fu rasa al suolo, i milanesi dispersi: tolta di mezzo la principale antagonista, il Barbarossa poteva ora imporre in tutte le città (comprese le sue alleate) podestà di sua nomina, che annullarono ogni autonomia soffocandole di tasse.
Papa Alessandro III
Vivo per l’eternità.
Così come altri sovrani entrati nel mito (il più celebre è senz’altro Re Artù), leggenda vuole che Federico non sia morto ma riposi in una caverna sul monte Kyffhauser, in Turingia: seduto sul trono, con la barba che continua a crescere, attende che i corvi che sorvolano la montagna smettano di volare per destarsi e riportare l’impero all’antica grandezza.
La leggenda era stata elaborata per il nipote Federico II: a ricondurla al Barbarossa fu, nel clima del risveglio dei sentimenti nazionali dell’Ottocento, il poeta Johann Michael Friedrich Ruckert, che fece di lui un precursore della grande Germania che sarebbe (ri)nata con Guglielmo I di Prussia. Sul monte campeggia ancora oggi un monumentale ritratto dell’imperatore.
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UNA LEGA CONTRO IL TIRANNO. Fu allora che le città lombarde (per Lombardia si intendeva un territorio assai più vasto di quello odierno, in pratica tutta l’Italia centro-settentrionale) capirono che occorreva unirsi se si voleva reagire e nel 1167 (secondo la tradizione il 7 aprile a Pontida) i legati di Cremona, Milano, Bergamo, Brescia, Mantova, Ferrara, riuniti nella Lega Cremonese, giurarono di ricostruire la città distrutta. Poco dopo il 1° dicembre, la Lega Cremonese si alleava a quella veneta, dando vita alla “Societas Lombardiae”, la Lega Lombarda. Ma attenzione, questo patto non intendeva affatto contestare l’autorità dell’impero in quanto tale: la supremazia giuridica del massimo potere temporale della cristianità era fuori discussione. Le città di dichiaravano fedeli all’impero, ma tale fedeltà si limitava ai diritti esercitati dai predecessori del Barbarossa, che data ala loro latitanza erano in verità assai labili. Ed era un riconoscimento solo di facciata. Con l’appoggio di papa Alessandro III, sostenuto anche dai monarchi d’Europa, i Comuni diedero inizio alla lotta. Durante l’estate Federico assediò il pontefice, che dovette ritirarsi nel Colosseo e fu costretto poi a riparare a Benevento. I tedeschi furono colpiti dalla dissenteria e, con l’esercito decimato, si ritirarono a Pavia e infine in Germania. I Lombardi, vittoriosi, fondarono Alessandria in onore del papa, facendo infuriare il Barbarossa, che reagì tentando l’assedio della città per ben due volte, fallendo in entrambe. Dopo anni di lotta erano necessari ulteriori rinforzi, ma le riserve languivano ancora in Germania. Tra il malcontento dei feudatari, i soldati richiesti giunsero a Como nel maggio del 1176 e Federico andò personalmente ad accoglierli per condurli a Pavia. ma sulla via del trasferimento, il rumore dei cavalli destò le sentinelle comunali poste a guardia della strada lungo il Ticino. Il 29 maggio,in località San Martino, presso Legnano, lo scontro fu vinto dai Comuni, grazie all’intervento della cavalleria milanese. Decisivo fu anche il disarcionamento del Barbarossa, che cadde nella mischia trascinando con sé le insegne militari: credendolo morto, i suoi sbandarono e si diedero alla fuga finendo ammazzati o annegando nel fiume. Il Risorgimento diffuse la leggenda di una battaglia epocale (mentre fu marginale) e la figura di un eroe, Alberto da Giussano, sul quale non esiste alcun documento. Storico e reale fu invece il bottino fatto dai milanesi, con lo scudo, il vessillo, la croce e la lancia di Federico.
I pochi superstiti si rifugiarono a Pavia e annunciarono la morte del sovrano, che però ricomparve tra i suoi dopo una fuga fortunosa. La cocente sconfitta aveva mostrato che ormai era impossibile imporre l’autorità imperiale in campo avverso con la sola forza delle armi. Federico coprese che era giunto il momento di trattare. Si accordò con il papa il 21 luglio 1177, a Venezia: l’imperatore riconosceva Alessandro III abbandonando lo scisma e concludeva una tregua di sei anni con i Comuni. Alla scadenza, il 25 giugno 1183, giunse il privilegio di Costanza, con cui il Barbarossa concesse finalmente alle città l’esercizio di quei poteri per cui si era combattuto per tre decenni. Unica condizione, a parte un’indennità e un tributo annuo, era che i Comuni riconoscessero tali prerogative come conferite ‘feudalmente’ dall’imperatore, cioè dietro giuramento di fedeltà, dall’alto della sua clemenza. Così, almeno la forma era salva, ma il sogno ormai anacronistico di un’Europa di città e di nazioni, di un impero davvero universale, tramontava per sempre.
Per l’imperatore, però, i problemi non erano finiti. Quando, per la sesta e ultima volta discese in Italia per ottenere dal nuovo papa Lucio III la corona imperiale per il figlio Enrico VI, questi gliela negò. Il giovane re stava infatti per sposare la più anziana Costanza d’Altavilla, ultima erede della dinastia normanna, unendo per via matrimoniale il Mezzogiorno all’impero: se Enrico avesse ottenuto il titolo imperiale, non solo esso sarebbe passato da elettivo a ereditario (e questo i principi tedeschi non lo volevano), ma il nuovo Stato avrebbe finito per stringere il papato in una morsa. L’attenzione, però, si spostò presto altrove, visto le notizie allarmanti che giungevano dall’Oriente, dove il Saladino stava riconquistando la Terrasanta , compresa Gerusalemme. Bandita la Terza Crociata , nel maggio 1189, Federico rispose all’appello e partì da Radisbona seguito dall’altro figlio, il duca di Svevia Federico VI, e dai suoi più fedeli feudatari. Alla spedizione avrebbero partecipato anche Filippo Augusto di Francia e l’inglese Riccardo Cuor di Leone. Ma il vecchio imperatore morì, come si è detto, prima di raggiungere la Città Santa. Per generazioni, sarebbe stato immaginato dai suoi non morto ma solo addormentato, seduto su un trono nelle viscere di un monte in attesa del segnale per ridestarsi. E tornare, un giorno, a guidare da condottiero il suo popolo.
Tre antipapi per un imperatore.
Durane il lungo braccio di ferro con
Due su tre (Pasquale morì di cancro) uscirono di scena misteriosamente, proprio così come erano apparsi.
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Articolo in gran parte di Elena Percivaldi, storica moderna pubblicato su Medioevo misterioso Sprea editore, altri testi e immagini da Wikipedia.
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