I mondiali della vergogna
Nel 1978 in Argentina si svolsero i mondiali di calcio. E
mentre sui campi si giocava il regime dittatoriale al potere, continuava con la
sua politica di violenze e repressioni.
stadio monumental
stadio monumental
Stadio Monumental di Buenos Aires, 25 giugno di 40 anni
fa: le nazionali di Argentina e Olanda giocano una partita importante, davanti
a 80mila tifosi. È la finale dei Mondiali in Argentina ’78, quelli che poi saranno definiti i mondiali della vergogna. Da due anni, infatti, l’Argentina era
sottoposta a una dittatura feroce: il 24 marzo 1976 un colpo di stato aveva
portato al potere i militari, rappresentati dal generale e presidente Jorge
Rafael Videla. Durante il regime il Paese visse un lungo periodo (fino al 1983)
di violenze e repressioni. E nei mesi in cui si svolse il Campionato mondiale
di calcio, la dittatura non fu meno spietata. Alcuni superstiti raccontarono in
seguito che durante le partite erano sospese le torture e i voli della morte
(gli oppositori arrestati erano buttati ancora vivi dagli aerei in volo
sull’oceano), ma al fischio di fine gara tutto riprendeva come prima. Mentre
gli occhi del mondo erano dunque puntati sui campi, la macchina repressiva
continuava a lavorare: secondo le stime, nei 25 giorni di campionato (dall’1 al
25 giugno) vi furono 63 desaparecidos (scomparsi in spagnolo), ossia persone
fermate per attività antigovernativa di cui non si ebbe più nessuna notizia. A
poche centinaia di metri di distanza dallo stadio si trovava la Scuola di meccanica della
Marina (ESMA), nella quale furono rinchiuse durante il regime 5mila persone (di
cui solo 500 ne uscirono vive), definita l’Auschwitz argentino dallo scrittore
Eduardo Galeano nel libro Splendori e miserie del gioco del calcio.
Tutto questo mentre il regime usava il gioco del calcio
(popolarissimo in Argentina) come straordinario, quanto inaspettato, strumento
di consenso.
Una rappresentanza della madri di Plaza de Mayo ricevuta dal presidenteNéstor Kirchner
L’APPARENZA INGANNA. I
Mondiali di calcio erano stati, infatti, assegnati all’Argentina anni
prima in base alla regola, in vigore allora, dell’alternanza tra continente
americano. All’inizio Videla era contrario ai giochi nel Paese, ma ben presto
si convinse che non vi era palcoscenico migliore per mostrare al popolo e al
mondo intero il lato buono del suo governo. A questo scopo furono impiegati
fiumi di soldi pubblici, senza curarsi della crisi economica cha attanagliava
il Paese sudamericano in quegli anni. Basti pensare che interi quartieri
malfamati di Buenos Aires e Rosario sarebbero stati abbattuti prima
dell’inaugurazione del campionato. Per la manifestazione il governo argentino
spese quattro volte di più di quello spagnolo per i successivi Mondiali del
1982.
Per impedire, inoltre, contatti tra dissidenti e stampe
estere fu intensificato in quel mese la repressione, arrivando a circa 200
arresti al giorno. Ai giornalisti stranieri fu imposti di scrivere solo di
calcio, evitando riferimenti alla società, all’economia e alla politica.
La stampa di casa invece aveva l’obbligo di descrivere una
nazione tranquilla, ordinata e pacificata, grazie alla pulizia dei sovversivi,
tacciati di essere antiargentini. Persino nelle telecronache veniva esaltato il
regime: il giornalista José Maria Munoz diceva spesso che gli argentini erano
“Derechos y Humanos” (giusti e umani). L’unica forma di opposizione fu quella felpata,
ma determinata, delle Madri di Plaza de Mayo, che ogni giovedì sera si
trovavano davanti al palazzo del Presidente a Buenos Aires, per reclamare la
verità sui loro figli scomparsi. Queste manifestazioni furono tuttavia ignorate
dalla maggior parte dei mezzi d’informazione internazionali, eccezione fatta
solo per la televisione olandese, che mise in onda un servizio sui cortei
proprio il giorno dell’inaugurazione dei giochi.
I padroni di casa dell'Argentina, per la prima volta campioni del mondo.
CALCIO E POLITICA. Ma cosa ne pensava davvero il resto del mondo del
governo argentino? Le federazioni sportive non presero mai posizione rispetto a
quello che succedeva nel Paese, e men che meno fu considerata da qualcuno la
possibilità di non giocare quel torneo. Nessun giocatore inoltre, nonostante
l’asfissiante presenza dei militari nei campi e nei ritiri, criticò mai il
regime argentino o fece dichiarazione sulle vittime
della repressione, anzi, qualcuno come il capitano della nazionale tedesca, Berti
Vogts, disse: “L’Argentina è un paese
dove regna l’ordine, io non ho visto nessun prigioniero politico”. Altri si
nascosero dietro il fatto che il calcio sarebbe dovuto rimanere estraneo alla
politica. In un primo momento l’assenza del grande giocatore olandese Johann
Cruijff, fu interpretato come un gesto di protesta. Ma in seguito lo stesso
Cruijff spiegò che non aveva partecipato a quel Mondiale per motivi di
sicurezza: mesi prima aveva subito un tentativo di rapimento a Barcellona, che
lo aveva convito a limitare gli spostamenti. Per dare maggior lustro al regime
era necessario tuttavia che l’Argentina vincesse la coppa, in modo anche da
distrarre il popolo, con la vittoria e i festeggiamenti. Per questo motivo fu
scelto un allenatore, politicamente distante dal regime, ma tecnicamente molto
preparato, César Luis Menotti detto El Flaco (il magro), ritenuto l’unico di
far vincere ai biancoceleste il primo titolo della loro storia.
César Luis Menotti (Rosario, 5 novembre 1938) è un ex allenatore di calcio, ex calciatore e dirigente sportivo argentino di origine italiana, direttore generale dell'Independiente.
Da allenatore, fu il commissario tecnico che guidò la Nazionale argentina alla conquista del suo primo campionato del mondo di calcio, nel 1978. È soprannominato El flaco.
CRONOLOGIA:
1946: il
generale Juan Domingo Peron diventa presidente dell’Argentina e l’anno
seguente, nel
1947, fonda un partito populista.
1955: Colpo
di stato militare contro Peron, dopo la morte della moglie Evita. Inizia il
periodo delle
dittature militari, con brevi
intervalli di governo costituzionale.
1973: Peron
si ricandida con il suo Partito giustizialista e vince le elezioni con quasi
il 62% di
Preferenze. Muore l’anno seguente.
1974: Isabel Martinez de Peron, detta Isabelita,
ultima moglie di Peron, succede al marito defunto.
Si aggrava la crisi economica.
1976: Golpe militare guidato dal generale Videla
che impone la legge marziale. Inizia la violenta
repressione di ogni forma di
dissenso.
1981: Il
presidente Videla è deposto dal generale Roberto Viola, destituito a sua
volta da un
altro generale, Leopoldo Galtieri.
1982:
L’Argentina invade le isole britanniche Falkand (in spagnolo Malvinas). La
guerra è un
disastro diplomatico per il Paese e
il generale Galtieri si dimette.
1983: Torna
la democrazia. È eletto presidente, Raul Alfonsin, che apre un’inchiesta
sulle
atrocità dei regimi militari.
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Desaparecidos: spariti nel nulla.
Jorge Rafael Videla, dittatore dell'Argentina dal 1976 al 1981, responsabile di circa 30 000 vittime, di cui gran parte "scomparse" https://it.wikipedia.org/wiki/Desaparecidos
Il regime di terrore, inaugurato con il
golpe militare del 1976,
terminò nel 1983, lasciando dietro di sé un paese distrutto e una lunga scia
di morti e scomparsi. La violenta repressione degli oppositori (anche solo
presunti) venne infatti messa in atto dai militari fuori da ogni controllo
legale con l’utilizzo delle forze speciali. L’obiettivo del regime era
l’eliminazione di qualsiasi dissidenza in ambito culturale, politico, sociale
e sindacale. I sospettati che erano arrestati, torturati e poi fatti sparire
(da qui il nome di desaparecidos o scomparsi) erano studenti, insegnanti,
giornalisti e religiosi. Nei 7 anni di regime i desaparecidos furono 30mila,
15mila le persone fucilate, 10mi i sopravissuti alle torture e due milioni di
esuli. “La più grande e brutale
tragedia della storia argentina”, così fu definito il regime militare
dalla Commissione Nazionale sulla scomparsa di persone, istituita da Raul
Alfonsin, eletto presidente nel 1983 dopo la fine del regime.
Regimi coalizzati. Quella dell’Argentina tuttavia non
fu l’unica dittatura del continente. In quegli anni gran parte del America
meridionale era in mano a governi militari (Cile, Brasile, Perù, Uruguay e
Paraguay). Queste dittature presero parte a quella che fu chiamata
“operazione Condor”, un coordinamento tra i servizi segreti dei vari paesi,
con il compito di reprimere ogni forma di opposizione politica.
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BROGLI IN CAMPO. La nazionale argentina, dopo un inizio poco convincente (perse anche contro l’Italia di Bearzot), arrivò alla finale con l’aiuto di qualche arbitraggio favorevole, ma soprattutto grazie a una partita truccata. La gara era contro il Perù e si concluse con un 6 a 0 per gli argentini. Per effetto dei numerosi gol segnati nel match, i padroni di casa guadagnarono la finale a discapito del Brasile. Anni dopo, l’inchiesta di Tim Pears, giornalista statunitense, provò che il regime militare aveva regalato un milione di tonnellate di grano al Perù per “ammorbidire” i suoi giocatori. Il giorno della finale, poco prima di scendere in campo, l’allenatore Menotti chiese ai sui uomini di giocare per alleviare il dolore degli argentini e non per i generali seduti nella tribuna d’onore. L’Argentina sconfisse gli olandesi per
Articolo
in gran parte di Riccardo Michelucci pubblicato su Focus Storia n. 140 altri
testi e foto da Wikipedia.
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